“Ambiente come diritto fondamentale” e “Non esistono diritti tiranni”: Come la Corte costituzionale concilia questi due princìpi

04 Set 2023 | contributi, in evidenza 4, articoli

di Luciano Butti

Da tempo la Corte costituzionale ha spiegato che ambiente e salute sono diritti “primari e assoluti”. Nel 2013, peraltro, la stessa Corte ha solennemente affermato che, nel sistema complessivo della Costituzione, “non esistono diritti tiranni”, poiché ciascun diritto – anche quello alla salute – è tenuto a fare i conti con gli altri diritti e con i diritti degli altri. Sulla scia di un recentissimo volume pubblicato dall’autore[i], questo articolo si propone di rispondere alle due seguenti domande: Come è possibile che alcuni diritti, come ambiente e salute, siano “fondamentali”, ma nessuno possa divenire “tiranno” sugli altri? E come funziona il “bilanciamento” costituzionale fra i diritti, soprattutto quando vengono in gioco ambiente e salute?

  1. Salute, ambiente, lavoro sono diritti “primari e assoluti”: cosa significa?

Alcuni diritti previsti dalla Costituzione sono “primari e assoluti”. Il principio è stato affermato dalla Corte non solo per il diritto alla salute – del resto qualificato dall’art. 32 come “fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività” – ma anche per altri diritti sui quali il testo costituzionale, nella sua versione originaria, non era altrettanto esplicito, come il diritto all’ambiente salubre o quello all’inclusione lavorativa per le persone con disabilità[ii].

L’espressione presenta in effetti qualche ambiguità, ma la Corte costituzionale ne ha spiegato il significato in una decisione riguardante proprio il lavoro dei disabili (sentenza n. 275/2016). Essa significa che il nucleo di garanzie minime per rendere effettivo questo diritto dovrebbe essere assicurato al di là di ogni esigenza di bilancio, garantendo certezza, stabilità e obbligatorietà del finanziamento. Perché, come scrive la Corte, “è la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l’equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione”.

Tuttavia, questo non significa che un diritto “primario e assoluto” non possa incontrare alcuni limiti. Né significa che, per garantirlo, qualsiasi esborso pubblico sia giustificato. Se così fosse, salterebbe ogni equilibrio di bilancio, anch’esso tutelato dall’art. 81 della Costituzione.

Come se ne esce? Lo spiega sempre la Corte costituzionale, nella stessa sentenza: il “nucleo invalicabile di garanzie minime” per il quale non possono esservi limiti alla spesa è quello – e soltanto quello – “normativamente identificato”. Dovrà allora esservi una legge che identifichi in modo ampio tutti i servizi minimi indispensabili, questa legge avrà una copertura finanziaria ai sensi dell’art. 81 della Costituzione e i diritti da questa legge garantiti – ma soltanto questi – non saranno comprimibili senza violare la Costituzione.

  1. Soltanto il bilanciamento fra i diritti “serve” la Costituzione.

La pari dignità, in linea di principio, di tutti gli individui e di tutti i diritti costituzionali rende impossibile risolvere i conflitti semplicemente appellandosi agli strumenti consueti utilizzati dai giuristi per risolvere i casi di contrasto fra norme diverse, quali il criterio gerarchico, quello di specialità o quello cronologico.

Ciò che in definitiva “serve” la Costituzione è proprio e soltanto il bilanciamento fra diversi diritti costituzionali[iii]. Il bilanciamento è un processo dinamico, sempre aperto a futuri aggiustamenti in funzione dell’evolversi della situazione, delle nuove evidenze che si formano e dei mutamenti culturali che caratterizzano la società nel suo complesso.  Deve essere “ragionevole e ponderato” (sentenza n. 128/2021 della Corte costituzionale). Deve cioè essere effettuato con la ragionevolezza richiesta dall’art. 3 della Costituzione, che impone di trattare in modo analogo situazioni simili e in modo adeguatamente differenziato situazioni fra loro diverse. Deve, inoltre, essere realizzato sotto la guida dei “doveri inderogabili di solidarietà”, che l’art. 2 della Costituzione pone come criterio direttivo anche per il bilanciamento fra i diversi diritti.

  1. Corte costituzionale n. 85/2013: Non esistono diritti tiranni

Sin dall’inizio della propria attività nell’Italia repubblicana, la Corte costituzionale ha in più occasioni affermato la necessità di un bilanciamento ragionevole e ponderato fra i diversi diritti costituzionali. Eppure, questa giurisprudenza non ha fermato le pretese di assoluto. Accade infatti di frequente che, di fronte alla prospettata violazione di un diritto costituzionale, si sostenga che tale diritto, in quanto “primario e assoluto”, non possa soffrire la benché minima limitazione.

Non sempre, per arginare le pretese di assolutismo dei diritti, si è mostrato sufficiente il richiamo ai doveri costituzionali di solidarietà. Occorreva qualcosa in più. Occorreva proclamare nel modo più solenne che ogni diritto costituzionale è limitato dagli altri diritti previsti nella Carta.

Così, al fine di rendere non più discutibile che il fondamento ultimo della Costituzione risiede proprio nel bilanciamento fra i diritti, con la sentenza n. 85 del 2013[iv] la Corte costituzionale ha coniato un principio destinato a rimanere nella nostra storia giuridica: “Non esistono diritti tiranni”.

La questione portata all’esame della Corte riguardava il noto caso dell’Ilva di Taranto, acciaieria con una lunga storia di pesante inquinamento in danno della città. Nel dichiarare non fondate le censure di costituzionalità che erano state proposte contro una serie di norme tendenti a “governare” il risanamento dell’acciaieria nell’ambito dell’autorizzazione integrata ambientale (AIA), la Corte ha così sintetizzato il proprio pensiero sul bilanciamento tra i diritti (anche quelli fondamentali):

Tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri. La tutela deve essere sempre sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate e in potenziale conflitto tra loro (sentenza n. 264/2012). Se così non fosse, si verificherebbe l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe ‘tiranno’ nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette, che costituiscono, nel loro insieme, espressione della dignità della persona.

Per questo, conclude la Corte, non si può condividere l’idea secondo la quale l’aggettivo “fondamentale”, contenuto nell’art. 32, sarebbe rivelatore di un “carattere preminente” del diritto alla salute rispetto a tutti i diritti della persona, dunque di una sorta di tirannia del valore costituito dalla salute rispetto agli altri valori costituzionali.

La Corte costituzionale non è arrivata a questo risultato in modo semplice. E infatti nella lunga motivazione:

– si riconosce che il punto di equilibrio contenuto nell’AIA non era necessariamente il migliore in assoluto – essendo ben possibile nutrire altre opinioni sui mezzi più efficaci per conseguire i risultati voluti – ma deve presumersi ragionevole, avuto riguardo alle garanzie predisposte dall’ordinamento quanto all’intervento di organi tecnici e del personale competente, all’individuazione delle migliori tecnologie disponibili, alla partecipazione di enti e soggetti diversi nel procedimento preparatorio e alla pubblicità dell’iter formativo, che mette cittadini e comunità nelle condizioni di far valere i rispettivi punti di vista;

– si ricorda che non rientra nelle attribuzioni del Giudice una sorta di rivalutazione nel merito di quanto deciso dall’autorità amministrativa;

– si sottolinea infine come la normativa esaminata dalla Corte si muova nell’ambito di una doppia emergenza: quella “ambientale, dato il pregiudizio recato all’ambiente e alla salute degli abitanti del territorio circostante”, e quella “occupazionale, considerato che l’eventuale chiusura dell’Ilva potrebbe determinare la perdita del posto di lavoro per molte migliaia di persone (tanto più numerose comprendendo il cosiddetto indotto)”.

Di qui la impellente necessità di un bilanciamento emergenziale, dunque provvisorio, che metta nel conto l’inesistenza di diritti tiranni.

Alcune precedenti decisioni (ad esempio la sentenza n. 127/1990) avevano dato l’impressione che la Corte pretendesse la tutela completa e priva di limiti, volta a volta, di questo o quel diritto, e in particolare di quello all’ambiente salubre. Ed è stato probabilmente proprio lo sviluppo tecnologico repentino degli ultimi decenni a consigliare di rendere più esplicita l’indicazione verso il bilanciamento come regola generale.

Il favore che qui si esprime verso la richiamata decisione della Corte costituzionale non comporta naturalmente alcuna negazione della natura inquinante dell’attività produttiva portata avanti per decenni a Taranto da Ilva, con controlli episodici, insufficienti e inefficienti. Né si può escludere che (come sostenuto da molti cittadini di Taranto) anche alcuni aspetti dell’AIA, con la quale il Governo dell’epoca cercò una via d’uscita da questa situazione, fossero a loro volta inadeguati. Si vuole qui semplicemente manifestare apprezzamento per una decisione che, in via di principio, ha tracciato una linea di fondamentale equilibrio fra diritti in potenziale conflitto che deriva direttamente dalla Costituzione. Il diritto alla salute e il diritto all’ambiente salubre riguardano direttamente la vita delle persone, che però è condizionata anche dalle possibilità di lavoro e di sviluppo economico di una comunità. Con la conseguenza che solo il bilanciamento, purché sia ragionevole, appare conforme a Costituzione. A tale bilanciamento consegue una necessaria gradualità nella fuoriuscita da situazioni di inefficienza o di compromissione ambientale le quali, come non si sono certo determinate in un periodo breve, nemmeno possono concludersi da un momento all’altro.

  1. Successive precisazioni della Corte costituzionale (sentenza n. 58/2018).

Con la sentenza n. 58/2018 la Corte costituzionale è tornata sulla vicenda Ilva. Ancora una volta, infatti, un Tribunale aveva contestato la costituzionalità di un decreto-legge del Governo, giudicandolo eccessivamente “di favore” per questo impianto strategico. Come vedremo, la Corte costituzionale ha questa volta raggiunto una conclusione pratica diversa, dichiarando l’incostituzionalità del decreto-legge, ma ha ribadito il principio secondo il quale nessun diritto può essere “tiranno”. La conclusione diversa è stata motivata con la circostanza che, in questo caso, il Governo non era intervenuto, in sede di decretazione d’urgenza, con lo stesso equilibrio mostrato nell’occasione precedente.

La Corte ha esplicitamente osservato come questo caso si differenzi rispetto a quello deciso con la sentenza n. 85/2013, e debba tuttavia essere deciso proprio “alla luce dei principi ivi stabiliti”. Il bilanciamento pertanto, ricorda la Corte, proprio sulla base della sentenza n. 85/2013, deve “rispondere a criteri di proporzionalità e di ragionevolezza, in modo tale da non consentire né la prevalenza assoluta di uno dei valori coinvolti, né il sacrificio totale di alcuno di loro”, occorrendo una tutela unitaria, sistemica e non frammentata di tutti gli interessi costituzionali implicati. Nel caso allora in giudizio, la Corte, con la citata sentenza n. 85/2013, aveva rigettato la questione di legittimità costituzionale, ritenendo che il legislatore avesse effettuato un ragionevole e proporzionato bilanciamento. In quella ipotesi, infatti, la prosecuzione dell’attività d’impresa era condizionata all’osservanza di specifici limiti, disposti in provvedimenti amministrativi relativi all’autorizzazione integrata ambientale, e assistita dalla garanzia di una specifica disciplina di controllo e sanzionatoria. Nel caso invece oggetto della sentenza n. 58/2018, il legislatore:

non ha rispettato l’esigenza di bilanciare in modo ragionevole e proporzionato tutti gli interessi costituzionali rilevanti, incorrendo in un vizio di illegittimità costituzionale per non aver tenuto in adeguata considerazione le esigenze di tutela della salute, sicurezza e incolumità dei lavoratori, a fronte di situazioni che espongono questi ultimi a rischio della stessa vita.

Infatti, la prosecuzione dell’attività d’impresa era stata subordinata esclusivamente alla predisposizione unilaterale di un “piano” ad opera della stessa parte privata colpita dal sequestro dell’autorità giudiziaria, senza alcuna forma di partecipazione di altri soggetti pubblici o privati.

Considerate queste caratteristiche della norma censurata, è apparso alla Corte chiaro che, a differenza di quanto avvenuto nel 2012, il legislatore ha finito col privilegiare in modo eccessivo l’interesse alla prosecuzione dell’attività produttiva, trascurando del tutto le esigenze di diritti costituzionali inviolabili legati alla tutela della salute e della vita stessa (artt. 2 e 32), cui deve ritenersi inscindibilmente connesso il diritto al lavoro in ambiente sicuro e non pericoloso (artt. 4 e 35).

Il sacrificio di tali fondamentali valori tutelati dalla Costituzione ha portato la Corte a ritenere che la normativa impugnata non rispetti i limiti che la Costituzione impone all’attività d’impresa la quale, ai sensi dell’art. 41 della Costituzione, si deve esplicare sempre in modo da non recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. Rimuovere prontamente i fattori di pericolo per la salute, l’incolumità e la vita dei lavoratori costituisce infatti condizione minima e indispensabile perché l’attività produttiva si svolga in armonia con i principi costituzionali, sempre attenti anzitutto alle esigenze basilari della persona.

Secondo alcune interpretazioni, ad esempio quella di Gianfranco Amendola[v], questa nuova decisione della Corte realizzerebbe una correzione di rotta particolarmente significativa rispetto alla precedente decisione del 2013. In particolare, viene valorizzato il fatto che la sentenza del 2018 ricordi come “l’attività d’impresa … ai sensi dell’art. 41 si deve esplicare sempre in modo da non recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. Questa affermazione comporterebbe una rivalutazione dei principi richiamati nella sentenza del 2013, tanto che l’autore richiamato testualmente conclude: “Vogliamo ancora parlare di “bilanciamenti?”.

In realtà, a mio avviso, questa pronuncia, riprendendo esplicitamente il testo e le motivazioni della sentenza del 2013, ci dice che il bilanciamento in presenza di una situazione di grave pericolo per la stessa vita dei lavoratori deve essere particolarmente rigoroso, ma non esclude affatto in linea di principio la necessità di tale bilanciamento.

Conclusivamente pertanto vi è sostanziale continuità fra la sentenza della Consulta del 2013 e quella del 2018. Le diverse conclusioni cui la Corte giunge nelle due decisioni derivano semplicemente dal fatto che nel primo caso, ma non nel secondo, il legislatore aveva operato un bilanciamento ragionevole e proporzionato fra i diversi interessi e valori in conflitto.

Anzi, è proprio grazie a questa continuità nella giurisprudenza costituzionale nell’invocare il corretto bilanciamento tra i diritti che la tutela ambientale può trovare attuazione pratica ed efficace, e non soltanto verbale o illusoria declamazione.

Il descritto orientamento della Corte costituzionale, che richiede e anzi impone un radicale bilanciamento fra i diritti, ha successivamente trovato conferma nella giurisprudenza. Così, ad esempio, si esprime la recente sentenza 23 settembre 2022 n. 8167 del Consiglio di Stato:

Negli ordinamenti democratici e pluralisti si richiede un continuo e vicendevole bilanciamento tra princìpi e diritti fondamentali, senza pretese di assolutezza per nessuno di essi. Così come per i diritti (sentenza della Corte costituzionale n. 85/2013), anche per gli interessi di rango costituzionale (vieppiù quando assegnati alla cura di corpi amministrativi diversi) va ribadito che a nessuno di essi la Carta garantisce una prevalenza assoluta sugli altri. La loro tutela deve essere “sistemica” e perseguita in un rapporto di integrazione reciproca. La primarietà di valori come la tutela del patrimonio culturale o dell’ambiente implica che gli stessi non possono essere interamente sacrificati al cospetto di altri interessi (ancorché costituzionalmente tutelati) e che di essi si tenga necessariamente conto nei complessi processi decisionali pubblici, ma non ne legittima una concezione totalizzante, come fossero posti alla sommità di un ordine gerarchico assoluto.

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Ambiente come diritto fondamentale

NOTE:

[i] L. Butti, Non esistono diritti tiranni. Come orientarsi tra diritti in conflitto, Mimesis 2023.

[ii] Cfr.: A. Apostoli, I diritti fondamentali “visti” da vicino dal Giudice amministrativo. Una annotazione a “caldo” della sentenza della Corte costituzionale n. 275/2016, in Forum di quaderni costituzionali. Rassegna, 2017; L. Busatta, Oltre il vincolo di bilancio: il nucleo essenziale del diritto alla salute del disabile, in La nuova giurisprudenza civile commentate, 2020, 4, 879-885.

[iii] G. Pino, Conflitto e bilanciamento tra diritti fondamentali. Una mappa dei problemi, in Etica & Politica/ Ethics & Politics, 2006, 1, in http://www.units.it/etica/2006_1/PINO.htm; G. Pino, Diritti e interpretazione. Il ragionamento giuridico nello Stato costituzionale, il Mulino, Bologna 2010.

[iv] M. Boni, Le politiche pubbliche dell’emergenza tra bilanciamento e “ragionevole” compressione dei diritti: brevi riflessioni a margine della sentenza della Corte costituzionale sul caso Ilva (n. 85/2013), in https://www.federalismi.it/nv14/articolo-documento.cfm?Artid=24088&content=&content_author=; D. Canale, G. Tuzet, L’impossibile scala dei diritti, ottobre 2021, https://www.viasarfatti25.unibocconi.it/notizia.php?idArt=23329; V. Cavanna, Ilva: criterio di ragionevolezza e bilanciamento dei diritti (nota a Corte cost. n. 85/2013), in Ambiente e Sviluppo n. 7/2013, p. 631.

[v] G. Amendola, Ilva e il diritto alla salute. La Corte costituzionale ci ripensa?, in https://www.questionegiustizia.it/articolo/ilva-e-il-diritto-alla-salute-la-corte-costituzionale-ci-ripensa-_10-04-2018.php.

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