Vincolo paesaggistico e vincolo Archeologico: due lati della stessa medaglia?

03 Nov 2022 | giurisprudenza, amministrativo, in evidenza 1

di Ada Lucia De Cesaris e Maria Gabriella Marrone

Consiglio di Stato, Sez. VI, 4 luglio 2022, n. 5536– Pres. Tarantino, Est. Caputo – C-S.S. (Avv. Ciaffi) c. Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo (Avv. gen. St.) e Soprintendenza Archeologica Belle Arti e Paesaggio della Basilicata (non costituita)

Il vincolo paesaggistico per le zone di interesse archeologico, regolato dall’art. 142 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, è di tipo ubicazionale e ha la funzione di tutelare i siti al fine di garantire la conservazione del contesto di giacenza del patrimonio archeologico nazionale. Questo vincolo quindi prescinde dall’accertamento, in via amministrativa o legale, dell’interesse archeologico dell’area. Al contrario, il vincolo archeologico, previsto dagli art. 136 ss. del predetto Codice, presuppone un’intrinseca valenza archeologica del bene su cui viene apposto e ha ad oggetto direttamente il bene e non anche il territorio su cui esso si trova.

L’apposizione di un vincolo archeologico su un bene rinvenuto in un’area interessata dall’installazione di un impianto alimentato da fonti sostenibili non preclude la possibilità di realizzazione dell’impianto stesso giustificando, se del caso, il rinnovo o la riapertura del procedimento di rilascio dell’Autorizzazione Unica al fine di contemperare i diversi interessi pubblici in gioco.

Nella sentenza in commento il Consiglio di Stato ha ribadito la differenza sostanziale tra il vincolo paesaggistico che grava sulle zone di interesse archeologico, istituito dalla legge n. 431 del 1985 (c.d. “Legge Galasso”), e il vincolo archeologico previsto originariamente dagli artt. 1 e 3 della legge n. 1089 del 1989 ed oggi disciplinati, rispettivamente, dall’art. 142 e dagli artt. 136 e seguenti del Codice dei beni culturali e del paesaggio.

La vicenda, che ha consentito al Consiglio di Stato di ribadire la natura e, quindi, i confini tra le due tipologie di tutela, riguardava l’imposizione di un vincolo archeologico su di un reperto rinvenuto all’interno di un’area che, a seguito del rilascio di un’Autorizzazione Unica[i], avrebbe dovuto essere utilizzata per la realizzazione di un impianto di produzione energetica da fonti rinnovabili.

Sull’area e sull’intera zona circostante erano, infatti, stati rinvenuti alcuni reperti storici e, in particolare, a fronte del ritrovamento di un manufatto di epoca greca di notevole importanza archeologica, la Soprintendenza Archeologica aveva apposto, sul manufatto, il vincolo archeologico ai sensi degli artt. 136 ss. del Codice dei beni culturali.

Il decreto di vincolo è stato oggetto di ricorso avanti al Tar Basilicata che ne aveva dichiarato l’irricevibilità per scadenza dei termini per la sua proposizione.

Avverso tale decisione era proposta impugnazione nella quale, nel merito, l’appellante sosteneva che il parere favorevole espresso dalla Soprintendenza, in sede di conferenza di servizi per il rilascio dell’Autorizzazione Unica, avrebbe precluso la possibilità di assoggettare, successivamente, l’immobile, insistente sull’area, al vincolo archeologico.

Il Consiglio di Stato, nella sentenza in commento, ritenendo, al contrario del Tar, che il ricorso fosse stato ritualmente presentato, ha, quindi, sul punto riformato la sentenza di primo grado ma ha respinto l’appello con riferimento ai motivi di merito dovendosi, contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante, distinguere due diverse ed autonome tipologie di tutela: il vincolo paesaggistico sulle zone di interesse archeologico da una parte e il vincolo archeologico sui beni di rilevanza storica dall’altra.

Reca, infatti, la sentenza che “la legge Galasso (n.d.r. oggi l’art. 142 del Codice dei beni culturali) ha posto l’accento sulla nozione di «zona», assoggettando a vincolo paesaggistico i territori interessati da presenze di rilevanza archeologica, che vengono tutelati non per la loro facies, bensì per l’attitudine alla conservazione del contesto di giacenza del patrimonio archeologico nazionale” laddove “il vincolo archeologico di cui agli artt. 1 e 3 l. n. 1089 del 1989 (n.d.r. artt. 136 e ss. del Codice dei beni culturali) presuppone un’intrinseca valenza archeologica del bene su cui viene apposto ed ha pertanto ad oggetto diretto il bene e non il territorio su cui esso si trova”.

È evidente, quindi, che le due tipologie di tutela, sia pur complementari alla conservazione e alla valorizzazione del patrimonio archeologico, considerato interesse preminente dell’agire pubblico, differiscono quanto all’ampiezza e all’oggetto del vincolo in quanto, nella prima ipotesi, esso interessa e contempla un’intera zona e, nella seconda, un singolo bene.

Secondo il Consiglio di Stato, inoltre, non si può neppure ritenere che l’interesse alla tutela possa recedere a fronte della necessità di garantire lo sviluppo di impianti energetici alimentati da fonti rinnovabili, come pure sostenuto dall’appellante. Sul punto, la sentenza in commento rinvia alla recente modifica dell’art. 9 della Costituzione la quale, accanto alla tutela del patrimonio artistico e storico della Nazione, pone, in posizione paritaria, la tutela dell’ambiente realizzabile anche mediante lo sviluppo di fonti di energia rinnovabile.

Ad avviso del giudice di secondo grado, la sopravvenuta emersione di reperti archeologici autorizzava, quindi, la Soprintendenza ad apporre, sulla base di una valutazione di merito sottratta al sindacato di legittimità, il vincolo archeologico sul bene rinvenuto sull’area, anche successivamente al rilascio dell’Autorizzazione Unica. Vincolo che, però, non implica l’impossibilità di realizzare l’impianto energetico in quanto, nell’ottica del bilanciamento tra gli interessi coinvolti, esso potrebbe comportare, al più, la riapertura del procedimento volto al rilascio dell’Autorizzazione Unica, sede in cui le parti possono illustrare le proprie istanze e trovare una composizione ai diversi interessi.

Il ragionamento contenuto nella sentenza si pone in linea con le più recenti riforme approvate per consentire la realizzazione degli impianti energetici da fonti rinnovabili, in particolare per quelli oggetto di finanziamento con le risorse del PNRR, dove l’obiettivo è proprio quello di non rinunciare al vincolo ma trovare le condizioni per contemperarlo con le esigenze di realizzazione di impianti necessari alla transizione ecologica[ii].

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De Cesaris_Marrone_Cons. St n. 5536_2022 (1)

Per il testo della sentenza (estratto dal sito istituzionale della Giustizia Amministrativa) cliccare sul pdf allegato.

Cds_5536_2022

NOTE:

[i] L’Autorizzazione Unica, prevista dell’articolo 12 del D. Lgs. n. 387 del 2003, razionalizza il procedimento autorizzatorio sostituendo tutti i necessari pareri e nulla osta richiesti per l’installazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili.

[ii] Ad esempio, l’articolo 30 del D.L. n. 77 del 31 maggio 2021 (convertito con legge n. 108 del 29 luglio 2021) ha modificato il predetto articolo 12 del D. Lgs. n. 387 del 2003 introducendo il comma 3-bisIl Ministero della cultura partecipa al procedimento unico ai sensi del presente articolo in relazione ai progetti aventi ad oggetto impianti alimentati da fonti rinnovabili, comprese le opere connesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all’esercizio degli stessi impianti, localizzati in aree sottoposte a tutela, anche in itinere, ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, nonché nelle aree contermini ai beni sottoposti a tutela ai sensi del medesimo decreto legislativo.”

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