La curatela può essere chiamata a risanare il sito dove ha svolto l’attività produttiva la società fallita

20 Mag 2021 | giurisprudenza, amministrativo, in evidenza 3

di Alessandro Kiniger

T.A.R. Marche, sez. I – 12 marzo 2021, n. 207 

Pres. Conti, Est. Capitanio – Fallimento M. s.r.l. in Liquidazione (avv. Galvani) c. Regione Marche (avv. De Bellis), Comune di Loreto (avv. Filippucci) e altri (n.c.)

Il principio “chi inquina paga” non esclude la legittimazione passiva rispetto agli obblighi di ripristino, bonifica, etc. di siti inquinati dei soggetti che in qualche modo “succedono” all’autore dell’inquinamento, come la curatela fallimentare.

In tema di Autorizzazione Integrata Ambientale, nel momento in cui assume il proprio ufficio il curatore è tenuto a prendere contezza del contenuto di tutti i provvedimenti amministrativi che legittimavano l’attività svolta dall’imprenditore fallito e ad attenersi alle relative prescrizioni. 

La detenzione è uno stato di fatto e non di diritto, per cui nella specie la mancata acquisizione dell’immobile all’attivo fallimentare non rileva ad escludere la detenzione e la conseguente responsabilità.

Il contesto

La sentenza in commento costituisce la prima decisione della giustizia amministrativa successiva alla pronuncia dell’Adunanza Plenaria n. 3/2021 sulle responsabilità ambientali del curatore fallimentare[i].

Fino alla sentenza del Consiglio di Stato, il dibattito interpretativo ha cercato di contemperare la tutela dell’ambiente con la frequente situazione di indisponibilità economica delle procedure fallimentari. In questi termini, la giurisprudenza maggioritaria ha negli anni generalmente escluso una responsabilità ambientale della curatela, fatta eccezione per i casi di esercizio provvisorio d’impresa e qualora l’aggravamento della situazione ambientale fosse imputabile ad un comportamento omissivo colposo del curatore[ii].

Il recente orientamento sostenuto dall’Adunanza Plenaria, al quale appartiene anche la pronuncia in commento, contrappone invece due primari interessi collettivi: da un lato quello sotteso alla disciplina della crisi di impresa, che vuole garantire la par condicio creditorum in ragione «della rilevanza generale che assumono le situazioni di crisi delle imprese che sfociano nel fallimento o negli altri istituti concorsuali»; dall’altro lato, l’interesse collettivo all’ambiente, di natura pubblicistica e tutelato nelle sue diverse declinazioni dal D.Lgs. n. 152/2006.

Come correttamente segnalato dal TAR Marche, spetterebbe al legislatore disciplinare le modalità di raccordo fra queste due primarie esigenze, considerato peraltro che molte delle disposizioni previste dal Codice dell’Ambiente vedono come destinatarie proprio le imprese che impattano sull’ambiente[iii]. In attesa dell’auspicato intervento normativo, ciò che emerge dalle più recenti pronunce del giudice amministrativo è, dunque, la tendenza a identificare nel curatore il legittimo destinatario di richieste di interventi a tutela dell’ambiente (gestione rifiuti, bonifica, ecc.) che spettavano all’imprenditore fallito e che trovavano la loro ragione nella attività da lui condotta[iv].

La vicenda

La fattispecie decisa dal TAR Marche è articolata e si caratterizza per una pluralità di soggetti gestori, in bonis e falliti, e per una scissione tra la proprietà delle aree ed i concessionari delle stesse. La posizione della curatela è però semplice: essa non aveva chiesto di proseguire con l’esercizio provvisorio dell’impresa; da tempo aveva sospeso l’esecuzione dei contratti e riconsegnato l’azienda alla proprietà; non era mai stata titolare dell’Autorizzazione Integrata Ambientale, rimasta sempre in capo alla fallita; infine, non avendo proseguito l’attività produttiva (peraltro cessata prima della dichiarazione di fallimento) ovviamente non ha prodotto rifiuti.

Il ricorso è stato presentato contro una diffida regionale emanata in ambito AIA, con la quale era stato ordinato alla curatela di realizzare con urgenza la messa in sicurezza e la bonifica del sito.

La decisione

Il TAR Marche, dopo aver differito la decisione della causa in attesa dell’imminente pubblicazione della pronuncia dell’Adunanza Plenaria, ha respinto il ricorso e confermato, per l’effetto, il provvedimento regionale.

Aderendo all’orientamento di Palazzo Spada, il Collegio ha ribadito che la disciplina fallimentare non può comportare, per l’impresa fallita e per la curatela che ne gestisce la fase liquidatoria, un’immunità ambientale. Il principio chi inquina paga, infatti, «non equivale ad escludere sempre e comunque la legittimazione passiva rispetto agli obblighi di ripristino, bonifica, etc. di siti inquinati dei soggetti che in qualche modo “succedono” all’autore dell’inquinamento, ed in particolare, per quanto di interesse nel presente giudizio, della curatela fallimentare».

Lo stesso dicasi, a detta del TAR, per alcuni istituiti privatistici indicati dalla ricorrente a sostegno delle proprie difese, primo tra tutti il leasing dell’immobile oggetto della (precedente) attività industriale. A detta del Collegio, si tratta, infatti, di aspetti irrilevanti rispetto agli obblighi ed alle responsabilità ambientali. In caso contrario, si tratterebbe di espedienti utili ad escludere una responsabilità ambientale tanto in capo all’imprenditore, che non risulta proprietario dell’area, quanto in capo al concedente, che in qualità di mero proprietario non opera nel sito.

Per definire se a seguito della dichiarazione di fallimento «perdano giuridica rilevanza gli obblighi cui era tenuta la società fallita», il TAR ha richiamato i concetti espressi dall’Adunanza Plenaria, in particolare la necessaria qualifica della curatela come detentore dell’immobile gravato da passività ambientali. Con specifico riferimento alla fattispecie in commento, il Collegio ha poi ritenuto che il curatore avesse «“ereditato” l’A.I.A. di cui era titolare» la società fallita.

Sotto il primo punto di vista, nel corso del giudizio la curatela aveva sostenuto di non aver mai avuto la formale detenzione dell’immobile, non avendolo acquisito all’attivo fallimentare. A detta del TAR, tuttavia, la detenzione è uno stato di fatto e non di diritto. In questi termini, il Collegio ha individuato alcuni elementi fattuali che avrebbero dimostrano come il curatore avesse materialmente detenuto gli immobili e disposto dei materiali presenti negli stessi. Tra questi – evidenzia il TAR – rientra anche dalla domanda di rivendica che la società di Leasing ha proposto, con successo, in sede concorsuale contro la curatela.

Quanto al tema della successione nell’AIA, a detta del TAR «già nel momento in cui assume il proprio munus il curatore è tenuto a prendere contezza del contenuto di tutti i provvedimenti amministrativi che legittimavano l’attività svolta dall’imprenditore fallito e ad attenersi alle relative prescrizioni».

Verificata dunque la detenzione dell’immobile potenzialmente contaminato e la successione della curatela negli obblighi autorizzativi, il TAR ha affermato la legittimazione passiva del curatore rispetto alla richiesta di porre in essere urgenti attività di risanamento espressa dalla Regione Marche.

Ed invero, il Collegio (richiamando sul punto l’Adunanza Plenaria) ha ribadito che in conformità al principio chi inquina paga i costi derivanti da esternalità di impresa devono ricadere sulla massa dei creditori, che in forza della disciplina fallimentare beneficiano degli effetti dell’ufficio della curatela in termini di ripartizione degli eventuali utili. Il principio chi inquina paga sarebbe invece contraddetto qualora i costi di risanamento fossero sopportati dalla collettività incolpevole. Sempre riprendendo l’Adunanza Plenaria, a nulla rileva, in questo contesto, la possibile incapienza dell’attivo fallimentare o che il curatore abbia rinunciato ad acquisire i beni del fallito ai sensi dell’art. 42, comma 3, della legge fallimentare[v].

Conclusione

Nel confermare l’indirizzo interpretativo dell’Adunanza Plenaria, il TAR Marche ha enfatizzato il concetto centrale per imputare alla curatela gli obblighi ambientali della società fallita, quello della detenzione. Ancora una volta, ad essere applicato non è stato il concetto nazionale, bensì quello eurocomunitario, fondato su una relazione di mero fatto tra l’organo della procedura fallimentare e l’immobile gravato da passività[vi].

Nel caso di specie, infatti, per quanto l’immobile fosse di proprietà di una società di leasing e la curatela non lo avesse acquisito all’attivo fallimentare, dalle evidenze versate in causa il TAR ha ritenuto esistente una detenzione di mero fatto tra il bene e il fallimento.

Diverso è invece il tema della successione negli obblighi del fallito. Il TAR richiama il principio consolidato, espresso anche dalla Plenaria, secondo cui non è possibile che il fallimento possa dar vita ad un fenomeno successorio rilevante sul piano giuridico rispetto al fallito. Ciò nondimeno, poco dopo, nella sentenza il Collegio sembra affermare il contrario, nella misura in cui imputa alla curatela l’onere di verificare il contenuto dei provvedimenti autorizzativi del fallito e di «attenersi alle relative prescrizioni».

In conclusione, avute presenti l’esigenza di contemperare la tutela dell’ambiente con le finalità sottese alla disciplina fallimentare e considerati gli inevitabili profili di criticità interpretativa che questo contemperamento genera in sede giurisprudenziale, a parere di chi scrive un intervento del legislatore sul tema, invocato dalla sentenza in commento, è sempre più necessario.

Per il testo della sentenza cliccare sul pdf allegato (estratto dal sito di Giustizia Amministrativa).

TAR Marche n. 207-2021

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COMMENTO TAR MARCHE – KINIGER-2

Note:

[i] Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria – 26 gennaio 2021, n. 3.

[ii] v. F. Peres, Gli obblighi del curatore fallimentare in materia di rifiuti e bonifica: analisi della giurisprudenza, in questa rivista online; F. Vanetti – C. Fischetti, Cambio di rotta: il curatore fallimentare è obbligato a rimuovere i rifiuti abbandonati dal fallito, in questa Rivista, 4, 2017, p. 726; F. Vanetti, Conflitto giurisprudenziale sugli obblighi del curatore per l’abbandono di rifiuti, in questa Rivista, 1, 2018, p. 158.

[iii] In particolare, le disposizioni contenute nella Parte II del Codice, in tema di “Procedure per la valutazione ambientale strategica (VAS), per la valutazione d’impatto ambientale (VIA) e per l’autorizzazione ambientale integrata (IPPC)”.

[iv] Il TAR Marche era già intervenuto sul tema con la sentenza n. 290/2016, nell’ambito della quale aveva affermato che «il rispetto dell’autorizzazione integrata ambientale, appare espressione del principio di precauzione stabilito dalla normativa europea, per la tutela dell’ambiente e quindi in ultima analisi per la difesa della salute umana, valore questo che nella gerarchia dei principi costituzionali viene collocato al vertice. In questa luce, si sottolinea come l’attività economica, libera sulla base della nostra costituzione, deve necessariamente tener conto del suo impatto sociale e quindi sull’ambiente. Ne consegue come l’attività economica non possa che svolgersi nel pieno rispetto delle normative di tutela ambientale e in particolare di quelle specifiche per le lavorazioni in questione. La diffida in esame va quindi inquadrata in quelle attività amministrative che implicano un rapporto non solo di controllo ma in ultima analisi di continua collaborazione tra pubblico e privato, al fine di tutelare l’ambiente e la salute, in piena e concreta applicazione dei principi europei e costituzionali. A parere del collegio, gli oneri non possono ricadere che sul titolare dell’autorizzazione che è attualmente, il fallimento dell’azienda. In caso contrario, come già detto, si rischierebbe una sorta di “pubblicizzazione” degli oneri che dovrebbero andare a carico del fallimento e consegue che il fallimento rimane obbligato a rispettare le prescrizioni dell’autorizzazione unica, comprese quelle riguardanti lo smaltimento dei rifiuti».

[v] Per un approfondimento critico su questi temi e, più in generale, sulla pronuncia dell’Adunanza Plenaria n. 3/2021, v. M. Fabiani e F. Peres, La posizione del curatore e gli obblighi di ripristino ambientale, in Il Fallimento, n. 5/2021.

[vi] Su questo tema v. F. Vanetti, L’Adunanza Plenaria chiarisce gli obblighi di intervento del curatore fallimentare rispetto ad interventi di bonifica e rimozione dei rifiuti, in questa rivista online.

 

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