Coordinamento tra attività di bonifica e interventi edilizi: è possibile?

12 Apr 2019 | articoli, contributi

di Federico Vanetti

Nonostante la bonifica ambientale rappresenti ormai una questione ben nota agli operatori che intendono realizzare interventi di riqualificazione o rigenerazione edilizia e urbanistica, ancora molti sono i profili di incertezza che condizionano la riuscita di un progetto.

Anche di recente, una delle domande più frequenti riguarda il coordinamento degli interventi edilizi con le bonifiche.

La domanda, invero, continua a ripetersi nel tempo a causa di una evidente lacuna normativa, colmata a livello locale da prassi e norme regolamentari non sempre chiare, “illuminate” o uniformi.

Ad avviso di chi scrive, proprio gli interventi normativi più recenti hanno riaperto dubbi e messo in discussioni prassi operative ormai consolidate.

È, pertanto, quanto mai opportuno cercare di fare chiarezza.

Il problema, in estrema sintesi, riguarda la possibilità di poter ottenere o meno un titolo edilizio (permesso di costruire o SCIA) in pendenza della bonifica e di poter avviare o meno i relativi interventi prima che sia conclusa la procedura di ripristino ambientale.

Il d.lgs. n. 152/2006 (art. 239 e ss.) non contiene alcun espresso divieto a svolgere attività edilizia in un sito sottoposto a bonifica.

Anzi, una delle novità introdotte all’epoca dal citato decreto legislativo è la c.d. messa in sicurezza operativa, ossia “l’insieme degli interventi eseguiti in un sito con attività in esercizio atti a garantire un adeguato livello di sicurezza per le persone e per l’ambiente, in attesa di ulteriori interventi di messa in sicurezza permanente o bonifica da realizzarsi alla cessazione dell’attività”.

La disposizione citata, dunque, prevede espressamente che possano sussistere attività in esercizio pur in presenza di una contaminazione del suolo e della falda, ferma la necessità di dover garantire la sicurezza delle persone e dell’ambiente.

Si può, dunque, dedurre che nel novero delle attività in esercizio possano rientrare anche le attività edilizie (si pensi alla ristrutturazione di un capannone industriale o alla realizzazione di una nuova linea di produzione).

L’unico limite imposto dalla norma è la garanzia della salute umana e dell’ambiente, con il che eventuali interventi edilizi potranno essere eseguiti solo laddove siano verificate tali condizioni (es. analisi di rischio sanitaria preventiva, anche solo ai sensi del d.lgs. 81/08 o verifica dell’assenza di contaminazione in relazione all’intervento, ecc.).

Invero, un possibile dubbio interpretativo potrebbe originare dalla previsione più recentemente introdotta dal d.l. n. 133/14, art. 34, comma 7, il quale consente la realizzazione di opere lineari “nei siti contaminati, nei quali sono in corso o non sono ancora avviate attività di messa in sicurezza e di bonifica … a condizione che detti interventi e opere siano realizzati secondo modalità e tecniche che non pregiudicano né interferiscono con il completamento e l’esecuzione della bonifica, né determinano rischi per la salute dei lavoratori e degli altri fruitori dell’area”.

Poiché il legislatore ha ritenuto di dover introdurre una previsione specifica per le opere lineari, ragionando a contrario, si potrebbe ritenere che al di fuori di questa specifica ipotesi non sia consentito realizzare opere edili in sito sottoposto a bonifica.

Per le ragioni che verranno illustrate nel prosieguo, tale interpretazione pare eccessivamente restrittiva e illogica.

La questione è stata affrontata anche a livello locale da diverse regioni e Comuni, che hanno adottato norme specifiche volte a disciplinare più nel dettaglio il coordinamento degli interventi ambientali con quelli edilizi.

Si pensi, ad esempio, alla legge regionale toscana n. 28/1998 che, all’art. 13bis[i], ammette in un sito sottoposto a bonifica interventi fino alla ristrutturazione edilizia “… a condizione che non interferiscano con il suolo, sottosuolo e la falda e non ostacolino la realizzazione delle eventuali opere di bonifica”.

In caso di contaminazione della sola falda, il medesimo articolo consente di realizzare ulteriori e diversi interventi edilizi previa verifica delle condizioni di sicurezza e salute, ma solo nel caso in cui il proprietario “dimostri che l’inquinamento della falda non abbia avuto origine da attività svolte o da fatti verificatisi sul terreno di sua proprietà, allo stesso imputabili”.

Tale ulteriore condizione, invero, cela quasi una disposizione di carattere sanzionatorio a carico dell’eventuale responsabile della contaminazione della falda, a cui è preclusa la possibilità di svolgere attività edilizia sulla propria area sebbene i terreni non siano oggetto di bonifica.

La disposizione regionale nel suo complesso, pur perseguendo la nobile finalità di fare chiarezza e pur stabilendo principi e condizioni assolutamente condivisibili, finisce per restringere eccessivamente la maglia degli interventi edilizi ammessi in un sito sottoposto a bonifica.

Altro esempio di disciplina locale è il Regolamento Edilizio del Comune di Milano che, all’art. 10, impone una indagine preliminare su specifiche aree oggetto di interventi di riqualificazione, ovvero di cambi d’uso significativi ovvero di cessioni a favore del Comune.

Possibili limitazioni derivano non solo da disposizioni regolamentari specifiche, ma anche dall’impostazione degli strumenti attraverso cui programmare l’attività edilizia.

Si pensi alla d.g.r. Lombardia n. 784/2018 che ha approvato la nuova modulistica unificata e standardizzata per l’attività edilizia, la quale contempla due ipotesi di dichiarazione sulle condizioni ambientali del suolo: esecuzione di una indagine preliminare con esito favorevole, ovvero conclusione degli interventi di bonifica.

Anche in questo caso, una lettura restrittiva di tale modulistica porterebbe ad escludere che possano essere richiesti o assentiti titoli edilizi in presenza di una contaminazione o potenziale contaminazione, non essendo considerata tale casistica dal modulo.

Gli esempi sopra citati dimostrano come l’assenza di una norma di coordinamento a livello nazionale crei in capo agli enti locali dubbi interpretativi che portano ad una propria autoregolamentazione della fattispecie.

Le disposizioni locali, poi, sebbene finalizzate a fare chiarezza, si rivelano anch’esse spesso inadeguate e carenti, in quanto non riescono a disciplinare compiutamente le numerose fattispecie che interessano un processo di riqualificazione ambientale e urbanistica e, quindi, sebbene inspirate a principi condivisibili, finiscono per risultare eccessivamente limitative.

Basti pensare alle demolizioni di edifici dismessi o alla realizzazione di paratie di scavo.

Queste attività sono evidentemente di natura edilizia, ma potrebbero risultare necessarie o propedeutiche alla bonifica del sito e, quindi, dovrebbero essere autorizzate e realizzate prima o contestualmente agli interventi ambientali.

Le disposizioni sopra richiamate, inoltre, non differenziano il caso del rilascio del titolo edilizio, dall’esecuzione dei relativi lavori e dal rilascio del certificato di agibilità.

Questi tre momenti, invero, assolvono ognuno una diversa funzione sostanziale nel processo di rigenerazione.

Il rilascio del titolo edilizio, infatti, è quasi sempre condicio sine qua non per ottenere il finanziamento dell’intervento che include spesso anche la bonifica ambientale. Impedire, dunque, il rilascio del titolo in pendenza della bonifica equivale, nella maggior parte dei casi, a bloccare la bonifica stessa.

Per quanto riguarda, invece, la realizzazione degli interventi edilizi in pendenza della bonifica, occorre distinguere a seconda dei casi.

È evidente che se l’intervento edilizio è incompatibile con la bonifica, perché la presuppone (es. scavo di bonifica in corrispondenza dello scavo edilizio) ovvero perché la può precludere (nuova edificazione su un’area non ancora caratterizzata), le fasi ambientali diventano un presupposto e, quindi, una condizione per la realizzazione dell’opera.

Di contro, l’attività edilizia può essere portata avanti parallelamente o indipendentemente dalla bonifica, ogni qual volta sia verificato che l’intervento edilizio non interferisce con quello di bonifica (ad esempio, perché realizzato su una parte di area non contaminata all’interno di un sito potenzialmente contaminato).

In alcuni casi, infine, potrebbe risultare addirittura più utile completare la bonifica dopo gli interventi edilizi. Si pensi ad un intervento di messa in sicurezza permanente (capping) da realizzarsi su aree esterne di pertinenza dei futuri edifici: tali spazi saranno interessati dal cantiere per la realizzazione delle opere future, con il che risulterebbe più logico realizzare l’impermeabilizzazione in una fase successiva, così da evitare che la fase di cantiere possa in qualche modo comprometterla.

Ovviamente, la possibilità di coordinare l’attività edilizia a quella di bonifica dovrebbe restare subordinata alla verifica delle condizioni di sicurezza durante la fase di cantiere (garantita ai sensi del d.lgs. 81/2008) e alla valutazione definitiva del rischio salute e ambiente per gli utilizzatori finali.

L’assenza di tale ultima condizione, quindi, non dovrebbe tanto impedire i lavori in sé, quanto invece l’ottenimento l’agibilità dei nuovi edifici.

In considerazione di quanto sopra, pare estremamente difficile e ambizioso cercare di scrivere una norma che disciplini ogni possibile ipotesi di coordinamento, risultando di contro auspicabile una disposizione di principio che consenta esplicitamente la possibilità di ottenere il titolo edilizio anche prima dell’inizio dei lavori di bonifica, consentendo altresì di realizzare quegli interventi edilizi compatibili con la bonifica, magari previo semplice “nulla osta” rilasciato dagli enti di controllo[ii].

Invero, forse non servirebbe neppure una norma, essendo tale principio già ricavabile dal d.lgs. n. 152/2006, risultando quindi sufficiente agire a livello applicativo.

[i] Più recentemente introdotto dalla l.r. 61/2014.

[ii] Questa in effetti era la prassi in uso a Milano fino a qualche anno fa.

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