Illegittimo l’ordine di rimozione dei rifiuti abbandonati notificato al proprietario dell’area incolpevole

16 Set 2019 | giurisprudenza, amministrativo

di Carlo Luca Coppini

CONSIGLIO DI STATO, Sez. V – 8 luglio 2019, n. 4781 – Pres. Franconiero, Est. Di Matteo – P.F.G. (avv.ti Lillo, Colavito e Placidi) c. Ediltecna S.p.a.  (Avv.ti Guidugli e Giallongo).

Il Sindaco può ordinare la rimozione dei rifiuti (il loro recupero o smaltimento) e il ripristino dello stato dei luoghi anche al proprietario del fondo, sempre che, tuttavia, la violazione del divieto dell’abbandono e del deposito incontrollato di rifiuti gli sia imputabile a titolo di dolo o di colpa, adeguatamente accertata in contraddittorio dagli organi di controllo.  

In questa sentenza, Il Consiglio di Stato si è occupato di un episodio di abbandono dei rifiuti presso un’area privata e dell’ordine di rimozione che l’amministrazione comunale interessata notificava al proprietario senza aver previamente accertato la sussistenza dei presupposti e degli elementi cui gli articoli 192 e 255 del D. Lgs 152/2006 subordinano la legittima contestazione del relativo illecito amministrativo.

In particolare, la vicenda traeva spunto dall’accertamento svolto da alcuni agenti dell’Associazione Rangers d’Italia presso un’area di proprietà privata ove, in concreto, risultavano essere stati abbandonati rifiuti di varia tipologia, tanto pericolosi quanto non pericolosi, con la conseguente contestazione del relativo illecito al proprietario del terreno. Lo stesso proprietario, inoltre, si vedeva notificare la conseguente ordinanza di rimozione dei rifiuti che, dovendosi ritenere illegittima sotto diversi profili, veniva tempestivamente impugnata avanti il competente Tribunale Amministrativo Regionale. Al termine del giudizio di primo grado, il ricorso veniva respinto in quanto i primi giudici ritenevano che l’ordine di rimozione impartito dall’amministrazione comunale dovesse ritenersi immune dai vizi eccepiti dal proprietario ricorrente con la conseguente reiezione del ricorso.

Gli argomenti affrontati dai giudici del Consiglio di Stato per giustificare l’accoglimento dell’appello interposto dalla proprietà si soffermano principalmente sul confine applicativo del potere che veniva esercitato dall’Amministrazione comunale ai sensi dell’art. 192, terzo comma del D. Lgs 152/2006[1]

Il ragionamento svolto dal Consiglio di Stato per criticare e riformare la decisione impugnata trae spunto dalla corretta interpretazione della suddetta disposizione sul presupposto che, alla luce della documentazione prodotta in giudizio dall’amministrazione resistente, dei  fatti così come accertati e delle eccezioni del ricorrente, l’ordinanza impugnata non conteneva alcuna motivazione – neppure  per relationem – né all’attività istruttoria né al contraddittorio con il proprietario dell’area[2].

Nel sintetizzare in maniera esauriente il significato della disposizione contenuta nel suddetto art. 192, 3 comma del D. Lgs 192/2006 e nel fornire una corretta interpretazione al limite che tale norma pone all’esercizio del potere ordinatorio del Sindaco, quindi, il Consiglio di Stato ha chiaramente evidenziato che il corretto esercizio del suddetto potere deve ispirarsi alla tipologia dell’illecito amministrativo. In tale contesto, quindi,  la sentenza in commento spiega correttamente la necessità di garantire: a)  il rispetto delle regole che distinguono il procedimento amministrativo, segnatamente nella parte che impone l’obbligo di motivare il provvedimento contestualmente alla sua adozione e non già con un separato atto tanto più se giudiziale, da un lato nonché, dall’altro: b) il rispetto del principio di legalità cui devono ricondursi i procedimenti per l’accertamento delle responsabilità colpose che distinguono la condotta sanzionata in via amministrativa[3]

Per il testo della sentenza (estratto dal sito istituzionale della Giustizia Amministrativa) cliccare sul pdf allegato.

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[1] “Fatta salva l’applicazione della sanzione di cui agli articoli  l’art. 255 e 256, chiunque viola i divieti di cui ai commi 1 e 2 è tenuto a procedere alla rimozione, all’avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti e al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari dei diritti reali o personali di godimento sull’area ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o di colpa, in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo. Il Sindaco dispone con ordinanza le operazioni al fine necessarie e il termine entro cui provvedere, decorso il quale procede all’esecuzione in danno dei soggetti obbligati e al recupero delle somme anticipate” ) In una  sentenza resa dalla Corte di Cassazione Penale, viene affrontato e risolto il problema applicativo delle norme contenute nell’art. 192, 3^ comma del d.Lgs. 152/2006 affermando un rilevante principio di diritto secondo cui: “Il soggetto privato, non titolare di un’impresa e non titolare di un ente, che abbandoni in modo incontrollato un proprio rifiuto e che a tale fine lo trasporti occasionalmente nel luogo ove lo stesso è abbandonato, risponderà solo dell’illecito amministrativo di cui all’art. 255 per l’abbandono e non anche del reato di trasporto abusivo di cui all’art. 256 in quanto la condotta di trasporto si esaurisce nella fase meramente preparatoria e preliminare rispetto alla condotta finale e principale di abbandono, e non assume autonoma rilevanza ai fini penali” (Corte Cass. Pen, sez. III, 6 ottobre 2014, n° 41352)

2 Cfr. per esempio, sull’applicabilità della responsabilità oggettiva del proprietario dell’area inquinata a titolo di culpa in vigilando sul proprio bene: E. Maschietto, La posizione del proprietario incolpevole nei procedimenti di bonifica e risanamento ambientale, in questa Rivista, 2013, pp. 252 e ss

3 Quanto al punto sub a), è noto che l’art. 3 della legge 241/1990 nel prevedere che “ogni provvedimento amministrativo deve essere motivato” ed è principio pacifico che il difetto di motivazione circa le cause di imputabilità della responsabilità colposa costituisce un vero e proprio vizio sostanziale che impedisce l’integrazione del provvedimento con atti successivi alla sua adozione. Quanto al punto sub b) deve essere richiamato l’unanime orientamento secondo cui, nell’illecito amministrativo, la possibilità di attribuire la responsabilità al soggetto agente presuppone l’accertamento della colpevolezza caratterizzata dall’elemento soggettivo della colpa. Questa materia è stata resa più intellegibile da un intervento della Corte Costituzionale che, con la sentenza del 4 marzo 1999, n° 49 in tema di sanzioni amministrative in materia creditizia, ha espressamente chiarito il principio secondo cui: “l’elemento fondamentale dell’accertamento dell’illecito amministrativo è costituito dalla colpa, anche quando non sia specificatamente previsto dalla norma”

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