Sulla responsabilità derivante dall’utilizzo di materiali riciclati inquinanti

02 Giu 2023 | giurisprudenza, amministrativo

Di Ada Lucia De Cesaris

TAR Toscana, Sez. II, 13 marzo 2023, n. 270 – Pres. Riccardo Giani, Est. Nicola Fenicia – A. C. S.r.l. – (Avv. Viciconte), Comune di Pontedera– (Avv. Falorni), G. P. S.r.l. (Avv. Traina), F. R. (n.c.), Agenzia Regionale Protezione Ambiente (Arpa) – Toscana (n.c.), Agenzia Regionale Protezione Ambiente (Arpa) – Toscana – Area Vasta Costa – Dipartimento di Pisa (n.c.), L. S.r.l. (n.c.), F. L. (n.c.).

I materiali aggregati riciclati, certificati con marcatura CE, successivamente risultati contaminati sono equiparati ai rifiuti e ad essi, qualora sparsi sul suolo ma ancora separabili dallo stesso, si applica la disciplina in materia di rifiuti e non quella relativa alle bonifiche.

L’obbligo di riparare gli eventuali danni da inquinamento a titolo di responsabilità oggettiva sussiste solo in presenza di specifiche attività, espressamente individuate dalla normativa e tra le quali sicuramente non può ritenersi ricompresa una comune attività edilizia, priva di qualsiasi presunzione di pericolosità.

La presenza di un certificato di idoneità all’uso di un materiale aggregato riciclato, suffragato da prove di laboratorio, costituisce un legittimo affidamento che esclude qualsiasi responsabilità soggettiva, anche a titolo di colpa, in capo al soggetto che ha utilizzato il materiale stesso.

La vicenda di cui alla sentenza in commento ha ad oggetto l’utilizzo per la realizzazione di una pedana a contatto con il suolo di “materiali aggregati riciclati” (KEU), provenienti da trattamento di residui industriali, prodotti da una società autorizzata e certificati con marcatura CE che, in seguito a un controllo, sono risultati contaminati.

Il Comune interessato a fronte del riscontro della contaminazione del materiale utilizzato ha conseguentemente emesso due ordinanze, intimando alla società ritenuta responsabile dell’abbandono di rifiuti e alla società proprietaria dei terreni di provvedere in solido, ai sensi dell’art. 192, comma 3, del D.Lgs. n. 152/2006, alla rimozione e smaltimento dei materiali equiparabili a rifiuti.

Le due società, con separati ricorsi, successivamente riuniti, hanno impugnato i provvedimenti avanti al TAR Toscana, contestandone la legittimità sotto numerosi profili.

La società che aveva utilizzato i materiali, poi risultati contaminati, contestava innanzitutto la propria responsabilità, rivendicando la buona fede e l’affidamento indotto dal fatto che si trattava di un prodotto certificato, sostenendo peraltro l’illegittimità dell’applicazione della disciplina sui rifiuti, reputando che, nel caso di specie, il Comune avrebbe dovuto semmai applicare la normativa relativa alle bonifiche.

La società proprietaria dell’area, a sua volta, negava un suo coinvolgimento in termini di responsabilità per quanto accaduto, in considerazione delle pattuizioni contenute nel contratto di appalto. Anch’essa poi richiamava la situazione di affidamento connessa alla certificazione del materiale.

Il TAR ha accolto i ricorsi, reputando che effettivamente per quanto accaduto non fosse rinvenibile alcuna responsabilità in capo alle due società, neppure a titolo di colpa.

Ma andiamo con ordine.

La sentenza in commento innanzitutto chiarisce che non vi possono essere dubbi in merito al fatto che la disciplina applicabile al caso concreto deve essere quella che regola l’uso dei rifiuti.  Ciò sia perché “gli aggregati riciclati industriali, provenendo da un impianto di trattamento di rifiuti, sono stati reimmessi sul mercato come prodotti riciclati solo perché dotati di certificazione di idoneità all’uso previsto apparentemente valide, dovendo altrimenti, gli stessi, essere conferiti in discarica”, sia perché i materiali utilizzati, poi risultati contaminati, seppur sparsi sul suolo, sono rimasti separabili dallo stesso, determinando, a tutti gli effetti, una situazione equiparabile all’abbandono di rifiuti.

È interessante in proposito evidenziare come secondo il TAR a determinare la tipologia di disciplina, rifiuti o bonifiche, non sia quindi esclusivamente la natura di rifiuto assegnata all’aggregato riciclato risultato contaminato, ma anche il fatto che il suo utilizzo non ne abbia determinato una commistione con il suolo, mantenendolo distinto e quindi autonomamente individuabile.

Chiarito il quadro normativo di riferimento, la sentenza si dedica poi alla individuazione di possibili responsabilità e a tal fine ripercorre i principi, introdotti dalla normativa europea e nazionale, che individuano le ipotesi di responsabilità soggettiva e quelle di responsabilità oggettiva in materia di inquinamento.

Il TAR esclude che il caso in esame possa rappresentare un caso di responsabilità oggettiva, in particolare con riferimento all’utilizzatore dell’aggregato, in quanto questa tipologia di responsabilità deve ritenersi applicabile solo a quegli “operatori economici che producono e ritraggono profitto attraverso l’esercizio di attività pericolose in quanto ex se inquinanti”. L’obbligo di riparare gli eventuali danni da inquinamento senza che sia necessario accertare la sussistenza di comportamenti dolosi o colposi ricorre infatti solo in presenza di specifiche attività, peraltro espressamente individuate dalla normativa e tra le quali sicuramente non può ritenersi ricompresa una comune attività edilizia, priva di qualsiasi presunzione di pericolosità.

Rimane pertanto da valutare la sussistenza di una ipotesi di responsabilità soggettiva, verificando se nel caso specifico siano ravvisabili dolo o colpa nel comportamento sia della società che ha utilizzato gli aggregati, sia della società proprietaria dell’area.

Ebbene, secondo il TAR Toscana il fatto che l’aggregato riciclato utilizzato fosse munito di certificazione, con marcatura CE, suffragata da prove di laboratorio, porta ad escludere anche qualsiasi coinvolgimento soggettivo, anche solo a titolo di colpa, da parte di chi lo ha utilizzato, ancorché poi risultato contaminato. Secondo il giudice amministrativo il certificato di marcatura CE, ha infatti attestato l’idoneità all’impiego del materiale, generando un legittimo affidamento delle due società ricorrenti in merito alla tipologia e alle caratteristiche del prodotto, legittimandone l’utilizzo, senza che fosse necessaria alcuna ulteriore verifica.

La conclusione del TAR, che annulla le ordinanze, affermando l’assenza di responsabilità da parte di chi in piena buona fede ha utilizzato un materiale riciclato certificato, è sicuramente condivisibile. Tuttavia la sentenza, nonostante i motivi di ricorso ne facciano cenno, lascia irrisolto il problema inerente la necessità di individuare l’effettivo responsabile nell’aver messo in circolazione un prodotto che, ancorché certificato, è poi risultato contaminato. Un cenno in tal senso avrebbe permesso all’amministrazione di indirizzare meglio il suo operato successivo, accelerando le ulteriori attività di accertamento, che comunque dovranno essere avviate, salvo non voler far gravare sull’amministrazione i costi di allontanamento e smaltimento dei materiali inquinati.

SCARICA L’ARTICOLO IN PDF

De Cesaris TAR Toscana 270_2023 letto rt

Per il testo della sentenza (estratto dal sito istituzionale della Giustizia Amministrativa) cliccare sul pdf allegato

Tar Toscana n.270_2023

Scritto da