Sulla possibilità dei Comuni di adottare una specifica regolamentazione dell’emissione e dell’immissione di rumori

27 Ott 2020 | giurisprudenza, amministrativo

di Ada Lucia De Cesaris ed Eleonora Gregori Ferri

Cons. Stato, Sez. II, 27 aprile 2020, n. 2684 – Pres. Cirillo, Est. Guarracino – D. S.r.l. (Avv.ti Tomasoni e Pafundi) c. Comune di Rovereto (Avv.ti Manica e Di Rienzo) e Dirigente del Servizio Verde e Tutela Ambientale del Comune di Rovereto (non costituito in giudizio). 

Nel nostro sistema processuale amministrativo non sussiste la regola dello ‘stare decisis’, se non con esclusivo riferimento al principio di diritto enunciato dal Consiglio di Stato in adunanza plenaria, ai sensi e nei termini di cui all’art. 99 c.p.a.

L’eccezione di giudicato esterno presuppone che vi sia identità perfetta di soggetti e di oggetto e, dunque, una piena concordanza fra gli elementi su cui debba esprimersi il secondo giudice e gli elementi distintivi della decisione emessa per prima. Si ha infatti un giudicato esterno quando la pronuncia antecedente ha accertato lo stesso fatto o un fatto antitetico, e non quando la stessa abbia accertato un fatto costituente soltanto un possibile antecedente logico della pronuncia successiva.

I beni giuridici protetti dalla legge 26 ottobre 1995, n. 447 (cd. ‘legge quadro sull’inquinamento acustico’) coesistono con il bene giuridico della ‘pubblica tranquillità’, la cui tutela è affidata a norme con obiettivi e struttura diversi. Pertanto,  è  riconosciuta la possibilità a tutti i Comuni – e dunque non solo a quelli di rilevante interesse paesaggistico-ambientale e turistico – di adottare una più specifica regolamentazione dell’emissione e dell’immissione dei rumori nel loro territorio la quale, oltre ad introdurre i limiti di legge, può regolare anche gli effetti negativi provocati dall’impiego di determinate sorgenti sonore sulle occupazioni o sul riposo delle persone e, quindi, sulla tranquillità pubblica o privata, introducendo anche  fasce orarie per lo svolgimento di  determinate attività.

Il contenzioso alla base della pronuncia in esame ha ad oggetto l’impugnazione di un provvedimento di diffida all’esercizio, nella fascia oraria notturna, dell’attività di un autolavaggio self-service, per contrarietà alle prescrizioni contenute nel regolamento comunale in materia di inquinamento acustico.

In primo grado la società ricorrente aveva sostenuto che tali prescrizioni non imponevano la chiusura dell’impianto nel periodo notturno. Ciò, sulla base dell’interpretazione del previgente regolamento, resa dal T.A.R. in una precedente sentenza tra le parti, in cui il giudice aveva stabilito che il Comune non potesse inibire l’esercizio dell’attività della ricorrente, fuori dai casi di superamento dei limiti di rumorosità imposti dalla legge n. 447/1995 (cd. “legge quadro sull’inquinamento acustico”).

Diversamente, nel primo grado del presente appello, il T.A.R. aveva respinto la censura e ritenuto legittimo il nuovo regolamento, secondo cui l’esercizio dell’attività di autolavaggio è consentita solo in orario diurno.

Avanti il Consiglio di Stato si pone, dunque, in prima istanza, il tema se sussista o meno un vincolo all’attività interpretativa del giudice, derivante da una precedente sentenza resa dallo stesso tra le medesime parti.

In merito, il Consiglio di Stato ha ricordato che: “[n]el nostro sistema processuale amministrativo non sussiste la regola dello stare decisis, se non con esclusivo riferimento al principio di diritto enunciato da questo Consiglio in Adunanza plenaria, ai sensi e nei termini di cui all’art. 99 c.p.a.” (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 13 maggio 2015, n. 2398). Né si può affermare che sussista un giudicato esterno laddove, come nel caso di specie, vi sia identità perfetta di soggetti, ma non di oggetto – in quanto la prima sentenza aveva deciso sulla domanda di annullamento del regolamento acustico, mentre la seconda sulla domanda di annullamento del provvedimento di diffida.

Esclusa la sussistenza di vincoli all’attività interpretativa del giudice, il Consiglio di Stato affronta  poi  il tema della legittimità della regolamentazione comunale in materia di  emissione e  immissione di rumori.

Partendo dal regolamento comunale sull’inquinamento acustico vigente nel caso di specie, il Collegio rileva che in tali prescrizioni coesistono due fattispecie distinte: la disciplina concernente l’esercizio di attività in cui si fanno uso di apparecchiature rumorose e la disciplina più generale riguardante lo svolgimento di dette attività in aree aperte al pubblico. Attività che tale regolamento consente – nel rispetto dei limiti di legge per le immissioni acustiche – soltanto in determinati orari, a tutela delle occupazioni e del riposo dei residenti.

Osserva dunque il Collegio che, in materia di inquinamento acustico, ai vincoli imposti dalla normativa nazionale si aggiungono quelli contenuti nei regolamentari locali, che possono porre divieti – anche di carattere assoluto – allo svolgimento di determinate attività in orario notturno, a prescindere da eventuali indagini sul rispetto dei limiti di emissione acustica, rilevanti solo per le attività espletate negli orari consentiti.

Ciò, precisa il Consiglio di Stato, non pone il regolamento comunale in contrasto con le norme di rango primario, posto che la giurisprudenza ha già più volte affermato che: “[l]a tutela del bene giuridico protetto dalla legge quadro 26 ottobre 1995 n. 447 (…) coesiste con la tutela del diverso bene giuridico che è costituito dalla pubblica tranquillità, trattandosi di beni presidiati da norme con obiettivi e struttura diversi”, riconoscendo ai Comuni la “possibilità di adottare una più specifica regolamentazione dell’emissione e dell’immissione dei rumori nel loro territorio, la quale, nel rispetto dei vincoli derivanti dalla l. n. 447 del 1995, prenda in considerazione, non già il dato oggettivo del superamento di una certa soglia di rumorosità – considerato, per presunzione iuris et de iure, come generativo di un fenomeno di inquinamento acustico (…) – ma i concreti effetti negativi provocati dall’impiego di determinate sorgenti sonore sulle occupazioni o sul riposo delle persone, e quindi sulla tranquillità pubblica o privata”.

Principio, questo, valevole per tutti i Comuni e non soltanto per quelli di rilevante interesse paesaggistico-ambientale e turistico, come ulteriormente chiarito dal Collegio.

Quindi, sebbene gli enti locali non possano introdurre, con regolamento, limiti alle immissioni sonore diversi e comunque inferiori a quelli previsti dalla l. n. 447 del 1995, ben possono i Comuni “dettare disposizioni particolari (…) che vietino non già le immissioni sonore che superano una soglia acustica prestabilita, ma tutte quelle che comunque nuocciano alla quiete e alla tranquillità pubblica o privata, quale che sia il loro livello acustico. Deve [infatti] riconoscersi ai Comuni la competenza ad adottare misure di contenimento dell’inquinamento acustico, anche introducendo fasce orarie non direttamente collegate con il superamento dei limiti fissati per le immissioni sonore” (Consiglio di Stato, sez. V, 28 febbraio 2011, n. 1265).

In conclusione, non vi è contrasto tra le norme di rango primario in materia di inquinamento acustico ed eventuali prescrizioni regolamentari adottate dai singoli Comuni a tutela della quiete pubblica, che impongano l’assenza di rumore in determinate fasce orarie al fine di mitigare quelle emissioni sonore che, pur rientrando nei limiti, possono arrecare disturbo alla pubblica tranquillità.

Per il testo della sentenza cliccare sul pdf allegato (estratto dal sito di Giustizia Amministrativa).

De Cesaris-Gregori Ferri_CDS 2684_2020

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De Cesaris-CDS 2684_2020

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