Il Consiglio di Stato torna sul trilemma energia – ambiente – beni paesaggistico-culturali

01 Dic 2022 | giurisprudenza, amministrativo

di Fabio Cusano

Consiglio di Stato, Sez. Sesta, n. 8167 del 23 settembre 2022 – Pres. Carmine Volpe, Est. Dario Simeoli, Cons. Francesco De Luca, Cons. Thomas Mathà, Cons. Giovanni Pascuzzi – per la riforma quanto al ricorso n. 9196 del 2021 per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise (Sezione Prima) n. 300 del 2021

La primarietà di valori come la tutela del patrimonio culturale o dell’ambiente implica che gli stessi non possono essere interamente sacrificati al cospetto di altri interessi (ancorché costituzionalmente tutelati) e che di essi si tenga necessariamente conto nei complessi processi decisionali pubblici, ma non ne legittima una concezione totalizzante come fossero posti alla sommità di un ordine gerarchico assoluto. Il punto di equilibrio, necessariamente mobile e dinamico, deve essere ricercato – dal legislatore nella statuizione delle norme, dall’Amministrazione in sede procedimentale, e dal giudice in sede di controllo – secondo principi di proporzionalità e di ragionevolezza.

Con la sentenza in commento, il Consiglio di Stato è tornato sul c.d. trilemma energia – ambiente – beni paesaggistico-culturali, sancendo la preminenza della tutela ambientale e del necessario contemperamento tra interessi costituzionalmente tutelati (anche alla luce della riforma costituzionale in senso ambientalista).

In particolare, una società presentava all’autorità regionale due separate istanze di autorizzazione unica ex art. 12 del D.Lgs. 387/2003, aventi ad oggetto la realizzazione di due distinte pale eoliche site in due località appartenenti al medesimo Comune.

La Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici della Regione esprimeva, in sede di conferenza di servizi, parere negativo alla relativa realizzazione a causa di interferenze visive della stessa con la presenza di beni culturali (in particolar modo, un sistema di croci votive posto in area limitrofa), asserendo che l’interferenza visiva avrebbe potuto essere superata solo riducendo l’altezza della pala a 25 metri. La Regione, avendo rilevato che le prescrizioni impartite dalla Soprintendenza avrebbero compromesso la fattibilità tecnica ed economica dell’opera (in quanto la pala, se ridotta di altezza come richiesto dalla Soprintendenza, sarebbe risultata improduttiva per assenza di vento), rilasciava alla società l’autorizzazione richiesta. Tuttavia, dopo il rilascio dell’autorizzazione unica, la Soprintendenza comunicava l’avvio del procedimento di dichiarazione di interesse culturale particolarmente importante ex art. 13 del D.Lgs. 42/2004 di un sistema di croci votive e viarie site lungo il crinale di confine fra le due località in cui sarebbero sorte le pale eoliche; l’interesse culturale veniva successivamente dichiarato dalla Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici ex artt. 10, commi 1 e 3, lettera a), e 13.

Il Comune e la società impugnavano i decreti della Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici con i quali era stato dichiarato di interesse culturale il sistema delle croci votive.

In primo grado, il TAR accoglieva il ricorso, sostenendo che il giudizio emesso dall’Amministrazione per la dichiarazione di particolare interesse culturale dei due complessi di croci viarie si presenta lacunoso sia sotto il profilo del difetto di istruttoria, sia sotto quello della carenza di motivazione.

Avverso la predetta sentenza, ha proposto appello dinanzi al Consiglio di Stato il Ministero della Cultura e, in via incidentale, la società per i motivi di ricorso non accolti in primo grado.

Preliminarmente, con riferimento all’appello formulato dal Ministero della Cultura, in tema di discrezionalità riservata all’Amministrazione per la conduzione della valutazione tecnica propedeutica all’apposizione del vincolo paesaggistico, il Consiglio ha sostenuto che “a differenza delle scelte politico-amministrative (cd. «discrezionalità amministrativa») – dove il sindacato giurisdizionale è incentrato sulla ragionevole ponderazione degli interessi, pubblici e privati, non previamente selezionati e graduati dalle norme – le valutazioni dei fatti complessi richiedenti particolari competenze (cd. «discrezionalità tecnica») vanno vagliate al lume del diverso e più severo parametro di attendibilità tecnico-scientifica”. Di talché, in difetto di parametri normativi che possano fungere aprioristicamente da premessa del ragionamento sillogistico, “il giudice non “deduce” ma “valuta” se la decisione pubblica rientri o meno nella (ristretta) gamma delle risposte maggiormente plausibili e convincenti alla luce delle scienze rilevanti e di tutti gli altri elementi del caso concreto”.

Dunque, se da una parte è data la possibilità all’interessato di contestare il nucleo dell’apprezzamento complesso, dall’altro egli ha l’onere di metterne in discussione l’attendibilità tecnico-scientifica, adducendo i relativi elementi di convincimento a sostegno di tale tesi. Pertanto, se tale onere non viene assolto e si fronteggiano soltanto opinioni divergenti, tutte parimenti plausibili, “il giudice deve dare prevalenza alla posizione espressa dall’organo istituzionalmente investito (dalle fonti del diritto e, quindi, nelle forme democratiche) della competenza ad adottare decisioni collettive, rispetto alla prospettazione individuale dell’interessato”.

In virtù di tale ragionamento, l’appello principale formulato dal Ministero è stato ritenuto fondato, in quanto: (i) “la dichiarazione dell’interesse culturale accerta la sussistenza, nella cosa che ne forma oggetto, dell’interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico particolarmente importante”; (ii) “la nozione di bene culturale è un concetto giuridico indeterminato”; (iii) infine, “il potere ministeriale di vincolo richiede, quale presupposto, una valutazione basata non sulle acquisizioni delle scienze esatte, bensì su riflessioni di natura storica e filosofica, spesso strettamente legate al contesto territoriale di riferimento, per loro stessa natura in continua evoluzione”.

Altresì, con specifico riferimento all’appello incidentale formulato dalla società, il Consiglio ha accolto le doglianze da essa dedotte in giudizio.

Invero, i decreti impugnati dalla società menzionavano le seguenti prescrizioni: (i) divieto di trasformare l’aspetto esteriore dei luoghi ricompresi nell’ambito del vincolo indiretto; (ii) mantenimento dell’uso agricolo attuale del suolo per i medesimi luoghi oggetto di vincolo indiretto; (iii) divieto, nei medesimi luoghi, di apertura di cave, posa in opera di condotte per impianti industriali e civili, realizzazione di palificazioni.

Tali vincoli sono stati motivati dall’Amministrazione “in funzione dell’esigenza di evitare che siano alterate le condizioni di contesto ambientale e di decoro, nonché di prospettiva e visuale, delle croci votive e viarie sottoposte a tutela, oltre che di scongiurare rischi all’integrità di ciascuno dei manufatti”.

Tali motivazioni sono state ritenute inadeguate dal Consiglio, a mente del quale le prescrizioni di tutela indiretta previste dall’art. 45 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio “hanno la funzione di completamento pertinenziale della visione della fruizione dell’immobile principale gravato dal vincolo “diretto””, al fine di scongiurare che “sia messa in pericolo l’integrità dei beni culturali immobili, che ne sia danneggiata la prospettiva o la luce o che ne siano alterate le condizioni di ambiente e di decoro”.

Il Consiglio ha altresì rilevato che “Negli ordinamenti democratici e pluralisti si richiede un continuo e vicendevole bilanciamento tra princìpi e diritti fondamentali, senza pretese di assolutezza per nessuno di essi. Così come per i “diritti” (sentenza della Corte costituzionale n. 85 del 2013), anche per gli “interessi” di rango costituzionale va ribadito che a nessuno di essi la Carta garantisce una prevalenza assoluta sugli altri. La loro tutela deve essere “sistemica” e perseguita in un rapporto di integrazione reciproca”.

Conseguentemente, “la primarietà di valori come la tutela del patrimonio culturale o dell’ambiente implica che gli stessi non possono essere interamente sacrificati al cospetto di altri interessi (ancorché costituzionalmente tutelati) e che di essi si tenga necessariamente conto nei complessi processi decisionali pubblici, ma non ne legittima una concezione totalizzante come fossero posti alla sommità di un ordine gerarchico assoluto. Il punto di equilibrio, necessariamente mobile e dinamico, deve essere ricercato – dal legislatore nella statuizione delle norme, dall’Amministrazione in sede procedimentale, e dal giudice in sede di controllo – secondo principi di proporzionalità e di ragionevolezza”.

Secondo il Consiglio, “nel caso di specie, il principio di proporzionalità appare violato, non nella componente della idoneità (al raggiungimento dell’obiettivo prefissato) o della necessarietà (ravvisabile quando non sia disponibile nessun altro mezzo egualmente efficace, ma meno incidente nella sfera giuridica del destinatario), bensì della proporzionalità in senso stretto. L’ultimo gradino del test di proporzionalità implica che una misura adottata dai pubblici poteri non debba mai essere tale da gravare in maniera eccessiva sul titolare dell’interesse contrapposto, così da risultargli un peso intollerabile”.

Dunque, paragonando l’obiettivo perseguito dalla Soprintendenza (la tutela delle croci votive) ed il mezzo utilizzato (lo svuotamento delle possibilità d’uso alternativo del territorio, specialmente ai fini della produzione di energia eolica) “appare evidente quanto sia sbilanciata la ponderazione effettuata”. Infatti, “l’interesse pubblico alla tutela del patrimonio culturale non ha, nel caso concreto, il peso e l’urgenza per sacrificare interamente l’interesse ambientale indifferibile della transizione ecologica, la quale comporta la trasformazione del sistema produttivo in un modello più sostenibile che renda meno dannosi per l’ambiente la produzione di energia, la produzione industriale e, in generale, lo stile di vita delle persone”.

Inoltre, “gli atti impugnati risultano violativi del principio di integrazione delle tutele – riconosciuto sia a livello europeo (art. 11 del TFUE), sia nazionale (art. 3-quater del D.Lgs. 152 del 2006) – in virtù del quale le esigenze di tutela dell’ambiente devono essere integrate nella definizione e nell’attuazione delle altre pertinenti politiche pubbliche, in particolare al fine di promuovere lo sviluppo sostenibile”.

D’altronde, “se il principio di proporzionalità rappresenta il criterio alla stregua del quale mediare e comporre il potenziale conflitto tra i due valori costituzionali all’interno di un quadro argomentativo razionale, il principio di integrazione costituisce la direttiva di metodo. La piena integrazione tra le varie discipline incidenti sull’uso del territorio, richiede di abbandonare il modello delle “tutele parallele” degli interessi differenziati, che radicalizzano il conflitto tra i diversi soggetti chiamati ad intervenire nei processi decisionali”. La valenza procedimentale del principio di integrazione implica che il procedimento sia la sedes materiae in cui devono contestualmente e dialetticamente avvenire le operazioni di comparazione, bilanciamento e gestione dei diversi interessi configgenti.

Invero, “le prescrizioni di tutela indiretta apposte dall’Amministrazione dei beni culturali costituiscono un metodo, non solo incongruo (in quanto operata al di fuori della delicata operazione di valutazione e comparazione degli interessi), ma anche surrettizio – in tal senso è ravvisabile lo sviamento della funzione – per “disapplicare” gli esiti della conferenza di servizi cui aveva preso parte la stessa Soprintendenza a danno dei soggetti che avevano già conseguito le autorizzazioni uniche da parte della Regione per la realizzazione degli impianti eolici”.

Dunque, il Consiglio, in accoglimento dell’appello incidentale, ha accolto i ricorsi di primo grado, sia pure con differente motivazione, con conseguente annullamento dei decreti impugnati nella parte relativa alle prescrizioni di tutela indiretta, sancendo che l’Amministrazione, in sede di riedizione del potere, debba ricercare non già il totale sacrificio dell’uso produttivo di energia pulita delle aree contigue alle croci votive, secondo una logica meramente inibitoria, bensì una soluzione comparativa e dialettica fra le esigenze dello sviluppo sostenibile e quelle afferenti al paesaggio culturale.

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Il Consiglio di Stato torna sul trilemma energia, ambiente e beni paesaggistico-culturali

Per il testo della sentenza (estratto dal sito istituzionale della Giustizia Amministrativa) cliccare sul pdf allegato.

www.giustizia-amministrativa.it

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