Responsabilità e obblighi del proprietario di un’area su cui insistono rifiuti abbandonati

28 Nov 2021 | giurisprudenza, amministrativo

di Ada Lucia De Cesaris e Eleonora Gregori Ferri

Consiglio di Stato, Sez. II, 1 settembre 2021, n. 6179 – Pres. Lotti, Est. Luttanzi – M S.r.l. (avv.ti Gerbi e Greco) c. Comune di La Spezia (avv.ti Carrabba, Furia, Puliga e Corbyons) e n.c.d. Regione Liguria e Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente – Arpal, non costituite in giudizio 

Un soggetto che acquista un terreno conoscendone la situazione di dissesto ambientale non si qualifica come “proprietario incolpevole” e, pertanto, è tenuto in solido con il responsabile alla rimozione dei rifiuti e al ripristino ambientale dell’area, ai sensi dell’art. 192, c. 3 del d.lgs. n. 152/2006. 

Il proprietario che ha acquistato l’area consapevole della presenza sulla stessa di rifiuti abbandonati da terzi è comunque obbligato ad attivare le misure di prevenzione, così come previsto dall’art. 245 del d.lgs. n. 152/2006, che possono ricomprendere anche un intervento di messa in sicurezza.

La sentenza in commento affronta il delicato tema dell’inquadramento della responsabilità e degli obblighi in materia di messa in sicurezza che sorgono in capo a un soggetto divenuto proprietario di un terreno sul quale, già prima dell’acquisto, insistevano dei rifiuti abbandonati.

La vicenda in esame riguarda un’area che, a metà degli anni ’90, è stata oggetto di stoccaggio provvisorio di rifiuti solidi urbani, per ordine del comune. Terminate le esigenze di stoccaggio dell’amministrazione, l’allora proprietario presenta al comune un progetto per il recupero ambientale del terreno, al quale, tuttavia, non dà esecuzione per la scoperta di ulteriori materiali sul sito, diversi rispetto a quelli già autorizzati. Segue il sequestro preventivo dell’area e la nomina del comune quale ente responsabile degli oneri di manutenzione e di custodia.

Nel 2009 l’area è venduta alla società attuale proprietaria che, al momento dell’acquisto, è messa a conoscenza della situazione di fatto e di diritto del sito e, quindi, oltre che della presenza dei rifiuti, anche del procedimento penale in corso. Cionondimeno, entrata in possesso dell’area nel 2011, la società decide di diffidare il comune, chiedendo che lo stesso provveda a mettere il sito in sicurezza e si attivi per la rimozione dei rifiuti abbandonati, sostenendo il mancato adempimento da parte dell’ente degli obblighi di custodia e di manutenzione posti a suo carico nel corso della custodia giudiziaria.

L’amministrazione respinge l’addebito e ordina alla società, in qualità di proprietaria, di attuare gli interventi necessari per la messa in sicurezza dell’area.

La società impugna quindi i provvedimenti comunali avanti al TAR, chiedendo l’annullamento di dette misure e l’accertamento della responsabilità del comune a provvedere al ripristino ambientale.

In primo grado il ricorso viene dichiarato in parte improcedibile – in considerazione della circostanza che la ricorrente, medio tempore, ha comunque eseguito gli interventi utili a scongiurare i rischi immediati per la sicurezza ambientale del sito – e, nel merito, in parte infondato.

Avverso la sentenza di primo grado la società propone appello davanti al Consiglio di Stato che, con la pronuncia in commento, rigetta il gravame sostenendo il principio secondo cui un soggetto che acquista un terreno conoscendone la situazione di dissesto ambientale non si qualifica come “proprietario incolpevole” e, pertanto, è tenuto in solido con il responsabile alla rimozione dei rifiuti e al ripristino ambientale dell’area ai sensi dell’art. 192, c. 3, del d.lgs. n. 152/2006.

In altre parole, il Consiglio di Stato afferma che chi acquista un’area consapevole dei fattori inquinanti che la interessano si assume l’onere della messa in sicurezza del sito. Onere che, peraltro, secondo l’interpretazione del Collegio, grava sul proprietario in quanto tale, ai sensi dei principi generali sulla proprietà contenuti nel codice civile prima ancora che in base alla normativa speciale del codice dell’ambiente (d.lgs. n. 152/2006).

Il Consiglio di Stato esclude, quindi, che al proprietario, che ha acquistato conoscendo il degrado ambientale dell’area, possa essere applicata la c.d. “esimente interna” prevista per il caso di abbandono di rifiuti dall’art. 192 cit., ritenuta applicabile solo ai proprietari a cui l’abbandono non è imputabile a titolo di dolo o colpa. In altre parole, secondo il giudice amministrativo la consapevolezza dello stato dell’area acquistata ne determina una “partecipazione” soggettiva.

Il principio è già stato, in precedenza, enunciato dall’Adunanza Plenaria nella sentenza n. 3/2021 (che infatti viene richiamata dalla pronuncia in commento) con riferimento ad un caso di abbandono incontrollato di rifiuti da parte di una società dichiarata fallita. In tale pronuncia, l’Adunanza Plenaria ha ritenuto legittima l’individuazione del curatore fallimentare quale destinatario dell’ordinanza di sgombero dei rifiuti ai sensi dell’art. 192 cit., sostenendo che nel patrimonio del fallito di cui il curatore è detentore siano compresi anche i rifiuti abbandonati dal fallito stesso[i], di cui il curatore si deve quindi assumere l’obbligo di gestione.

Secondo il Consiglio di Stato questo coinvolgimento del proprietario, connesso alla conoscenza pregressa dello stato del sito, è in linea anche con quanto stabilito dalla direttiva 2004/35/CE del 21 aprile 2004 sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno, ai sensi della quale:

  1. i) il costo delle misure di riparazione del danno derivante da eventi autorizzati dall’autorità pubblica può non essere sostenuto dagli operatori di cui non è accertato il dolo o la colpa, a condizione che gli stessi non fossero a conoscenza dell’evento dannoso nel momento in cui esso si è verificato (cfr. consideranda 20), e
  2. ii) quando un danno ambientale non si è ancora verificato, ma esiste una minaccia imminente che si verifichi, l’operatore adotta, senza indugio, le misure di prevenzione necessarie e l’autorità competente può, in qualsiasi momento, chiedere all’operatore di attivarsi in tal senso (cfr. art. 5 direttiva 2004/35/CE).

L’appello è dunque respinto, seppur con motivazioni diverse rispetto a quelle poste alla base della pronuncia di primo grado.

Così sintetizzata la sentenza in commento, due passaggi nell’iter interpretativo del Consiglio di Stato meritano una riflessione ulteriore.

Anzitutto, pur ritenendo condivisibile il principio secondo cui la consapevolezza della situazione di degrado ambientale di un’area comporta, inevitabilmente, che sul proprietario della stessa gravino degli obblighi di controllo e di messa in sicurezza, non può sottacersi che, al fine di enunciare detto principio in tema di abbandono di rifiuti, il Consiglio di Stato richiami e applichi regole che, in realtà, appartengono alla disciplina delle bonifiche.

Ciò porta il Consiglio di Stato, in primo luogo, a dichiarare la non applicabilità della c.d. “esimente interna” di cui all’art. 192, c. 3, del d.lgs. n. 152/2006 al proprietario incolpevole dell’abbandono, ma consapevole dello stesso, omettendo tuttavia di considerare che la norma in realtà esclude la responsabilità solidale del proprietario, se non è provato che l’illecito abbandono è allo stesso attribuibile per dolo o per colpa. Senza poi voler considerare che, nel caso specifico di cui alla sentenza in commento, la più parte del deposito dei rifiuti è stata conseguente ad un ordine della pubblica amministrazione. Aspetto, quest’ultimo, non certo irrilevante sotto il profilo di una presunta – seppur minore – responsabilità soggettiva connessa alla mera conoscenza pregressa.

Ma non solo. La confusione tra le due discipline conduce altresì il Collegio ad un notevole ampliamento degli oneri a carico del c.d. “proprietario incolpevole”. Infatti, anche volendo applicare la normativa in materia di bonifiche, questa, come è noto, nei confronti del proprietario incolpevole prevede esclusivamente l’obbligo di porre in essere le misure di prevenzione e non anche quelle di messa in sicurezza del sito (cfr. art. 245 del d.lgs. n. 152/2006). Vero è che recente giurisprudenza, in applicazione del principio “chi inquina paga”, ha ritenuto che la categoria delle misure di prevenzione si estenda fino a comprendere anche le misure di messa in sicurezza, che, pertanto, potrebbero essere richieste anche in capo al proprietario incolpevole (ex multis: TAR Lombardia n. 831/2019). Tuttavia, far ricadere un obbligo così esteso sul proprietario “incolpevole” (o meglio, non responsabile), ma consapevole dell’attività di abbandono dei rifiuti, porta con sé il rischio che si lasci esente da qualsiasi obbligo il responsabile dell’inquinamento (o dell’abbandono dei rifiuti) addossando, invece, ogni onere di ripristino ambientale in capo al proprietario dell’area. Così argomentando, però, quest’ultimo soggetto si assumerebbe comunque una sorta di responsabilità, determinando una importante estensione, se non una deviazione, dell’applicazione del principio “chi inquina paga”.

L’ulteriore rischio connesso a quanto affermato dal Consiglio di Stato è che l’interpretazione “estesa” degli oneri in capo al proprietario incolpevole in materia di rifiuti rafforzi la speculare giurisprudenza in materia di bonifiche, aggravando così ulteriormente la confusione dei confini tra le due discipline, come peraltro già sollevato in dottrina[ii] con riferimento alla sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 3/2021.

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RGA-Novembre 2021_CdS_6179_2021 letto rt

Per il testo della sentenza (estratto dal sito di Giustizia Amministrativa) cliccare sul pdf allegato.

Consiglio di Stato_6179_2021

Note:

[i] Consiglio di Stato ad. plen., 26/01/2021, n. 3, secondo la quale “al generale divieto di abbandono e di deposito incontrollato di rifiuti si riconnettono gli obblighi di rimozione, di avvio al recupero o smaltimento e di ripristino dello stato dei luoghi in capo al trasgressore e al proprietario, in solido, a condizione che la violazione sia ad almeno uno di essi imputabile secondo gli ordinari titoli di responsabilità, anche per condotta omissiva, colposa nei limiti della esigibilità, o dolosa” e, inoltre, in applicazione del principio “chi inquina paga” “solo chi non è detentore dei rifiuti, come il proprietario incolpevole del terreno su cui gli stessi siano collocati può, in definitiva, invocare la cd. “esimente interna” prevista dall’art. 192, comma 3 del d.lgs. n. 152 del 2006”.

Per un’analisi della sentenza A.P. n. 3/2021 si rinvia alla nota di Federico Vanetti pubblicata sul n. 18 di questa Rivista (febbraio 2021).

Il medesimo principio è stato inoltre richiamato dal Consiglio di Stato nella sentenza n. 4383/2021.

[ii] Vd. supra nota i.

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