Procedura di VIA: illiceità del surrettizio frazionamento del progetto

15 Ott 2019 | giurisprudenza, amministrativo

di Veronica Vitiello e Jacopo Gentili 

Consiglio di Stato, Sez. IV – 18 aprile 2019, n. 2523 – Pres. Maruotti, Est. Di Carlo – C.A.(avv.ti Caia, Colombari e Sanino) e H. S.p.A. (avv.ti Sandulli, Piron, Sogari, Mansueto e Mazzei) c. A. i. W., associazione P. I. O., associazione L. M., S. F. e M. B. (tutti rappresentati dall’avv. Ceruti)  

La parcellizzazione dell’originario progetto in due progetti diversi, ciascuno sottoposto a procedimenti paralleli di VIA, instaurati l’uno successivamente all’altro, non può divenire motivo od occasione di elusione del controllo spettante al Ministero dei beni culturali ai sensi dell’art. 146 del D.lgs. n. 42 del 2004. Siffatto controllo si estrinseca anche sulle aree esterne di interferenza, nei

limiti in cui ciò sia funzionale e strumentale alla conservazione del bene paesaggistico tutelato. 

Il Consiglio di Stato pronunciando sugli appelli nn. 3272/2018, 3317/2018 e 3319/2018 li ha riuniti e ha respinto gli appelli principali, accogliendo le censure con cui sono stati riproposti il secondo e il terzo motivo di ricorso originario e, per l’effetto, ha riformato in parte la motivazione della sentenza di primo grado, salvo il suo dispositivo di annullamento.

Nel caso di specie, a seguito della richiesta di modifica del progetto originario da parte della società proprietaria di una discarica e del gestore della stessa, con espressa rinuncia alla richiesta di VIA per il lotto relativo all’ampliamento dell’impianto (lotto 4) e limitazione della richiesta di VIA al lotto relativo alla sopraelevazione dell’impianto già esistente (lotto 3), la Regione Emilia Romagna ha assunto la decisione di indire la conferenza di servizi e, tra l’altro, di convocare il Segretariato regionale del Mibact.

Il Mibact ha espresso parere negativo manifestato criticità ambientali e paesaggistiche in relazione ad entrambi i lotti del progetto originario.

La Regione discostandosi da tale parere negativo ha emesso provvedimento di VIA favorevole che è stato quindi oggetto di impugnazione.

Con la sentenza in commento il Consiglio di Stato ha chiarito che con la decisione di convocare il Segretariato regionale del Mibact nella conferenza dei servizi la Regione ha manifestato la chiara volontà di ritenere rilevante e decisivo, ai fini del rilascio della VIA, l’apporto conoscitivo e valutativo dell’Amministrazione preposta alla cura dell’interesse sensibile espresso dal particolare contesto ambientale, e ciò anche a prescindere dalla circostanza che il progetto (modificato dai proponenti in senso restrittivo) non riguardasse più l’area specificamente assoggettata a vincolo paesaggistico.

Secondo il giudice amministrativo con tale decisione la Regione si è obbligata a tenere in considerazione, ai fini della decisione finale, il parere manifestato dal Segretariato regionale del Ministero.

Pertanto, nella prospettiva del corretto esercizio della discrezionalità amministrativa, secondo il canone della cd. “buona e prudente amministrazione”, la Regione avrebbe dovuto, anche in questo stadio, valutare l’impatto cumulativo del progetto, nell’ottica complessiva dell’intervento da realizzarsi (soprattutto, ai fini della compatibilità col PTPR) non potendo l’esame dell’impatto cumulativo del progetto essere rinviato ad un momento successivo se si conosce già ex ante lo sviluppo progettuale dell’opera. Ciò al fine di evitare un’occasione di elusione del controllo spettante al Ministero dei beni culturali ai sensi dell’art. 146 del D.lgs. n. 42 del 2004 che si estrinseca anche sulle aree esterne di interferenza, nei limiti in cui ciò sia funzionale e strumentale alla conservazione del bene paesaggistico tutelato.

In ogni caso, a prescindere dalla natura vincolante o meno del parere del Mibact, la Regione avrebbe dovuto motivare le ragioni del superamento del parere negativo manifestato, non potendo limitarsi a comportarsi come se tale parere non fosse mai stato reso.

Il Consiglio di Stato ritiene, quindi, l’emanazione del provvedimento di VIA (favorevole) impugnato viziato con particolare riguardo al fatto che la Regione non ha espresso alcuna specifica motivazione in relazione:

  • al superamento del parere negativo del Mibact; e
  • alla sottrazione del progetto, come originariamente ideato, alla valutazione complessiva degli impatti ambientali, mediante la parcellizzazione dell’intervento in due interventi separati, oggetto di due parallele procedure di VIA formalmente distinte ma materialmente e funzionalmente riguardanti lo stesso sito.

La sentenza in esame analizza una questione giuridica che è già stata oggetto di esame da parte della dottrina e della giurisprudenza amministrativa, e cioè la legittimità della suddivisione di un progetto unitario in più porzioni, assoggettate a procedimenti di VIA separati.

Al fine di procedere ad un’analisi della suddetta tematica occorre un breve riferimento al quadro normativo di riferimento.

La VIA fu introdotta nell’ordinamento italiano, tra l’altro, con la Legge n. 359/1986, con la quale venne, inoltre, istituito il Ministero dell’ambiente, in capo al quale fu posta la competenza in materia di VIA. Tale legge ha dato attuazione in Italia alla Direttiva 85/37/CEE che ha adottato, tra l’altro, misure di tutela preventiva dell’ambiente, alla luce degli effetti spesso irreversibili dei danni relativi a tale bene fondamentale. Tale disciplina è stata successivamente recepita in Italia all’interno del c.d. Testo Unico sull’Ambiente (D.Lgs n. 152/2006), che ha subito nel tempo diverse modifiche, tra cui di recente quelle apportate dal D.Lgs. n. 104/2017, decreto di attuazione della Direttiva 2014/52/UE.

Ai sensi di tale normativa vengono valutati gli impatti ambientali, diretti ed indiretti, suscettibili di presentarsi nel breve o nel lungo periodo e di avere effetti permanenti o temporanei, in modo singolo o cumulativo, in relazione a determinate categorie di progetti, suscettibili di avere ricadute significative sull’ambiente. I fattori ambientali presi in considerazione, anche in correlazione tra loro, sono l’essere umano, la fauna, la flora, il suolo, l’acqua, l’aria, i fattori climatici, il paesaggio, i beni materiali ed infine il patrimonio culturale. Appare dunque centrale, all’interno della disciplina della VIA, la finalità di analizzare in modo adeguato tutti i possibili complessivi effetti di un progetto suscettibili di avere ricadute sull’ambiente.

Tornando all’analisi del caso in esame, occorre rilevare come la dottrina abbia individuato proprio nel frazionamento dell’opera una delle più diffuse tecniche elusive della normativa concernente i procedimenti di valutazione ambientale, rilevando come, nel caso in cui l’Amministrazione competente venga meno al proprio ruolo di custode dell’interesse pubblico in sede di analisi del progetto, risulti poi in concreto estremamente complesso per il Giudice amministrativo individuare il percorso di un’opera, specialmente quando si tratti di progetti di rilevante entità, correndo pertanto il rischio di lasciare incensurate tanto le manifestazioni di tale tecnica elusiva quanto l’illegittimo esercizio del potere pubblico che ne ha permesso il compimento (cfr. D. Granara, Le tecniche elusive dei procedimenti di valutazione ambientale, in questa Rivista, 2014, 2, p. 157).

Appare ragionevole ritenere che la portata del divieto di frazionamento dei progetti in relazione a procedimenti di VIA tragga la propria fonte anche dall’origine comunitaria della relativa disciplina, riformata, tra l’altro, dalla Direttiva 2014/52/UE, successivamente recepita nei singoli Stati membri. Da tale origine discende infatti la necessità di garantire un effetto utile a quanto disposto in tale Direttiva, effetto utile che non potrebbe attuarsi in caso di elusione tramite frazionamento del progetto in porzioni non rientranti nel dettato normativo.

Anche la giurisprudenza della Corte di Giustizia ha preso posizione circa la necessità, all’interno delle valutazioni di impatto ambientale, di tener conto dell’effetto cumulativo anche di quei progetti volti a modificare un’opera già esistente (inter alia Corte di Giustizia, sentenza del 17 marzo 2011, causa C-275/09). In tal caso, afferma la Corte, occorrerà ritenere che sia ammissibile lo scorporo di quelle parti di progetto che non siano tali da alterarne la fisionomia complessiva, dovendosi considerare, nel caso contrario, il progetto come finalizzato alla realizzazione di un’opera nuova, e nel qual caso le opere eseguite in modifica non risulterebbero scorporabili (cfr. P. Brambilla, Vasche di laminazione: sicurezza, emergenza e tutela ambientale, in questa Rivista, 2014, 3-4, p. 0382B). Regola generale rimane tuttavia quella per cui la mancata presa in considerazione dell’effetto cumulativo di più progetti non debba avere come risultato pratico quello di sottrarli nel loro insieme all’obbligo di valutazione di impatto ambientale, laddove presi insieme, questi possano in concreto avere un notevole impatto sull’ambiente (Corte di Giustizia, sentenza del 28 febbraio 2008, causa C-2/07, Abraham e a.).

Con la sentenza in esame il Consiglio di Stato si è espresso secondo la posizione della giurisprudenza prevalente che nutre forti sospetti nei confronti della separazione di un progetto unitario in più porzioni, spesso eseguita al fine precipuo di eludere la disciplina ambientale andando a creare più progetti apparentemente distinti, singolarmente al di sotto delle soglie previste, e pertanto idonei a sfuggire in tale maniera all’applicazione della relativa normativa.

Il discrimen che fa propendere la giurisprudenza nel qualificare come capziosa la divisione di un progetto in più sezioni è rappresentato dalla circostanza che gli elementi inseriti nelle varie sezioni non siano autonomi e indipendenti, ma che risultino al contrario funzionalmente inseriti all’interno di un medesimo progetto complessivo (Cons. Stato, Sez. IV, 7 maggio 2004, n. 2874). Del resto la VIA necessita, per poter essere effettiva ed efficace, di un’analisi unitaria dell’opera e di tutte le relative ricadute per l’ambiente, in aperto contrasto con un meccanismo elusivo di frazionamento tale da sottrarre nei fatti l’opera a qualsiasi valutazione degli impatti della stessa sull’interesse pubblico ambientale. Viceversa verrebbe trasferito ai soggetti redattori dei progetti il potere di determinare i limiti della procedura di valutazione di impatto ambientale, attraverso la sottoposizione ad essi di porzioni d’opera, con conseguente sottrazione delle competenze istituzionali dell’Amministrazione competente ed elusione delle finalità perseguite per legge (in questo senso Cons. Stato, Sez. VI, 30 agosto 2002, n. 4368, Cons. Stato, Sez. IV 2 ottobre 2006, n. 5760, e Cons. Stato, Sez. V, 16 giugno 2009 n. 3899).

Alla luce di quanto sopra, appare dunque manifesta la necessità, in capo alle Amministrazioni chiamate alla valutazione di progetti caratterizzati da un potenziale significativo impatto sull’ambiente, di non giustificare ipotesi di frazionamento surrettizio di tali progetti, ma al contrario tornare a ricoprire un ruolo centrale nella tutela del bene pubblico ambientale, non demandandolo unicamente, in una fase successiva, al Giudice amministrativo.

In conclusione la pronuncia oggetto di analisi appare coerente con la necessità di fornire al bene ambientale la più ampia tutela preventiva possibile, obiettivo che può essere perseguito solo tramite un controllo complessivo che ammetta la suddivisione di un progetto in più porzioni, e conseguentemente la legittimità dell’avvio di procedure di VIA separate esclusivamente laddove sia verificata in concreto l’autonomia funzionale dei singoli interventi progettati, al fine di evitare elusioni della normativa, come confermato anche dalla giurisprudenza prevalente.

Per il testo della sentenza Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 2523 del 18 aprile 2019 (estratto dal sito istituzionale della Giustizia Amministrativa) cliccare sul pdf allegato

Vitiello_CdS Sez. IV 18 aprile 2019 n. 2523

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