Consiglio di Stato, Sez. VI, 21 giugno 2024, n. 5522
Il giudizio che presiede all’imposizione di una dichiarazione di interesse culturale deve ritenersi connesso al principio fondamentale di cui all’art 9 della Cost., è quindi da ritenere legittima una dichiarazione di interesse pubblico impositiva di un vincolo su un’area anche molto vasta – alla luce della valutazione tecnica dell’organo competente – qualora l’interesse paesaggistico protetto sia unitario, sebbene i singoli beni , individualmente considerati, presentino caratteristiche diverse.
La presenza di vincoli precedenti non osta alla dichiarazione di interesse pubblico e con essa deve ritenersi legittima l’introduzione di una disciplina d’uso dell’area, in quanto la tutela paesaggistica non può essere solo formale, ma anche assicurare, la tutela il recupero e la valorizzazione degli aspetti e dei caratteri del paesaggio.
Anche l’atto di dichiarazione di pubblico interesse deve essere supportato da una adeguata istruttoria da cui trarre la fondatezza e meritevolezza della dichiarazione di notevole interesse pubblico.
Con la sentenza in commento il Consiglio di Stato riforma la pronuncia di del TAR Veneto sulla base dell’assunto per cui la dichiarazione di notevole interesse pubblico di un’area, adottata ai sensi dell’art. 136 del codice dei beni culturali, va valutata, anche in sede giurisdizionale, considerando che l’attività del Ministero è esercitata in applicazione del principio di tutela del paesaggio, sancito dall’art. 9 della Costituzione. La tutela quindi è ammissibile anche in presenza di altri vincoli sul medesimo territorio e può introdurre modalità e limitazioni d’uso del territorio oggetto della dichiarazione stessa.
Ma andiamo con ordine.
La vicenda ha inizio con l’impugnazione, mediante ricorsi distinti, da parte di una serie di Comuni del Cadore, unitamente alla Regione Veneto, del provvedimento con cui il Ministero dell’Ambiente, ha dichiarato in via d’urgenza, ai sensi degli artt. 136 e 138 del dlgs 42\2004 (codice dei beni culturali), la vasta area della regione dolomitica, compresa tra il Comelico e la Val d’Ansiei, di notevole interesse pubblico. Un’area vasta ritenuta una bellezza panoramica, con rilevante valore estetico tradizionale che giustifica non solo la tutela ma anche una specifica disciplina delle modalità d’uso, con l’indicazione delle attività e degli interventi ammissibili.
Il Tar del Veneto, dopo aver riunito i ricorsi, li ha accolti ritenendo che il Ministero non avesse ben esercitato il suo potere di valutazione, avendo deciso in base ad una istruttoria viziata, basata su presupposti errati e dati non aggiornati. A ciò aggiungendo che il provvedimento non teneva conto dell’esistenza dei vincoli preesistenti, a suo parere sufficienti a garantire la tutela di quella porzione di territorio, con la conseguenza che questo ulteriore intervento conservativo avrebbe rischiato di provocare un risultato opposto rispetto a quello portato a supporto motivazionale del provvedimento. Ciò in quanto la disciplina d’uso prescritta si poneva in evidente contrasto con l’obiettivo di evitare lo spopolamento della montagna, di creare posti di lavoro e opportunità di sviluppo turistico, connesse proprio alla particolarità paesaggistica.
Avverso la sentenza di primo grado hanno proposto appello Italia Nostra Onlus, Mountain Wilderness Italia Aps e Lipu ODV, nonchè appello incidentale il Ministero dell’Ambiente.
Come detto in premessa l’appello è stato accolto. Alla base della riforma della sentenza il Consiglio di Stato ha innanzitutto evidenziato come nel giudizio di primo grado sia stata sottovalutata la connessione della dichiarazione di notevole interesse pubblico con il principio di tutela di cui all’art. 9 della costituzione. Connessione già riconosciuta anche dalla Corte Costituzionale , che aveva avuto modo di pronunciarsi sul medesimo provvedimento, in sede di conflitto di attribuzione sollevato dalla Regione Veneto, dichiarando che il decreto di dichiarazione di interesse, affiancato da prescrizioni sull’uso dell’area, “ è del tutto connaturato alla finalità di conservazione del paesaggio” che giustifica non solo la tutela ma anche il potere di definire le modalità d’uso, fino in alcuni casi alla possibilità di vietarlo del tutto. La dichiarazione di interesse pubblico quindi è una valutazione autonoma che può aggiungersi anche a precedenti vincoli, laddove può “arricchire con maggiori dettagli lo specifico grado di protezione di cui i beni inseriti nell’area debbono godere”.
Ponendo l’attenzione sulla rilevanza costituzionale della tutela del paesaggio il collegio ha quindi affrontato i diversi motivi di appello, concludendo per la legittimità del provvedimento, laddove con questo si è opportunamente ritenuto di riconoscere un’esigenza di tutela maggiore per un territorio più vasto, che ricomprende diverse aree e singoli beni, la singola tutela dei quali ,ancorché già esistente, non è sufficiente a garantire una efficace protezione di quella parte di territorio visto nel suo complesso.
Tuttavia,è interessante osservare che, nonostante nella sentenza si affermi che la tipologia di provvedimento dovesse ritenersi inserita “nell’ambito di un giudizio su cui il sindacato giurisdizionale è limitato, che non deve spingersi oltre la ragionevolezza e l’attendibilità per sindacarne anche l’opinabilità e con essa il merito degli apprezzamenti”, in realtà poi il Collegio non si è sottratto ad una verifica puntuale dell’operato dell’amministrazione. La sentenza infatti contesta punto per punto le affermazioni e le conclusioni del giudice di primo grado, concludendo con un giudizio “di adeguata e congrua istruttoria” da cui trarre la sussistenza dei presupposti “della fondatezza e meritevolezza” della dichiarazione di interesse contestata.
L’attenzione e l’approfondimento dedicato alla valutazione dell’operato dell’amministrazione in fase istruttoria, consente di collocare anche questa pronuncia – contrariamente a quanto potrebbe apparire da una prima lettura superficiale – nell’alveo di quel nuovo approccio, che proprio con riferimento ai provvedimenti di apposizione dei vincoli di interesse culturale, ha portato di recente il Consiglio di Stato ( si veda ad esempio Consiglio di Stato, Sez. VI, 7 febbraio 2024, n. 1245), in più pronunce , a superare la convinzione che nell’ambito dell’attività amministrativa dedicata alla tutela dei beni e del territorio, la discrezionalità, ancorché tecnica, possa ritenersi assoluta e quasi arbitraria, solo in quanto svolta dall’amministrazione competente.
La completezza dell’istruttoria, del reperimento delle informazioni, delle ricostruzioni storiche, delle valutazioni del contesto, l’accuratezza degli esami documentali, anche per la sentenza in commento costituiscono sempre elementi essenziali ai fini della valutazione giurisdizionale del buon esercizio della discrezionalità tecnica e quindi della motivazione che viene posta a fondamento di un provvedimento di tutela. Tuttavia nel caso della tutela del paesaggio, valore di rilevanza costituzionale, a fronte di un corretto iter procedimentale, supportato da una accurata istruttoria, l’ambito decisionale dell’amministrazione deve ritenersi molto esteso. Con la conseguenza che i relativi provvedimenti , se supportati da una corretta analisi del contesto e quindi da una istruttoria appropriata, vanno valutati soprattutto con riferimento alla capacità degli stessi di garantire la conservazione di quel determinato territorio o contesto ambientale, sacrificando ove necessario anche il principio della contemperazione tra diversi interessi, in quanto, lo si ripete, l’interesse pubblico alla tutela del paesaggio rappresenta un interesse superiore, di rilevanza costituzionale.
SCARICA L’ARTICOLO IN PDF
Per il testo della sentenza (estratto dal sito istituzionale della Giustizia Amministrativa) cliccare sul pdf allegato.