La Cassazione conferma: niente reato se l’abusiva gestione di rifiuti è soltanto occasionale

01 Ott 2023 | penale, giurisprudenza

di Chiara Tanzarella

CASSAZIONE PENALE, Sez. III – 10 maggio 2023 (dep. 8 giugno 2023), n. 24676 – Pres. Ramacci, Est. Galterio – ric. R.A.

Ai fini della configurabilità del reato di «attività di gestione di rifiuti non autorizzata» punito dall’art. 256 comma 1 D.lgs. n. 152/06, non rileva la qualifica soggettiva del soggetto agente bensì la concreta attività posta in essere in assenza dei prescritti titoli abilitativi, che può essere svolta anche di fatto o in modo secondario, purché non sia caratterizzata da assoluta occasionalità. Costituiscono indici sintomatici della natura non occasionale della condotta e, quindi, dell’abusiva gestione, «la provenienza del rifiuto da una attività imprenditoriale esercitata da chi effettua o dispone l’abusiva gestione, la eterogeneità dei rifiuti gestiti, la loro quantità, le caratteristiche del rifiuto indicative di precedenti attività preliminari di prelievo, raggruppamento, cernita, deposito».

  1. Il caso sottoposto all’esame della Corte

Con la sentenza in commento la Cassazione è stata nuovamente chiamata ad affrontare la tematica, dalla casistica assai ricorrente, relativa alla rilevanza penale della condotta occasionale di “gestione di rifiuti” senza autorizzazione.

Nel caso in esame, l’imputato era stato condannato dal Tribunale di Messina in ordine alla contravvenzione di cui all’art. 256, comma 1, lett. a) T.U.A. per avere, in assenza della prescritta autorizzazione, trasportato con un autocarro e abbandonato «in prossimità della foce di un torrente» rifiuti «costituiti da mobilia usata del genere “cameretta per ragazzi”». A parere della difesa ricorrente, la condotta posta in essere dall’imputato non poteva rivestire rilevanza penale trattandosi di attività occasionale (un unico trasporto) «riconducibile ad un privato che sta dismettendo gli arredi della camera dei propri figli», essendo priva di alcun rilievo la circostanza – l’unica valorizzata in motivazione dal Tribunale – che il trasporto fosse stato effettuato con un autocarro, mezzo tipicamente adibito al trasporto di rifiuti.

In accoglimento del motivo di ricorso, la Cassazione annullava la sentenza impugnata con rinvio al Giudice di prime cure per le «necessarie e adeguate verifiche in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi del reato».

  1. La decisione della Cassazione

Per pervenire all’annullamento con rinvio della sentenza impugnata, la pronuncia della Cassazione richiama i propri numerosi precedenti che, nel corso degli anni, hanno contribuito a delineare gli elementi costitutivi del reato di «attività di gestione di rifiuti senza autorizzazione» di cui all’art. 256, comma 1 D.Lgs. n. 152/06.

Nello specifico, la Corte ribadisce l’orientamento ormai pacifico secondo cui:

  • l’illecito in esame è un reato comune a consumazione istantanea: ciò che rileva non è la qualifica soggettiva dell’autore del reato quanto la concreta attività posta in essere in assenza dei prescritti titoli abilitativi[1];
  • in tale ottica, integra il reato anche l’attività di gestione di rifiuti effettuata di fatto o in modo secondario o consequenziale all’esercizio di un’attività primaria diversa, a condizione che non sia caratterizzata da occasionalità e episodicità [2];
  • l’esclusione della rilevanza penale della condotta occasionale e assolutamente estemporanea è desumibile dal tenore della norma incriminatrice che «punendo una “attività” di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione, concentra il disvalore su un complesso di azioni che, pur non dovendo ricorrere congiuntamente, devono comunque essere indici di un minimo di organizzazione che ne lasci concretamente desumere la loro reiterazione»[3];
  • spetta al giudice verificare se le concrete modalità della condotta siano o meno sintomatiche di una attività di gestione dei rifiuti, rientrante tra quelle assentibili ai sensi degli artt. 208 ss. D.Lgs. n. 152/06, piuttosto che di una condotta del tutto isolata, occasionale e, come tale, non richiedente alcun titolo abilitativo e, quindi, penalmente irrilevante.

A tale ultimo proposito, l’elaborazione giurisprudenziale, richiamata anche nella pronuncia in esame, ha individuato i seguenti quali indici rivelatori di quel minimo di organizzazione tipico di un’attività di fatto di gestione di rifiuti: (i) la quantità dei rifiuti gestiti; (ii) la loro natura ed eterogeneità; (iii) la provenienza degli stessi da un’attività imprenditoriale; (iv) l’esistenza di caratteristiche nel rifiuto indicative di precedenti attività preliminari di prelievo, raggruppamento, cernita e deposito; (v) la necessità di un veicolo adeguato e funzionale all’attività svolta e (vi) il numero di soggetti coinvolti in essa[4].

Nel caso di specie – conclude la Suprema Corte – tale verifica è stata del tutto omessa dal Giudice di Prime Cure il quale, a fronte di un unico episodio di trasporto e in presenza di rifiuti di natura omogenea (mobilio in disuso appartenente al genere “camera per ragazzi”), non ha indicato alcun elemento, all’infuori del mezzo di trasporto utilizzato (astrattamente idoneo ad una ricorrente attività di trasporto di rifiuti), dal quale desumere una rudimentale organizzazione o un’abitualità sottese ad un’attività di gestione rifiuti non autorizzata. Nello specifico, si legge nella pronuncia in commento, non è stata «chiarita la quantità dei mobili trasportati e scaricati in prossimità della foce di un torrente, né la tipologia dell’attività espletata dall’impresa di cui l’imputato figura (…) dipendente, né, a monte che la condotta in contestazione fosse collegata all’attività lavorativa del prevenuto».

Rilevata, quindi, la necessità di verificare la sussistenza dei richiamati indici, la Cassazione ha disposto l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Messina.

  1. Le criticità dell’opposto orientamento giurisprudenziale

L’approdo giurisprudenziale di cui la sentenza in commento si è fatta portavoce, confermandone la natura maggioritaria, non era così scontato.

Le prime pronunce chiamate a delineare i tratti costitutivi della “attività di gestione di rifiuti non autorizzata”, infatti, pervenivano, con riferimento alla rilevanza penale di condotte occasionali, a soluzioni opposte.

In particolare, pacifica la qualifica di reato comune e assodata la natura istantanea del reato in esame che si perfeziona nel momento in cui si realizza anche una sola condotta tipica[5], si riteneva che qualsiasi “gestione” (intesa come una delle condotte contemplate dalla norma de qua) episodica di rifiuti – da chiunque (privato o imprenditore) e con qualsiasi modalità fosse stata effettuata – integrasse comportamento comunque riconducibile alla previsione sanzionatoria di cui all’art. 256, comma 1 D.Lgs. n. 152/2006[6]. Non era, cioè, demandata al giudice alcuna verifica concernente la sussistenza nella condotta di indici sintomatici dell’esercizio di fatto di una attività di gestione di rifiuti. In applicazione di tale orientamento, è stato, ad esempio, ravvisato il reato in esame nel comportamento di due soggetti sorpresi, in una sola occasione, a trasportare tramite Ape Car e a scaricare sulla pubblica via materiale di risulta, senza alcuna indagine in merito all’esistenza di una organizzazione, anche di fatto, dedita con abitualità alla gestione dei rifiuti. In altre parole, a integrare il reato è stata ritenuta sufficiente l’unica condotta di trasporto e di abbandono di rifiuti accertata[7].

Sono evidenti (e censurabili) i risvolti di simile orientamento giurisprudenziale.

In primo luogo, esso finisce con il far rientrare nell’alveo applicativo dell’art. 256, comma 1, D.Lgs. n. 152/2006 condotte che, in quanto nemmeno astrattamente assentibili tra quelle per le quali è richiesto un titolo abilitativo a norma degli artt. 208 ss. D.lgs. 152/06, nulla hanno a che vedere con un’attività di gestione di rifiuti.

Si pensi, a tal proposito, all’art. 212 D.Lgs. n. 152/2006 che prevede due differenti regimi di iscrizione all’Albo Nazionale dei Gestori Ambientali: quello “ordinario” per le imprese esercenti professionalmente l’attività di raccolta e trasporto dei rifiuti non pericolosi prodotti da terzi e quello “semplificato” per le imprese che effettuano la raccolta e il trasporto dei rifiuti non pericolosi da esse stesse prodotti, a condizione però che «tali operazioni costituiscano parte integrante ed accessoria dell’organizzazione dell’impresa dalla quale i rifiuti sono prodotti». Simile inciso è stato interpretato nel senso che l’attività di raccolta e trasporto di propri rifiuti è sottoposta a iscrizione a regime semplificato qualora presenti i caratteri dell’ordinarietà e della continuità, trattandosi di attività inserita, seppure accessoriamente, nell’organizzazione dell’impresa. A fronte di tale quadro normativo, costituisce un paradosso considerare “attività illecite di gestione di rifiuti” condotte che, in quanto assolutamente occasionali, non organizzate e non accessorie a un’attività di impresa, nemmeno richiederebbero un’autorizzazione ai fini del loro esercizio.

Secondariamente, trattare alla stregua di “gestione abusiva” qualsiasi condotta di trasporto e conseguente abbandono di rifiuti episodica, sporadica e del tutto avulsa da un contesto organizzativo, implica la disapplicazione di fatto delle ulteriori fattispecie contemplate dagli artt. 255 e 256, comma 2 D.Lgs. n. 152/2006 che, come noto, puniscono quale illecito amministrativo e contravvenzione il “mero” abbandono di rifiuti rispettivamente effettuato da un privato o da un imprenditore.

  1. Il quadro normativo

É allora opportuno tirare le fila del quadro sanzionatorio delineato dagli artt. 255 e 256 D.Lgs. n. 152/2006.

L’art. 256, comma 1 D.Lgs. n. 152/2006, così come interpretato dalla giurisprudenza abbracciata dalla sentenza in esame, punisce chiunque – imprenditore o privato – eserciti abusivamente una delle attività di gestione indicate in via alternativa nella citata norma. L’unica condizione è che l’esercizio, anche di fatto, non sia occasionale, laddove con tale espressione non ci si riferisce alla singolarità della condotta (trattandosi di fattispecie a consumazione istantanea) quanto alla non ravvisabilità in essa di indici rivelatori di un’organizzazione. Si pensi, ad esempio, all’ipotesi di un unico trasporto con un mezzo e una quantità ed eterogeneità di rifiuti tale che sia certa la previa attività di raccolta o cernita: in un caso simile, il reato, seppur a fronte di una sola condotta tipica accertata, potrà dirsi certamente integrato, essendo pacifico lo svolgimento di una “attività”, vale a dire di un complesso di azioni espressive di una abitualità tipiche di una ricorrente gestione di rifiuti per il cui esercizio è necessaria la prescritta autorizzazione.

Così delimitato l’alveo applicativo dell’art. 256, comma 1 D.Lgs. n. 152/2006 alla gestione di rifiuti connotata da abitualità, ne consegue che tutte quelle condotte episodiche di “gestione” di rifiuti saranno punite ai sensi, rispettivamente, dell’art. 255 o dell’art. 256, comma 2 D.Lgs. n. 152/2006 a seconda che siano poste in essere da un privato ovvero da un imprenditore. Nel primo caso, l’abbandono (necessariamente preceduto da una condotta di trasporto)[8] del rifiuto rileverà quale illecito amministrativo; laddove, invece, l’autore del reato sia un imprenditore, anche estraneo al settore dei rifiuti, tale condotta sarà sanzionata in sede penale.

  1. Conclusioni

Alla luce del quadro normativo appena delineato, è evidente come l’accertamento in fatto demandato dalla Suprema Corte al Tribunale di Messina sia rilevante non soltanto per verificare la sussistenza o meno degli estremi del reato contestato ma, più in generale, ai fini del corretto inquadramento giuridico della fattispecie. Laddove, infatti, l’accertamento esperito nel giudizio di rinvio dovesse portare ad escludere l’esistenza di una organizzazione di fatto finalizzata all’attività di gestione abusiva di rifiuti, la condotta posta in essere dall’imputato parrebbe comunque idonea a integrare, rispettivamente e a seconda della qualifica soggettiva dal medesimo rivestita, l’illecito amministrativo di cui all’art. 255 o la contravvenzione punita dall’art. 256, comma 2 D.Lgs. n. 152/2006, essendo emerso con certezza che i rifiuti sono stati dallo stesso abbandonati vicino alla foce di un fiume.

Pur essendo improbabile che la Procura, nell’ipotesi in cui non emergessero indici sintomatici di un’attività di fatto di gestione di rifiuti, proceda nel corso del giudizio di rinvio a una modifica dell’imputazione, sarebbe comunque interessante poter leggere le motivazioni della sentenza che sarà emessa ad esito dello stesso anche per verificare la corretta applicazione da parte del Tribunale dei principi di diritto dettati dalla Cassazione nella sentenza in commento.

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RGA Online – Tanzarella – contributo ottobre 2023

NOTE:

[1] Cass. pen., Sez. III, 26 gennaio 2021, n. 4770; Cass. pen., Sez. III, 7 gennaio 2016, n. 5716 e Corte Appello Lecce, 31 luglio 2021, n.793.

[2] Si veda, sul punto: Cass. pen., Sez. III, 17 dicembre 2021, n. 2213; Cass. pen., Sez. III, 28 gennaio 2021, n. 3573; Cass.  pen., Sez. III, 25 settembre 2019, n. 49718; Cass. pen., Sez. III, 21 gennaio 2020, n. 13105; Cass. pen., Sez. III, 24 giugno 2014, n. 29992; Cass. pen., Sez. III,11 febbraio 2016, n. 8193 nonché, tra la giurisprudenza di merito: Tribunale Ferrara, 14 marzo 2022, n. 234 e Tribunale Torre Annunziata, 10 novembre 2021, n. 2260.

[3] Sul punto, Cass. pen., Sez. III, 28 marzo 2017, n. 24115 di cui si richiama un passaggio rilevante della motivazione: «con riguardo ai requisiti che la condotta posta in essere dal soggetto attivo deve possedere per essere qualificata come “attività di gestione di rifiuti” (e, per quanto qui segnatamente in rilievo, di trasporto) penalmente sanzionata, questa Corte ha, in particolare, precisato che, pur se sia sufficiente a tali fini anche una sola condotta integrante una delle ipotesi alternative tipizzate dalla fattispecie penale (Sez. 3, n. 8979 del 2/10/2014, dep. 02/03/2015, P.M. in proc. Cristinzio, Rv. 262514; Sez. 3, n. 24428 del 25/05/2011, dep. 17/06/2011, D’Andrea, Rv. 250674; Sez. 3, n. 21655 del 13/04/2010, dep. 08/06/2010, Hrustic, Rv. 247605), la stessa deve, tuttavia, costituire una “attività”, tale non essendo, dunque, in ragione proprio della testuale espressione in tal modo usata dal legislatore, la condotta caratterizzata da assoluta occasionalità».

[4] Cass. pen., Sez. III, 17 dicembre 2021, cit.; Cass. pen., Sez. III, 6 novembre 2018, n. 2575; Cass. pen., Sez. III, 4 luglio 2017, n. 36819; Cass. pen., Sez. III, 11 febbraio 2016, n. 8193; Cass. pen., Sez. III, 7 gennaio 2016, n. 5716; Cass. pen., Sez. III, 8 giugno 2018, n. 39217; Cass. pen., Sez. III, 11 maggio 2018, n. 31396.

[5] Cass. pen., Sez. III, 8 giugno 2010, n. 21665; Cass. pen., Sez. III, 16 giugno 2011, n. 24428; Cass. pen., Sez. III, 2 ottobre 2014, n. 8979; Cass. pen., Sez. III, 11 febbraio 2016, cit. nonché, tra la giurisprudenza di merito, Tribunale Campobasso, 26 gennaio 2018, n. 14

[6] Si richiama, in questi termini, Cass. pen., Sez. III, 2 ottobre 2014, n. 8979 e, tra la giurisprudenza di merito, Tribunale di Napoli, Sez. I, 1° giugno 2015, n. 9696 e Tribunale Napoli, Sez. I, 5 febbraio 2018, n..1540.

[7] Tribunale di Napoli, Sez. I, 1 giugno 2015, cit.

[8] Chiarisce bene questa distinzione Cass. pen., Sez. III, 10 giugno 2014, n. 41352 richiamata da Cass. pen., Sez. III, 7 gennaio 2016, n. 5716 che evidenzia come la citata sentenza «esclude la rilevanza penale del trasporto abusivo in quanto del tutto occasionale, perché esclusivamente propedeutico e strumentale ad un abbandono dei rifiuti (sanzionato in via amministrativa dall’art. 255 T.U.amb.)».

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