Inquinamento ambientale e pesca illegale: un confine incerto tra mondi distanti

01 Dic 2023 | giurisprudenza, penale

di Antonio Sanson

CASSAZIONE PENALE, Sez. III – 14 settembre 2023 (dep. 13 ottobre 2023), n. 41602 – Pres. Ramacci, Est. Scarcella – ric. Testa

Integra il delitto di inquinamento ambientale di cui all’art. 452 bis c.p. la pesca di oloturie e di ricci di mare effettuata in violazione di disposizioni legislative o regolamentari poste a tutela dell’ambiente marino, qualora abbia provocato un notevole grado di compromissione, tale da poter assurgere a vero e proprio deterioramento delle popolazioni e da determinare un significativo squilibrio dell’ecosistema e della biodiversità correlata ai fondali.

  1. La vicenda sottesa al giudizio della Suprema Corte

La Corte di Cassazione è investita da un ricorso presentato avverso un’ordinanza del Tribunale del Riesame di Palermo, che aveva confermato il decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca di un importo pari a 57.963,14 euro identificato quale profitto di una ipotesi di inquinamento ambientale ex art 452 bis, co. 2 c.p.

Nello specifico, al ricorrente, che assieme ad altri soggetti era stato anche raggiunto da misura cautelare personale, veniva contestato di aver cagionato uno squilibrio dell’ecosistema marino associato e della biodiversità correlata ai fondali della Sicilia Sud Occidentale attraverso reiterate condotte di raccolta di ricci di mare e di oloturie (conosciuti come “cetrioli di mare”) che risultavano essere in contrasto con il decreto 7.07.1995 della Regione Sicilia per quanto riguarda i primi, e con il D.M. 27.02.2018 e successivi rinnovi per quanto riguarda le seconde.

  1. Il ricorso presentato dall’indagato

L’indagato proponeva un unico motivo di ricorso che, in realtà, dal testo delle motivazioni si deduce essere stato strutturato come una serie di censure di violazione di legge e di vizio di motivazione in riferimento agli artt. 452 bis c.p., 7 e 8 D.Lgs 4/2012 e 321, co. 2 c.p.p.

In particolare, il ricorrente lamentava che l’ordinanza impugnata era incorsa in un vizio di legge laddove aveva ritenuto sussistente il fumus del delitto contestato richiamandosi semplicemente ai gravi indizi di colpevolezza alla base della parallela misura personale a suo carico di cui lo stesso Tribunale del Riesame si era precedentemente occupato. Questo, secondo il ricorrente, avrebbe costituito una violazione di legge con diretti effetti sull’impianto motivazionale, che, richiamandosi sic et simpliciter ad altro provvedimento, doveva ritenersi viziato alla radice.

Operando in tal modo il Tribunale del Riesame, secondo la difesa, non aveva considerato gli argomenti proposti per confutare la sussistenza del reato di inquinamento ambientale, da ritenersi in realtà insussistente. Vuoi perché gli elementi di prova riferibili al primo periodo della condotta contestata erano documentati essenzialmente da fotografie reperite su un social network e dunque da ritenersi di scarsa attendibilità; vuoi perché, con riferimento alle oloturie, il ricorrente era stato sanzionato con decreto penale di condanna per averne pescati 40 kg nel 2021, epoca in cui scoprì del divieto di pescarne e a partire dalla quale ne aveva interrotto la cattura.
Con riferimento ai ricci di mare, invece, trattandosi di attività in sé lecita ma sottoposta a limitazioni quantitative, l’indagato lamentava la mancanza di una specifica valutazione da parte del Tribunale del Riesame, che non avrebbe dovuto semplicemente adagiarsi sui calcoli presuntivi effettuati dalla polizia giudiziaria.

Da ultimo il gravame evidenziava l’assenza di motivazione con riferimento al periculum in mora della misura ablativa; tale profilo non era stato trattato nel decreto di sequestro e il Tribunale del Riesame ne aveva giustificato l’adozione sulla scorta del fatto che il denaro costituisce bene facilmente occultabile e dunque era ben possibile che lo stesso venisse disperso nelle more della celebrazione del processo con conseguente infruttuosità della confisca in caso di condanna: ciò avrebbe costituito l’evento pericoloso che andava sterilizzato.

  1. La motivazione della decisione ed alcune considerazioni

Vale la pena anticipare da subito che la Corte ha accolto il ricorso solo nella parte in cui ha ritenuto sussistente la mancanza di motivazione relativa al periculum in mora e pertanto ha annullato l’ordinanza con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale del Riesame di Palermo.

La sentenza, allineandosi anche alle conclusioni del Procuratore Generale, richiama infatti le Sezioni Unite “Ellade”[1] e ribadisce il principio secondo cui nel caso di sequestro preventivo finalizzato alla confisca, indipendentemente che questa sia nella forma diretta o per equivalente, è necessario che il provvedimento contenga una concisa motivazione sul periculum in mora, fermo restando che, quando vada a colpire cose intrinsecamente criminose, l’onere motivazionale può ritenersi assolto sulla base della riconducibilità della res all’elenco di cui all’art. 240, co. 2, n. 2) c.p.

La parte più interessante della sentenza riguarda invece l’altra parte del motivo, ovvero quella relativa alle censure, di legge e di motivazione, aventi ad oggetto l’art 452 bis c.p. e la disciplina della pesca di cui al D.Lgs. 4/2012.

La Corte, pur ricordando che il vizio di motivazione non è deducibile in sede di ricorso per cassazione avverso una misura cautelare reale (che l’art 325 c.p.p., come noto, limita alla sola ipotesi di violazione di legge) e che l’astratta configurabilità del reato per il quale la misura cautelare è concessa ben può essere effettuata attraverso il richiamo alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza di cui all’ordinanza che ha rigettato il riesame della misura personale giudicata dal medesimo Tribunale, coglie l’occasione per tracciare i confini tra la figura delittuosa di inquinamento ambientale e l’ipotesi contravvenzionale di pesca abusiva.

Quest’ultima fattispecie è attualmente prevista dal combinato disposto degli artt. 7 e 8 D.Lgs 4/2012: la prima norma fornisce un ricco elenco di divieti che contempla innanzitutto la pesca di specie di cui sia vietata la cattura sulla base della normativa vigente (secondo il classico schema della norma penale “in bianco”). Il successivo art. 8, invece, ricollega il mancato rispetto dei divieti a pene di tipo contravvenzionale divise in due gruppi: le ipotesi più gravi (tra cui la pesca di specie vietate) prevedono l’arresto da due mesi a due anni o l’ammenda da 2.000,00 a 12.000,00 euro; le più lievi l’arresto da un mese ad un anno o l’ammenda a 1.000,00 e 6.000,00 euro.[2] Lo stesso articolo contiene altresì una clausola di sussidiarietà in forza della quale la norma trova applicazione “salvo che  il fatto non costituisca più grave reato”.

Come noto, invece, il delitto di cui all’art 452 bis c.p. si fonda sul cagionamento “abusivo” di una compromissione o un deterioramento significativo e misurabile alle matrici ambientali. Il punto di contatto con la fattispecie di pesca abusiva va individuato nel fatto che, essendo un delitto a forma libera, lo stesso è suscettibile di essere realizzato con le più varie condotte, ivi incluse quelle di una attività ittica contra legem.

La Corte di cassazione, conformemente con l’orientamento espresso dalla giurisprudenza della terza Sezione,[3] sembra risolvere agilmente il problema del confine tra le due ipotesi criminose. Osserva che appunto possono essere classificate “abusive” sia attività clandestine (“perché svolte in totale assenza di titolo abilitativo”), sia quelle realizzate “in violazione delle prescrizioni dell’autorizzazione o, comunque delle disposizioni di legge che ne disciplinano l’esercizio”.[4] Pertanto, qualora la attività di pesca abusiva cagioni la compromissione o il deterioramento in maniera significativa e misurabile di una delle matrici ambientali descritte dal primo comma dell’art 452 bis c.p., allora l’illecito contravvenzionale cede il passo alla disposizione codicistica.

Verrebbe da dire “tutto facile”, o quasi. Non si può non constatare che la riconduzione della condotta all’una o all’altra ipotesi è operazione foriera di conseguenze non trascurabili dal punto di vista sanzionatorio: in un caso sono piuttosto blande (e peraltro con possibilità di definire il procedimento attraverso la procedura di oblazione), nell’altro sicuramente più severe, tanto più se si ricada nell’ipotesi aggravata prevista dal secondo comma.

La situazione lascia all’interprete un certo grado di preoccupazione, non foss’altro che la norma sull’inquinamento ambientale è stata duramente criticata in maniera pressoché unanime dalla dottrina penalistica in ragione della sua infelice formulazione e dei macroscopici vizi di indeterminatezza che la affliggono[5].

Basti considerare il paradosso per cui l’inquinamento deve essere misurabile e significativo, ma non è dato sapersi come debba essere concretamente determinato l’oggetto materiale del reato, che il legislatore ha sganciato da qualsiasi parametro numerico preferendo ricorrere a concetti generici suscettibili di estendere i propri confini a seconda della sensibilità dell’interprete. Il cortocircuito è generato dal fatto che qualsiasi deterioramento o compromissione sono significativi solo se posto in relazione ad un termine di paragone: lo sversamento di alcuni litri di sostanze inquinanti potrebbe essere significativo con riferimento ad un’area di pochi metri quadrati, ma diventa del tutto trascurabile se il metro di paragone diventa un bacino di vaste dimensioni.

La ricerca di punti fermi non può giovarsi nemmeno delle (scarse) pronunce giurisprudenziali sul punto, che in alcuni casi evidenziano aspetti non dirimenti, come il fatto che danno non debba essere necessariamente irreversibile[6] o che l’intervento ripristinatorio successivo richieda una attività non agevole[7], mentre in altri contribuiscono addirittura a rendere ancor più evanescente la condotta. È per esempio quanto accaduto quando si è affermato che compromissione e deterioramento non richiedano necessariamente accertamenti tecnici specifici[8].

Allo stesso modo è stato evidenziato come anche il nesso causale entri in crisi quando viene calato nella fattispecie in esame, redatta in maniera non adeguata rispetto ai fenomeni di inquinamento, che nella maggior parte dei casi non sono riconducibili a condotte di singoli prontamente identificabili, essendo piuttosto il frutto di una serie di concause e di condotte stratificate.

Nessuna nuova, dunque, dal fronte del mare. Tutto sembra risolversi ancora in una questione di discrezionalità (troppa) rimessa in capo al giudice e alla sua sensibilità, con buona pace del principio di prevedibilità.

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RGA Online – Sanson – contributo nov. 2023 (rev.)

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Cass. III, 41602_2023 (nota Sanson dic. 2023)

NOTE:

[1] Si tratta di Corte Cass. pen., Sez. Un., 24 giugno 2021, n. 36959, per un commento si rimanda a R. Belfiore, Le Sezioni Unite sul periculum in mora nel sequestro preventivo strumentale alla confisca, in Cass. Pen., 2022, 2, pp. 543 ss. e a S. Piergiovanni, Sequestro preventivo finalizzato alla confisca: le Sezioni unite impongono l’onere di motivare sul periculum in mora, in www.sistemapenale.it (9 novembre 2021).

[2] Per un commento alle fattispecie incriminatrici previste da tale corpo normativo si rimanda a L. Ponzoni, La disciplina penale della pesca dopo il D.lgs 4/2012, in questa Rivista, 2012, pp. 727 ss. 

[3] Il richiamo espresso è a Corte Cass. pen, Sez. III, 30 gennaio 2020, n. 9079; Corte Cass. pen., Sez. III, 30 gennaio 2020, n. 9080; Corte Cass. pen., Sez. III, 30 gennaio 2020, n. 10469.

[4] Così P. Fimiani, La tutela penale dell’ambiente, Milano, 2015, p. 86; per una disamina sul significato da attribuire all’elemento dell’abusività nella fattispecie si veda G. Bellini – F. Procopio, La Cassazione sul concetto di “abusività della condotta nel reato di inquinamento ambientale, in questa Rivista, n. 33, luglio 2022.

[5] Si vedano le non velate critiche espresse da L. Cornacchia – N. Pisani, Il nuovo diritto penale dell’ambiente, 2018, p. 90; T. Padovani, Legge sugli ecoreati, un impianto inefficace che non aiuta l’ambiente, in Guid. dir., 2015, 32, p. 10; C. Ruga Riva, Diritto penale dell’ambiente, Torino, 2016, p. 249

[6] Si veda Corte Cass. pen., Sez. III, 21 settembre 2016, n. 46170.

[7] Si veda Corte Cass. pen., Sez. III, 27 ottobre 2016, n. 10515.

[8] Il riferimento è a Corte Cass. pen., Sez. III, 21 giugno 2018, n. 28732.

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