Consiglio di Stato, sez. VI – 28 aprile 2025, n. 3575
Le prescrizioni di tutela indiretta, di cui all’art. 45 del Codice dei beni culturali (Dlgs 42/2994), hanno la funzione di completamento pertinenziale della visione e della fruizione dell’immobile principale, gravato da vincolo ‘diretto’.
Nell’adozione del provvedimento ex art. 45 del Codice dei beni culturali, l’amministrazione preposta può essere chiamata a prendere in considerazione anche interessi diversi e ulteriori rispetto a quello culturale. Va infatti considerata superata la dottrina tradizionale della discrezionalità amministrativa che considerava alcuni interessi secondari. Ciò in quanto, come per i diritti, a nessuno degli interessi di rango costituzionale la Carta riconosce una prevalenza assoluta su altri.
L’esame giurisdizionale del provvedimento di vincolo indiretto deve condursi anche tenendo conto del principio di proporzionalità, non solo con riguardo alle componenti della idoneità e della necessarietà, ma anche con riguardo al profilo della ‘proporzionalità in senso stretto’, che implica che una misura adottata dai pubblici poteri non debba mai essere tale da gravare in maniera eccessiva sul titolare dell’interesse contrapposto, così da risultargli intollerabile.
La Sovrintendenza può escludere alcune tipologie di immobili o specifiche destinazioni d’uso degli stessi dall’applicazione delle prescrizioni dettate per il vincolo, tuttavia l’esclusione e quindi l’eccezione deve essere supportata da una adeguata motivazione, che tenga conto del principio di proporzionalità e che chiarisca le eventuali ragioni poste a fondamento dell’esclusione.
Il Consiglio di Stato, riformando la sentenza di primo grado del TAR Liguria, annulla parzialmente un decreto della Commissione Regionale per il patrimonio culturale della Liguria con cui alcune aree e alcuni fabbricati sono stati sottoposti a tutela indiretta ex art. 45 del codice dei beni culturali (D.lgs. 42/2004).
Il giudizio ha come oggetto un provvedimento emanato successivamente ad un precedente annullamento, conseguente ad una pronuncia sempre del Consiglio di Stato (sez. VI n. 4685/2021), per difetto di istruttoria.
La ricorrente e poi l’appellante è Italia Nostra Onlus.
La sentenza accoglie un motivo di appello con riferimento all’assenza di motivazione.
Tuttavia il Consiglio di Stato utilizza questa occasione per definire le linee che caratterizzano la funzione della tutela indiretta, nella sua natura di c.d. vincolo di completamento. Una tutela le cui prescrizioni hanno carattere di strumentalità o accessorietà rispetto alla necessità di garantire la tutela del bene culturale oggetto di vincolo diretto. Si afferma in particolare che “i beni oggetto di tutela indiretta vengono quindi asserviti ai beni culturali al fine di garantire a questi ultimi una “fascia di rispetto”, funzionale alla massima espressione del loro valore culturale.” Si tratterebbe quindi di una funzione servente, al fine di garantire la visione e la fruizione del bene gravato da vincolo diretto.
Funzione che viene esercitata attraverso l’introduzione di prescrizioni sulle aree e gli immobili circostanti al bene oggetto di tutela diretta, prescrizioni solo in parte tipizzate, laddove la normativa da una parte prevede espressamente la possibilità di introdurre distanze e luci, dall’altra però ammette in modo piuttosto ampio anche l’imposizione di altre disposizioni, che l’amministrazione è libera di introdurre di volta in volta, a garanzia del perseguimento dell’obiettivo di tutela.
Secondo il giudice amministrativo l’esercizio del potere di cui all’art. 45 del Codice dei beni culturali presenta dei profili di “discrezionalità mista“. Pertanto nell’individuare le prescrizioni per il vincolo indiretto, l’autorità di tutela deve contemperare sia esigenze di cura e integrità, sia la necessità di fruizione e valorizzazione del bene culturale. A ciò si aggiunga che non si può escludere che si tengano anche in conto interessi ulteriori, diversi da quello culturale.
Afferma in proposito il Collegio che “negli ordinamenti democratici e pluralisti si richiede un vicendevole bilanciamento tra principi e diritti fondamentali, senza pretese di assolutezza per nessuno di essi. Così come per il ‘diritti’ (sentenza della Corte Costituzionale n. 85 del 2013), anche gli ‘interessi’ di rango costituzionale (vieppiù quando assegnati alla cura di corpi amministrativi diversi) va ribadito che a nessuno di essi la Carta garantisce prevalenza assoluta sugli altri. La loro tutela deve essere ‘ sistemica’ e perseguita in un rapporto di integrazione reciproca”. Ciò in continuità con quella giurisprudenza amministrativa che ritiene che l’esame del provvedimento del vincolo indiretto debba considerare anche il rispetto del principio di proporzionalità, non solo considerando l’idoneità delle prescrizioni, ai fine del raggiungimento dell’obiettivo di tutela, e della necessarietà delle stesse, ma anche verificando il peso della misura imposta, in quanto questa non deve mai essere tale da gravare in maniera eccessiva sul titolare dell’interesse contrapposto da risultargli intollerabile (c.d. proporzionalità in senso stretto).
Pur nel quadro sopra esposto, il Consiglio di Stato ricorda però che le prescrizioni devono comunque essere frutto di attenta istruttoria e adeguatamente motivate, oltre a dimostrarsi coerenti con gli obiettivi di tutela. In ragione di ciò, è stata valutata illegittima una disposizione del provvedimento impugnato, non motivata, che ha disposto l’esclusione solo di una destinazione d’uso (la sanitaria nel caso specifico) dall’applicazione delle specifiche prescrizioni introdotte per la realizzazione di eventuali nuovi edifici, volte a preservare la ‘leggibilità’ e la ‘percezione’ dell’edifico storico e “del decoro dell’intorno”.
È evidente che l’autorità di tutela ha voluto consentire nel caso di realizzazione di strutture sanitarie maglie molto più ampie, scelta, seguendo il Consiglio di Stato nella sua ricostruzione dei principi che afferiscono all’imposizione di un vincolo indiretto, ammissibile purché supportata da idonea motivazione, con attenzione al principio di proporzionalità e dando conto in modo espresso delle ragioni dell’esclusione. Si legge infatti nella sentenza che qualora “la Soprintendenza avesse voluto favorire la costruzione di nuove strutture sanitarie…avrebbe dovuto dare conto di ciò nella propria motivazione, ponendo a fondamento della stessa un’accurata istruttoria idonea ad acquisire e ponderare tra loto tutti gli interessi rilevanti”.
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