Requisiti del deposito temporaneo di rifiuti e onere della prova

02 Giu 2023 | giurisprudenza, penale

di Emanuele Bianchi

Corte di Cassazione, Sez. III – 16 marzo 2023 (dep. 13 aprile 2023), n. 15450 – Pres. Ramacci, Est. Liberati – ric. C. e V.

L’onere della prova relativa alla sussistenza delle condizioni di liceità del deposito cosiddetto controllato o temporaneo, fissate dall’art. 183, d.lgs. n. 152 del 2006, grava sul produttore dei rifiuti, in considerazione della natura eccezionale e derogatoria di tale deposito rispetto alla disciplina ordinaria.

1) Il caso in esame

Con la sentenza in commento la Suprema Corte di Cassazione ha affermato – ribadendo i precedenti arresti giurisprudenziali sul tema[1] – come in materia di deposito temporaneo di rifiuti incomba al produttore l’onere di provare la sussistenza delle condizioni di liceità, in quanto situazione derogatoria rispetto al regime autorizzativo (ordinario ovvero semplificato).

Sebbene icto oculi la pronuncia in esame non sembri aver portata innovativa[2], sia pur ribadendo con fermezza un principio di rilevante portata applicativa (in considerazione anche della frequenza dell’impalcato accusatorio), particolarmente apprezzabile risulta l’iter logico motivazionale con il quale i Giudici di legittimità delineano il perimetro del “deposito temporaneo prima della raccolta”.

Nella vicenda esaminata, il Tribunale aveva condannato i ricorrenti alla (sola) pena dell’ammenda con riferimento all’ipotesi contravvenzionale p. e p. dall’art. 256, comma 1, lett. a), D.Lgs. n. 152/2006 perché, in concorso e nella qualità di proprietari e titolari del permesso di costruire, depositavano in maniera incontrollata e in assenza di autorizzazione rifiuti speciali non pericolosi, consistiti in 300 metri cubi di terre e rocce da scavo, provenienti dai lavori realizzati in forza del suddetto permesso di costruire, su diverso terreno di proprietà degli imputati.

2) I motivi di ricorso e il decisum della Suprema Corte

Gli imputati proponevano congiuntamente ricorso articolando tre motivi di doglianza:

  • con il primo motivo deducevano l’erronea applicazione della legge penale con riferimento al disposto di cui all’art. 183, comma 1, lett. bb), D.Lgs. n. 152/2006, sottolineando come il termine di un anno[3] non dovesse decorrere dalla data di comunicazione di inizio lavori, come statuito dal Tribunale di Lagonegro – bensì dalla produzione delle terre e rocce da scavo; parimenti erronea la motivazione nella parte in cui avrebbe respinto la ricostruzione che si vorrebbe emersa dall’istruttoria dibattimentale con riferimento alla conformità del materiale ai requisiti stabiliti dal regolamento sul riutilizzo delle terre da scavo (D.P.R. n. 120/2017) per la qualifica come sottoprodotto[4];
  • con il secondo motivo lamentavano la erronea applicazione, inosservanza e violazione dell’art. 533 c.p.p., avendo posto il Giudice di prime cure a fondamento della propria decisione elementi di fatto errati;
  • con l’ultimo motivo di ricorso, si censurava la violazione di legge degli artt. 132 e 133 c.p. con riferimento alla individuazione (e correlato onere motivazionale) del quantum di pena irrogato.

Nell’argomentare le ragioni a sostegno del rigetto del primo motivo di ricorso, la Suprema Corte rileva preliminarmente come l’esigenza difensiva di ricondurre la durata del deposito delle terre e rocce da scavo entro il termine massimo di un anno, contrasti con il costante orientamento nomofilattico secondo cui “il deposito temporaneo, in tema di gestione illecita di rifiuti e nell’ipotesi in cui gli stessi superino il volume di 30 metri cubi, ricorre solo nel caso in cui il raggruppamento dei rifiuti e il loro deposito preliminare alla raccolta, ai fini dello smaltimento, non abbia avuto durata superiore a tre mesi[5].

Logico precipitato di tale argomentazione è, per il Collegio, la esclusione della operatività nel caso di specie (in considerazione della volumetria pari a 300 metri cubi di terre e rocce da scavi così come del lasso temporale dell’invocato deposito del materiale, superiore a tre mesi) della figura del deposito temporaneo.

Ulteriore elemento valorizzato dai giudici di legittimità a confutazione della doglianza difensiva risulta essere quello relativo al mancato collegamento funzionale tra il luogo di produzione del materiale terre e rocce da scavo e il sito ove lo stesse risultano essere state allocate.

Anche con riferimento a tale condizione la Suprema Corte, attraverso il richiamo a precedenti pronunce di legittimità, chiarisce come il deposito per poter essere considerato temporaneo “deve essere necessariamente realizzato presso il luogo di produzione dei rifiuti o in altro luogo, al primo funzionalmente collegato, nella disponibilità del produttore[6], circostanza che non si ritiene integrata nel caso oggetto della sentenza in commento in considerazione della insussistenza del predetto nesso di funzionalità del sito ove i prevenuti avevano destinato il materiale di cui trattasi.

Si vorrà considerare altresì, per completezza, come ad integrare la nozione di collegamento funzionale ai fini del deposito temporaneo concorra non soltanto dal punto di vista spaziale la contiguità dell’area a tal fine utilizzata rispetto a quella di produzione dei rifiuti (circostanza valorizzata dalla Suprema Corte nella sentenza in commento), ma altresì la destinazione originaria della medesima in ragione dello strumento urbanistico e dell’assenza di una sua autonoma utilizzazione in concreto diversa da quella accertata (Corte Cass. pen., Sez. III, 30 gennaio 2018, n. 4181).

Alla luce della insussistenza dei presupposti previsti ex lege per la (anche solo astratta) sussistenza di un deposito temporaneo, la Suprema Corte perviene alla qualificazione del predetto deposito come illecito in quanto avvenuto in assenza di un titolo autorizzativo alla gestione di rifiuti.

Non coglie nel segno neppure l’ulteriore assunto difensivo concentrato nel primo motivo di ricorso e concernente la corretta qualifica dei 30o metri cubi di materiale quale sottoprodotto (non trovando applicazione la nozione di rifiuto): la Suprema Corte, richiamando espressamente il disposto di cui all’art. 4, comma 2, D.P.R. n. 120/2017, precisa infatti come tale qualifica possa essere attribuita al materiale terre e rocce da scavo solo in presenza di un piano di utilizzo (ai sensi dell’art. 9 D.P.R. n. 120/2017) ovvero di una dichiarazione di utilizzo per cantieri di piccole dimensioni (ai sensi dell’art. 21 D.P.R. n. 120/2017), documentazione pacificamente assente nel caso in oggetto.

Procedendo nella analisi del secondo motivo di doglianza, la Corte, pur premettendo il fatto che la valutazione della ricostruzione alternativa dei fatti prospettata dai ricorrenti – rispetto a quella fatta propria in sentenza dal Tribunale di Lagonegro – non possa formare oggetto del sindacato di legittimità, ritiene in ogni caso lacunoso il ricorso nella parte in cui omette la illustrazione degli elementi che avrebbero dovuto condurre il Giudice di prime cure alla declaratoria di assoluzione degli imputati.

Ciò, precisa il Collegio, peraltro in una materia (quella ambientale e segnatamente di gestione dei rifiuti, ndr) relativamente alla quale “l’onere della prova relativa alla sussistenza delle condizioni di liceità del deposito cosiddetto controllato o temporaneo, fissate dall’art. 183, D.Lgs. 152/2006, grava sul produttore dei rifiuti, in considerazione della natura eccezionale e derogatoria di tale deposito rispetto alla disciplina ordinaria[7].

Per quanto concerne infine il terzo ed ultimo motivo di ricorso, la Suprema Corte ha ritenuto immune da censure la motivazione sulla sanzione comminata agli imputati considerato come debba ritenersi adeguata la motivazione del Tribunale che, discostandosi dal minimo edittale previsto dalla fattispecie incriminatrice, abbia implicitamente richiamato – alla luce degli artt. 133 e 133 bis c.p. – le ragioni poste alla base del trattamento sanzionatorio riservato ai ricorrenti.

  1. Considerazioni conclusive

La sentenza in commento risulta particolarmente apprezzabile nella parte in cui delinea i requisiti tassativamente previsti per l’applicazione della disciplina del deposito temporaneo, soffermandosi sulla descrizione dei limiti volumetrici e temporali che dovranno contemporaneamente essere soddisfatti affinché il materiale non possa ritenersi qualificabile come “rifiuto”, specificando altresì la necessarietà della sussistenza di un nesso di pertinenzialità tra il luogo di produzione dello stesso e il sito di allocazione.

Ed ancora, la Suprema Corte, attraverso il puntale richiamo a precedenti giurisprudenziali (tutti tali da formare un consolidato orientamento sul punto) precisa il perimetro dell’onere della prova gravante sul soggetto (nel caso di specie) il ricorrente che intenda far valere una disciplina c.d. “di favore”, vuoi in tema di qualifica delle terre e rocce da scavo (così come, mutatis mutandis, di ogni materiale) quale sottoprodotto, vuoi specificamente in tema di applicazione della normativa sul deposito temporaneo.

Con riferimento a tale ultimo inciso, il principio di diritto enucleato dalla Suprema Corte può essere sintetizzato come segue: chi intenda avvalersi delle disposizioni in tema di deposito temporaneo, data la natura eccezionale e derogatoria della disciplina rispetto a quella ordinaria (che imporrebbe la dotazione di un titolo autorizzativo, vuoi ordinario, vuoi semplificato), deve fornire la prova positiva della sussistenza di tutte le condizioni previste per la operatività della relativa normativa.

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RGA Online – Bianchi 23.5.2023 rev

Per il testo della sentenza (estratto dal sito istituzionale della Giustizia Amministrativa) cliccare sul pdf allegato.

Cass. III, 15450_ 2023 (Bianchi)

NOTE:

[1] Il riferimento corre a: Corte Cass. pen., Sez. III, 23 ottobre 2019, n. 43422 e Corte Cass. pen., Sez. III, 29 settembre 2022, n. 47040.

[2] Definito dall’art. 183, comma 1, lett. bb) D.Lgs. n. 152/2006, nella formulazione innovata dal D.Lgs. n. 116/2020, come “il raggruppamento dei rifiuti ai fini del trasporto degli stessi in un impianto di recupero e/o smaltimento, effettuato, prima della raccolta ai sensi dell’articolo 185-bis”.

[3]i rifiuti devono essere raccolti ed avviati alle operazioni di recupero o di smaltimento secondo una delle seguenti modalità alternative, a scelta del produttore dei rifiuti: con cadenza almeno trimestrale, indipendentemente dalle quantità in deposito; quando il quantitativo di rifiuti in deposito raggiunga complessivamente i 30 metri cubi di cui al massimo 10 metri cubi di rifiuti pericolosi. In ogni caso, allorché il quantitativo di rifiuti non superi il predetto limite all’anno, il deposito temporaneo non può avere durata superiore ad un anno”.

[4] Art. 184 bis D.Lgs. n. 152/2006: “E’ un sottoprodotto e non un rifiuto ai sensi dell’articolo 183, comma 1, lettera a), qualsiasi sostanza od oggetto che soddisfa tutte le seguenti condizioni:

  1. a) la sostanza o l’oggetto è originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto;
  2. b) e’ certo che la sostanza o l’oggetto sarà utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi;
  3. c) la sostanza o l’oggetto può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale;
  4. d) l’ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o l’oggetto soddisfa, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana.

[5] Cfr. Corte Cass. pen., Sez. III, 28 giugno 2018, n. 50129: “In tema di gestione illecita dei rifiuti, ricorre la figura del deposito temporaneo solo nel caso di raggruppamento di rifiuti e del loro deposito preliminare alla raccolta ai fini dello smaltimento per un periodo non superiore all’anno o al trimestre (ove superino il volume di 30 mc), nel luogo in cui gli stessi sono materialmente prodotti o in altro luogo, al primo funzionalmente collegato, nella disponibilità del produttore e dotato dei necessari presidi di sicurezza”. In senso conforme: Corte Cass. pen., Sez. III, 27 giugno 2013, n. 38046.

[6] Cfr. ex multis: Corte Cass. pen., Sez. III, 28 giugno 2018, n. 50129; Corte Cass. pen., Sez. III, 8 febbraio 2018, n. 20410, Corte Cass. pen., Sez. III, 38 giugno 2007, n. 33866.

[7] In senso conforme: Corte Cass. pen., Sez. III, 10 maggio 2016, n. 35494.

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