La partecipazione del pubblico e l’accesso alla giustizia in materia ambientale

21 Mar 2021 | giurisprudenza, corte di giustizia

di Chiara Maria Lorenzin

CORTE UE, I Sez., 14 gennaio 2021, causa C‑826/18, Pres. e rel. J.‑C. Bonichot

L’articolo 9, paragrafo 2, della convenzione sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale, firmata ad Aarhus (Danimarca) il 25 giugno 1998 e approvata a nome della Comunità europea con la decisione 2005/370/CE del Consiglio, del 17 febbraio 2005, deve essere interpretato nel senso che esso non osta a che i membri del «pubblico» di cui all’articolo 2, paragrafo 4, di tale convenzione non abbiano accesso in quanto tali alla giustizia, al fine di impugnare una decisione rientrante nell’ambito di applicazione dell’articolo 6 della medesima. Per contro, l’articolo 9, paragrafo 3, di detta convenzione osta a che tali persone non possano avere accesso alla giustizia per avvalersi di più ampi diritti di partecipazione al processo decisionale, che siano loro conferiti unicamente dal diritto ambientale nazionale di uno Stato membro. 

L’articolo 9, paragrafo 2, della convenzione sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale, firmata ad Aarhus il 25 giugno 1998 e approvata a nome della Comunità europea con la decisione 2005/370, deve essere interpretato nel senso che osta a che la ricevibilità dei ricorsi giurisdizionali a cui esso si riferisce, esperiti da organizzazioni non governative facenti parte del «pubblico interessato», di cui all’articolo 2, paragrafo 5, di tale convenzione, sia subordinata alla partecipazione di tali organizzazioni alla procedura di preparazione relativa alla decisione impugnata, anche se tale condizione non si applica qualora non possa essere loro ragionevolmente addebitato di non avervi partecipato. Per contro, l’articolo 9, paragrafo 3, di detta convenzione non osta a che la ricevibilità di un ricorso giurisdizionale a cui esso si riferisce sia subordinata alla partecipazione del ricorrente alla procedura di preparazione relativa alla decisione impugnata a meno che, tenuto conto delle circostanze del caso, il fatto di non essere intervenuto in tale procedura non gli possa essere ragionevolmente addebitato.

L’organo consiliare di un municipio dei Paesi Bassi, una privata cittadina e una associazione per la tutela degli animali sono tra i protagonisti di questa vicenda relativa ad una autorizzazione per la costruzione di un manufatto destinato all’allevamento di suini, vicenda che ha portato ad una interessante sentenza relativa all’articolo 9 della convenzione di Aarhus.  Sono, infatti, stati sottoposti alla Corte quesiti in merito alla conformità alla convenzione di Aarhus (concernente l’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale; di seguito anche solo la Convenzione) di talune previsioni del Regno dei Paesi Bassi e, segnatamente, di quelle relative all’accesso alla giustizia per soggetti del “pubblico” in generale e del “pubblico interessato”.

Il primo ordine di quesiti si è originato dal ricorso della privata cittadina, di professione veterinaria, che non poteva essere considerata “interessata”, ai sensi del diritto nazionale (perché non residente in prossimità del sito) e neppure poteva dirsi parte del “pubblico interessato”, ai sensi della convenzione di Aarhus, ma per la quale, in quanto membro del “pubblico”, ai sensi di tale convenzione, si è domandato alla Corte se potesse far valere in giudizio eventuali violazioni dei diritti che sono previsti dalla Convenzione.

Il secondo ordine di quesiti è, invece, scaturito dall’esame del ricorso di una associazione avente come scopo la tutela degli animali e, dunque, qualificabile come parte del “pubblico interessato”, ma il cui ricorso, sulla base del diritto nazionale presentava profili di irricevibilità a causa della mancata presentazione da parte della stessa associazione di osservazioni nel corso del procedimento amministrativo. Ha  domandato il giudice del rinvio se la previsione nazionale, che sanziona con l’irricevibilità censure che non vertono sugli aspetti del progetto contestati nell’ambito del procedimento amministrativo, rispetti il diritto dell’Unione e, in particolare, l’art. 9, par. 2, della Convenzione in forza del quale ciascuno Stato  provvede affinché i membri del medesimo che abbiano interesse sufficiente o, in alternativa, che facciano valere la violazione di un diritto (nei casi in cui il diritto nazionale esiga tale presupposto) abbiano accesso a una procedura di ricorso dinanzi un organo giurisdizionale o a un altro organo indipendente e imparziale per contestare la legittimità di decisioni rientranti nell’ambito di applicazione della Convenzione medesima.

Il predetto art. 9, par. 2 riguarda il solo “pubblico interessato”, il quale è definito all’art. 2, par. 5, della Convenzione come il pubblico che subisce o può subire gli effetti dei processi decisionali in materia ambientale o che ha un interesse da far valere al riguardo. Quest’ultima disposizione precisa che, ai fini di tale definizione, le organizzazioni non governative che promuovono la protezione dell’ambiente e che soddisfano i requisiti di diritto nazionale si considerano portatrici di un siffatto interesse.

Nella Convenzione, lo scopo non è anzitutto quello di conferire al pubblico in generale la legittimazione ad agire contro le decisioni e gli altri atti rientranti nell’ambito di applicazione dell’articolo 6 della stessa, bensì quello di garantire tale diritto ai soli membri del “pubblico interessato” che soddisfino determinati requisiti. E, del resto, il par. 3 del medesimo art. 9 prevede un regime di accesso alla giustizia più limitato per i membri del “pubblico” in generale: una distinzione, quella tra il par. 2 e il par. 3 del citato art. 9,  che si incentra infatti sulle nozioni di pubblico interessato e di coloro del pubblico “che soddisfino i criteri eventualmente previsti dal diritto nazionale” per “promuovere procedimenti di natura amministrativa o giurisdizionale per impugnare gli atti o contestare le omissioni dei privati o delle pubbliche autorità compiuti in violazione del diritto ambientale nazionale”.

Se dunque l’art. 9, par. 2, della Convenzione ha proprio lo scopo di garantire l’accesso alla giustizia, per impugnare un atto o una decisione rientrante nell’ambito di applicazione della Convenzione, al solo “pubblico interessato” che rispetti determinati requisiti, una persona come la privata cittadina, che non fa parte del “pubblico interessato”, ai sensi della convenzione di Aarhus, non può far valere la violazione dell’art. 9, par. 2. Tuttavia, sottolinea la Corte, posto che l’accesso di tale cittadina alla giustizia è sottoposto a un regime diverso dall’ordinamento nazionale, per tale diritto (unitamente a quelli di partecipare al processo decisionale, di essere informato di un progetto in modo adeguato, tempestivo ed efficace) deve essere assicurata adeguata tutela. Si precisa dunque nella sentenza che i ricorsi contemplati dall’art. 9, par. 3, di detta Convenzione possono essere assoggettati a “criteri”, il che significa che gli Stati membri possono, nell’ambito del potere discrezionale loro conferito, fissare norme di diritto processuale relative alle condizioni da rispettare per proporre tali ricorsi, ma l’imposizione di tali criteri non può risolversi in una privazione di qualsiasi diritto di ricorso per dette determinate categorie di membri del pubblico. L’art. 9, par. 3, della Convenzione non impedisce, infatti, che i membri del “pubblico” possano avere accesso alla giustizia per avvalersi di più ampi diritti di partecipazione al processo decisionale che siano conferiti dal diritto ambientale nazionale e che detto accesso a determinate condizioni possa essere oggetto anche di contestazioni in sede giudiziale per avvalersi di più ampi diritti (di partecipazione o di accesso alla giustizia).

Quanto poi ai rapporti tra partecipazione al procedimento che ha portato alla decisione impugnata e ricevibilità del ricorso giurisdizionale, la Corte, richiamando anche propri precedenti, distingue nuovamente tra coloro che fanno parte del pubblico interessato e coloro che invece fanno parte del pubblico e solo in virtù del diritto nazionale possono a determinate condizioni avere accesso alla giustizia per taluni procedimenti.

I membri del “pubblico interessato” devono poter esperire un ricorso giurisdizionale a prescindere dal ruolo che hanno potuto svolgere nel procedimento amministrativo antecedente all’atto contestato. Diversi infatti sono i presupposti e le finalità della partecipazione al processo decisionale in materia ambientale, da un lato, e dell’esperimento di un ricorso giurisdizionale, dall’altra parte. Il processo decisionale non ha, del resto, neppure lo stesso oggetto dell’esperimento di un ricorso giurisdizionale e la valutazione effettuata nell’una e nell’altra sede può, inoltre, diversamente declinarsi anche in funzione di quanto può emergere ed essere considerato nel corso del procedimento amministrativo. In altri termini, il ricorso giurisdizionale deve poter essere esperito contro la decisione adottata in esito al procedimento senza che la partecipazione a quest’ultimo possa incidere sulle condizioni di esperimento di detto ricorso e non sarebbe compatibile con la Convenzione in commento una normativa che subordini la ricevibilità di un ricorso proposto da un’organizzazione non governativa al ruolo che essa ha potuto o meno svolgere nella fase di partecipazione al processo decisionale. Né può ritenersi ammissibile la previsione di una irricevibilità siffatta, anche se tale esito è precluso qualora non possa essere ragionevolmente addebitato al pubblico interessato di non aver partecipato a detto processo, stante che l’inosservanza della condizione della previa partecipazione impedisce, di per sé, il ricorso giurisdizionale di dette organizzazioni.

Diversamente invece si deve concludere ove si tratti di ricorso esperito da un membro del “pubblico” sulla base di più ampi diritti di partecipazione al processo decisionale, conferiti unicamente dal diritto ambientale nazionale. In tal caso, trovando applicazione l’art. 9, par. 3, della Convenzione, la ricevibilità dei ricorsi ivi contemplati può essere subordinata alla condizione che il ricorrente abbia sollevato eccezioni in tempo utile già nel procedimento amministrativo salva l’ipotesi in cui non possa essere ragionevolmente addebitato al ricorrente di non aver partecipato al processo decisionale. L’articolo 9, paragrafo 3, di detta convenzione non osta (e non sono peraltro violati gli artt. 47[i] e 52[ii] della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea) a che la ricevibilità di un ricorso giurisdizionale a cui esso si riferisce sia subordinata alla partecipazione del ricorrente alla procedura di preparazione relativa alla decisione impugnata a meno che, tenuto conto delle circostanze del caso, il fatto di non essere intervenuto in tale procedura non possa allo stesso essere ragionevolmente addebitato (cfr. in proposito sentenza del 20 dicembre 2017 C-664/15; sentenza del 27 settembre 2017 C-73/16).

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Lorenzin mar21

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CURIA – Documenti

NOTE:

[i] Articolo 47 “Diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale”: “Ogni persona i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice … Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge. Ogni persona ha la facoltà di farsi consigliare, difendere e rappresentare. A coloro che non dispongono di mezzi sufficienti è concesso il patrocinio a spese dello Stato, qualora ciò sia necessario per assicurare un accesso effettivo alla giustizia”.

[ii] Articolo 52 “Portata e interpretazione dei diritti e dei principi”: “Eventuali limitazioni all’esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla presente Carta devono essere previste dalla legge e rispettare il contenuto essenziale di detti diritti e libertà. Nel rispetto del principio di proporzionalità, possono essere apportate limitazioni solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui …”.

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