Consiglio di Stato, sez. IV – 10 marzo 2025, n. 1969
In materia ambientale, l’accertamento del nesso fra una determinata presunta causa di inquinamento ed i relativi effetti, si basa sul criterio del “più probabile che non”, ovvero richiede che il nesso eziologico ipotizzato dall’autorità competente sia più probabile della sua negazione.
Il soggetto individuato come responsabile non può limitarsi a ventilare genericamente il dubbio in merito a una esistente responsabilità di terzi, ma dovrà provare e documentare in modo analitico la reale dinamica degli avvenimenti, e indicare a quale altra attività, con la dimostrazione causale, debba essere addebitata la condotta dell’inquinamento.
Quando non è possibile stabilire o riconoscere gli effetti conseguenti alle singole condotte causative dell’inquinamento, allora l’attività di bonifica non può che tradursi in un’unica azione e gravare in modo solidale su tutti i responsabili.
Il soggetto che ha posto in essere gli interventi di bonifica ha titolo per agire in rivalsa, ai sensi dell’art. 252 Dlgs 152/2006, nei confronti di eventuali soggetti che ritiene corresponsabili, nella misura del loro contributo alla contaminazione.
Il Consiglio di Stato con la sentenza in commento conferma il principio secondo cui, ai fini dell’individuazione delle responsabilità per le contaminazioni, l’accertamento del nesso fra una determinata possibile causa di inquinamento e le sue conseguenze deve basarsi sul criterio “del più probabile che non”, ovvero il nesso eziologico ipotizzato dalla pubblica amministrazione deve essere più probabile della sua negazione.
Un criterio che si estende anche alle ipotesi in cui sussistono più responsabilità, senza che sia necessario delineare le percentuali per cui si viene chiamati a rispondere.
Nel caso in esame, infatti, sul sito hanno operato due società che svolgono attività inerenti la gestione dei rifiuti e l’amministrazione ha ritenuto sufficiente la corrispondenza tra tipologia di sostanze inquinanti e i materiali utilizzati da entrambe per motivare l’accertamento di responsabilità. Accertamento che sia il TAR sia il Consiglio di Stato hanno ritenuto legittimo, proprio in quanto fondato su elementi sicuramente indiziari, ma sufficientemente plausibili e comunque non adeguatamente confutati dalla ricorrente.
In proposito, il Consiglio di Stato ribadisce anche un altro principio, ormai consolidato nella giurisprudenza amministrativa, secondo cui il soggetto individuato come responsabile non può limitarsi a contestare genericamente la sua responsabilità richiamando una generica responsabilità di altri, dovendo egli, al fine di scagionarsi o ridurre il suo contributo, provare e documentare con analiticità tutto ciò che può effettivamente dimostrare un contributo nella contaminazione da parte di terzi.
La sentenza si sofferma anche sul tema della responsabilità di più soggetti come obbligazione solidale, evidenziando come a tale ipotesi non si contrapponga affatto il principio “chi inquina paga”, laddove questo principio è volto a stabilire che il responsabile della contaminazione è obbligato a bonificare, ma certo non determina la necessità di individuare il peso del contributo all’inquinamento di ciascun possibile inquinatore. Secondo il Consiglio di Stato infatti la “necessità di tutelare l’ambiente e la salute umana esigono, in applicazione del principio di precauzione, che l’inizio delle operazioni finalizzate alla bonifica di un sito non possano essere bloccate in attesa di individuare tutti i possibili responsabili, le singole responsabilità e le singole azioni di bonifica, ove frazionabili”. D’altra parte, il soggetto individuato come responsabile, qualora effettivamente si trovasse a poter indicare altri possibili responsabili e a ricostruirne gli specifici contributi alla contaminazione, ha la possibilità di agire in rivalsa, ai sensi dell’art. 253 del Dlgs 152/2006, ottenendo in sede civile la restituzione di quanto anticipato per conto di chi altro ha effettivamente partecipato a produrre l’inquinamento.
Seguendo questa interpretazione normativa con riferimento all’individuazione del responsabile della contaminazione si può quindi ritenere che sussistano esigenze diverse. Da una parte l’obiettivo del ripristino ambientale a tutela della salute e dell’ambiente, che attiene alla sfera pubblica e quindi giustifica il principio di solidarietà, al fine di garantire che si ponga in essere il prima possibile il ripristino delle condizioni ambientali del sito; dall’altra l’esigenza di garantire la partecipazione alle spese di bonifica da parte di tutti i soggetti che vi hanno effettivamente contribuito, accertamento che attiene ai rapporti fra privati e quindi alla competenza del giudice civile.
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