In tema di procedura estintiva delle contravvenzioni ambientali: alcune affermazioni della cassazione sollevano dubbi.

04 Set 2023 | giurisprudenza, penale, in evidenza 1

Di Vincenzo Paone

CASSAZIONE PENALE, Sez. III – 17 maggio 2023 (dep. 8 giugno 2023), n. 24677 Pres. Ramacci, Est. Noviello Ric. B.

L’omessa indicazione, da parte dell’organo di vigilanza o della polizia giudiziaria, della prescrizione di regolarizzazione, la cui ottemperanza è necessaria per l’estinzione delle contravvenzioni, non è causa di improcedibilità dell’azione penale.

  1. Il caso concreto.

A seguito di condanna per  il reato di cui all’art. 279, comma 1, D.Lgs. n. 152/2006 (per aver svolto attività da cui derivavano emissioni in atmosfera), l’imputato si rivolgeva alla Corte di Cassazione lamentando il mancato ricorso alla procedura di estinzione delle contravvenzioni, ai sensi degli artt. 318 bis, D.Lgs. n. 152/2006, atteso che il fatto ascritto consisteva nella mancata acquisizione di una autorizzazione amministrativa.

La Cassazione, nel dichiarare infondato il ricorso, ha prima di tutto rilevato che la formale autorizzazione, assente all’atto dell’accertamento da parte dell’organo di vigilanza, era poi sopravvenuta; in secondo luogo, ha sostenuto che la procedura di estinzione delle contravvenzioni in materia ambientale non è obbligatoria e che l’omessa indicazione al trasgressore della prescrizione non è causa di improcedibilità dell’azione penale. Al riguardo, ha aggiunto che non è neppure previsto un obbligo a carico del giudice di sospendere il processo per dare corso alle procedure di cui agli artt. 318 bis e ss. T.U.A. e così consentire, previo pagamento dell’oblazione amministrativa, l’estinzione del reato. Infatti, l’imputato avrebbe potuto, una volta eliminate le conseguenze dannose o pericolose del reato, richiedere direttamente l’ammissione all’oblazione in misura ridotta.

  1. Obbligatorietà della prescrizione e/o dell’attivazione della procedura

La Cassazione ribadisce una tesi già enunciata in molteplici occasioni[1], e cioè che l’adozione della procedura estintiva di cui agli artt. 318 bis ss., D.Lgs. n.152/2006 non è obbligatoria e che non è dunque prevista alcuna causa di improcedibilità dell’azione penale.

Tali affermazioni suscitano più di un dubbio. Per comprendere appieno la questione, occorrono due premesse.

In primo luogo, gli artt. 318 bis ss., D.Lgs. n. 152/2006 – al pari del D.Lgs. n. 758/1994, relativo alla sicurezza ed igiene sul lavoro – prevedono una procedura che presenta due momenti che vanno tenuti ben distinti: il primo, è la fase in cui l’organo di vigilanza o la polizia giudiziaria impartisce una specifica prescrizione per l’estinzione della contravvenzione accertata; il secondo, è la fase in cui, constatato l’adempimento tempestivo e conforme, l’organo di vigilanza ammette il contravventore al pagamento in forma ridotta (il quarto del massimo dell’ammenda prevista per la contravvenzione commessa).

La distinzione di queste due fasi non compare mai nelle sentenze che si sono espresse in materia. E’ invece essenziale tenere presente questo profilo perché la normativa, alla luce dell’intervento della Corte cost., di cui diremo in appresso, non esclude affatto che la procedura di cui trattasi possa consistere nell’attuazione della sola seconda fase della medesima.

La seconda premessa riguarda le situazioni che si presentano all’organo accertatore:

1) regolarizzazione dell’illecito oggettivamente possibile perché la condotta antigiuridica non è cessata o perché gli effetti della stessa sono eliminabili e il contravventore è ancora titolare della posizione giuridica che gli consente di provvedere;

2) regolarizzazione dell’illecito realizzata autonomamente e spontaneamente dallo stesso contravventore prima dell’intervento prescrittivo dell’organo di vigilanza: è l’ipotesi oggetto della sentenza della Corte Cost. 18 febbraio 1998, n. 19 che ha stabilito che, in tal caso, l’organo di vigilanza si deve limitare ad ammettere il contravventore all’oblazione amministrativa in virtù del meccanismo denominato “ora per allora”;

3) regolarizzazione oggettivamente o soggettivamente non più possibile: è l’ipotesi oggetto di Corte Cass. pen., Sez. III. 18 aprile 2019, n. 36405, che ha ritenuto che la procedura di estinzione delle contravvenzioni si applichi anche alle cd. condotte esaurite dovendosi come tali intendere quelle prive di conseguenze dannose o pericolose per cui risulti inutile o impossibile impartire prescrizioni al contravventore. Anche in questo caso, l’organo di vigilanza si limita ad ammettere il contravventore al pagamento in forma ridotta.

Ne deriva che nelle situazioni sub 2) e 3), la procedura è “contratta” perché vi è l’immediato passaggio alla fase di ammissione del contravventore, anche su richiesta di quest’ultimo, all’oblazione amministrativa con il meccanismo denominato “ora per allora”.

Ciò posto, la questione è se gli organi accertatori abbiano o meno l’obbligo di impartire la prescrizione, allorché vi sia qualcosa da regolarizzare, o, comunque, di ammettere all’oblazione il contravventore, allorché non vi sia nulla da regolarizzare.

Cominciando l’esame dalla situazione schematizzata sub 1), nonostante l’autorevole opinione del Supremo Consesso, riteniamo che non vi sia spazio per sostenere che l’organo di vigilanza non sia “obbligato” ad impartire la prescrizione di regolarizzazione in tutte le situazioni in cui vi sia “qualcosa da regolarizzare” (ovviamente, nei casi in cui non si presenti la condizione ostativa di cui all’art. 318 bis, D.Lgs. n. 152/2006).

Se così non fosse, e quindi se la norma venisse intesa nel senso che l’organo ha la mera “facoltà” di ingiungere la regolarizzazione senza neppure esplicitare le ragioni di tale scelta, è evidente il rischio di un eccesso di soggettività dell’organo di vigilanza che potrebbe dar luogo ad illogiche disparità di trattamento perché, a fronte di identiche contravvenzioni commesse da soggetti diversi, il differenziato comportamento  dell’organo pubblico potrebbe impedire ingiustificatamente al contravventore di utilizzare la causa di non punibilità dal reato, cui ha invece diritto.

Ciò chiarito, riteniamo però che, all’omessa emanazione della prescrizione, non segua automaticamente l’improcedibilità dell’azione penale, anche se non pare dubitabile che l’istituto introdotto nel 1994 e nel 2015 abbia effettivamente introdotto una condizione di procedibilità.

Per giungere a questa conclusione, va sottolineato che la procedura di estinzione delle contravvenzioni assolve a varie finalità:

  1. a) regolarizzare la situazione alterata dalla commissione del reato;
  2. b) offrire al contravventore la possibilità di godere di un rilevante beneficio;
  3. c) operare una consistente deflazione dei processi penali.

Orbene, il contravventore non ha alcun interesse concreto al rispetto delle finalità della legge sub a) e c), essendo interessato soltanto alla definizione del procedimento in sede pre-processuale con il pagamento in forma ridotta della sanzione.

Tenendo conto di questo rilievo, si possono esaminare le ipotesi prima formulate, cominciando dal caso in cui la prescrizione non sia stata impartita dall’organo di vigilanza perché non vi era nulla da regolarizzare.

Abbiamo già detto che il contravventore va immediatamente ammesso all’oblazione, ma, se ciò non avviene, la tutela del soggetto non è garantita dal fatto che la legge abbia predisposto una condizione di procedibilità, bensì dalla previsione del suo diritto di ottenere lo stesso risultato favorevole mediante la richiesta di ammissione al pagamento in forma ridotta tutte le volte in cui abbia eliminato la contravvenzione oppure non sia oggettivamente/soggettivamente provvedere in questo senso.

In proposito, un punto merita di essere evidenziato: spesso la Suprema Corte, affrontando questa problematica, ha sostenuto che il trasgressore potrebbe anche chiedere al giudice di essere ammesso all’oblazione ai sensi dell’art. 162 bis c.p. L’affermazione è corretta, ma il problema è che, mentre nel sistema della sicurezza sul lavoro, il contravventore che abbia adempiuto alla impartita  prescrizione con modalità diverse da quelle prescritte o con tempi superiori, purchè non incongrui, oppure abbia regolarizzato spontaneamente prima dell’intervento dell’organo di vigilanza, è legittimato a versare, anche a titolo di oblazione ex art. 162 bis c.p., il quarto del massimo dell’ammenda, nel settore delle contravvenzioni ambientali questo beneficio non è previsto (ex art. 318 septies, comma 3, T.U.A. la somma è sempre pari alla metà del massimo dell’ammenda).

Nella diversa ipotesi in cui l’organo di vigilanza non abbia impartito la prescrizione, pur essendovi qualcosa da regolarizzare, si aprono due scenari:

  1. a) il contravventore provvede autonomamente alla regolarizzazione, il che fa confluire tale situazione nell’ipotesi in precedenza considerata (ammissione immediata all’oblazione in sede amministrativa);
  2. b) il contravventore è rinviato a giudizio, nonostante l’omessa emanazione della prescrizione e senza che nel frattempo sia stata rimossa la situazione illecita.

In questa seconda evenienza, l’imputato non ha alcun motivo di dolersi della violazione della condizione di procedibilità per assoluta mancanza di interesse. Infatti, non avendo regolarizzato la violazione, il contravventore non potrebbe comunque avvalersi del meccanismo premiale per scadenza dei termini previsti dalla procedura sicché, dall’annullamento della sentenza emessa senza il rispetto della condizione di procedibilità, non potrebbe derivare a suo favore un concreto e rilevante effetto positivo.

  1. Quando non vi é nulla da regolarizzare, la procedura si applica?

La sentenza in epigrafe, en passant, ha affermato che la procedura estintiva poteva essere applicata stante la concreta fattispecie inerente solo il mancato rilascio di una formale autorizzazione poi sopravvenuta. All’uopo, ha menzionato la già citata  sentenza n. 36405/2019, che ha sostenuto che  “Deve ritenersi che la procedura di estinzione prevista dagli artt. 318 bis e ss del d.lgs. n. 152 del 2006 si applichi tanto alle condotte esaurite – come tali dovendosi intendere tutte le condotte prive di conseguenze dannose o pericolose per cui risulti inutile o impossibile impartire prescrizioni al contravventore – quanto alle ipotesi in cui il contravventore abbia spontaneamente e volontariamente regolarizzato l’illecito commesso. L’assunto in questione trova decisivo fondamento nell’art. 15, comma 3, del d.lgs. n. 124 del 2004 che, nell’ambito della normativa in materia di igiene e sicurezza sul lavoro, prevede l’applicazione della procedura di estinzione prevista dagli artt. 20 e ss del d.lgs. n. 756 del 1994 «alle condotte esaurite, ovvero alle ipotesi in cui il trasgressore abbia autonomamente provveduto all’adempimento degli obblighi di legge sanzionati precedentemente alla prescrizione». Ed è chiaro che la disposizione in esame identifica due condotte alternative, alle quali è parimenti possibile applicare la procedura estintiva in esame[2].

Questa tesi non è esente da rilievi critici. Prima di tutto, occorre ricordare che la disciplina concernente le contravvenzioni relative alla sicurezza ed igiene sul lavoro è stata integrata da Corte Cost.  18 febbraio 1998, n. 19 che ha interpretato la norma come se dicesse che possono essere ammessi alla definizione in via amministrativa anche i contravventori che hanno regolarizzato la violazione prima che l’autorità di vigilanza impartisse la prescrizione. La L. n. 68/2015 ha recepito la disciplina del 1994 sicchè, anche se non espressamente previsto, si può estendere ad essa il medesimo meccanismo.

In secondo luogo, dato il richiamo all’art. 15, D.Lgs. n. 124/04, è bene riportarne il testo: “La procedura di cui al presente articolo (e cioè quella prevista dal D.Lgs. n. 758/1994: ndr) si applica anche nelle ipotesi in cui la fattispecie è a condotta esaurita, ovvero nelle ipotesi in cui il trasgressore abbia autonomamente provveduto all’adempimento degli obblighi di legge sanzionati precedentemente all’emanazione della prescrizione”.

Ebbene, la Corte di Cassazione ha affermato che “certamente” il legislatore ha utilizzato la congiunzione “ovvero” come equivalente di “oppure” e non di “cioè”. È vero che il dibattito, dal punto di vista lessicale, sul termine “ovvero” è ancora aperto, però, in presenza di un vocabolo polisenso, il significato più corretto, nell’ambito normativo in cui si colloca, può ben dipendere da criteri diversi da quello strettamente letterale.

Pertanto, nell’interpretare la congiunzione “ovvero”, si poteva ben tener conto che nel 2004 il quadro normativo dell’istituto, come integrato dalla citata sentenza della Corte Cost., era perfettamente definito nella direzione di allargare le maglie della procedura non alle condotte esaurite tout court, ma solo a quelle riferibili all’intervento volontario del contravventore. Perciò è assai poco verosimile che il legislatore abbia introdotto nell’ordinamento una disposizione che, seguendo la tesi radicale propugnata dalla Corte di Cassazione, si discosta del tutto dal contesto presente nel 2004 [3].

Ciò porta a concludere che, nella fattispecie, la congiunzione “ovvero” abbia valore esplicativo e non alternativo con la conseguenza che la locuzione “condotta esaurita” (che peraltro compare soltanto nell’art. 15, comma 3, D.Lgs. n. 124/04) debba essere intesa nel senso di corrispondere soltanto alla fattispecie in cui il trasgressore abbia autonomamente provveduto alla regolarizzazione del reato precedentemente all’emanazione della prescrizione.

D’altra parte, è evidente che la situazione di chi regolarizzi prima di essere destinatario di una prescrizione da parte dell’organo di vigilanza (la sola ipotesi considerata dalla Corte Cost. 18 febbraio 1998, n. 19) non possa essere equiparata alle altre situazioni in cui è inutile o impossibile impartire la prescrizione perché, in tali ipotesi, manca del tutto l’elemento di “meritevolezza” che giustifica l’applicazione del meccanismo estintivo alle fattispecie diverse da quelle in cui la situazione illecita sia venuta meno per scelta virtuosa, indotta o spontanea, del contravventore. Senza trascurare che il prevedere lo stesso “premio” (riduzione della sanzione ed estinzione del reato) a favore sia di coloro che in qualche modo si sono attivati per il ripristino della legalità sia di coloro che nulla hanno fatto in questa direzione, non pare del tutto conforme all’art. 3 Cost. per parità di trattamento a fronte di situazioni soggettive assolutamente non omogenee.

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nota dott. paone (rev.)

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cass. 24677_ 2023 (paone)

NOTE:

[1] V., da ultimo, Corte Cass. pen., Sez. III, 12 ottobre 2022, n. 5576, in questa Rivista, Numero 42 – Maggio 2023, con nota di   Rota, La procedura estintiva delle contravvenzioni ambientali di pericolo presunto che abbiano cagionato un pericolo concreto al bene ambiente. In generale, sull’istituto, v. Poggi D’Angelo, L’offensività/non punibilità nelle contravvenzioni ambientali assoggettabili alla procedura estintiva (artt. 318-bis ss. t.u.a.), in Cass. pen., 2022, 623 ss.

[2] Per approfondire l’argomento, si rinvia a Paone, Dopo tre anni dall’entrata in vigore della l. n. 68/2015, persistono dubbi e criticità in tema di estinzione delle contravvenzioni ambientali, in Rivista trimestrale di diritto penale dell’ambiente, n. 2/2019, par. 4; Id., Applicazione della procedura di estinzione dei reati in materia di lavoro anche in presenza di condotte “esaurite”: qualche dubbio, in lexambiente.it, 27 settembre 2016; Amendola, Contravvenzioni ambientali a condotta esaurita e procedura estintiva della legge 68/2015, in lexambiente.it, 16 febbraio 2018.

[3] Se si abbraccia la tesi della Suprema Corte, la condotta esaurita connoterebbe tutte (indistintamente) le fattispecie  in cui risulti inutile o impossibile impartire una prescrizione al contravventore, come nei seguenti esempi che riguardano tanto l’area della sicurezza sul lavoro che della tutela ambientale:

– casi in cui le conseguenze del reato non sono oggettivamente eliminabili: ad es. sforamento dei limiti quantitativi di rifiuti ammessi; immissione di sostanze liquide in un corso d’acqua; abbandono di rifiuti che un terzo abbia successivamente provveduto a rimuovere; conclusione dei lavori in un cantiere edile; cessazione dell’attività per fallimento dell’azienda; distruzione della macchina irregolare;

– casi in cui le conseguenze non sono soggettivamente eliminabili: ad es.  dismissione volontaria della carica di rappresentante legale dell’azienda; licenziamento del dirigente.