I requisiti per il recupero del residuo secco

16 Mar 2020 | giurisprudenza, amministrativo

di Ada Lucia De Cesaris  

T.A.R. LIGURIA, Genova, Sez. II – 20 dicembre 2019, n.  970 – Pres. Pupilella, Est. Morbelli – Comune di Santa Margherita Ligure (Avv. Mauceri) c. Città Metropolitana di Genova (avv.ti Manzone, Scaglia, Olmi).

Al fine di attribuire un codice CER nuovo ad un determinato rifiuto occorre verificare che il trattamento al quale lo stesso sia stato sottoposto sia “esitato” nella creazione di un elemento nuovo e omogeneo per caratteristiche bio-chimiche. Nel caso del residuo secco derivante da un sistema di raccolta differenziata c.d. “porta a porta spinto”, caratterizzato da una marcata differenziazione, è sufficiente un “trattamento meccanico” di cernita e compattazione per trasformare il rifiuto in un materiale nuovo e depurato da componenti incompatibili con la destinazione a recupero, senza che siano necessari specifici processi di stabilizzazione o trito-vagliatura. 

Con la pronuncia in commento il TAR Liguria ha accolto il ricorso proposto dal Comune di Santa Margherita Ligure – proprietario di un centro per il trattamento e la gestione dei rifiuti raccolti in modo differenziato – avverso il provvedimento della Città Metropolitana di Genova, avente ad oggetto il rinnovo dell’autorizzazione dell’impianto, rilasciata ai sensi dell’art. 208 D.lgs. 152/2006 (in seguito anche “Codice dell’Ambiente” o “Codice”). Il provvedimento in particolare aveva espunto il codice CER 19.12.12 (altri rifiuti, compresi materiali misti, prodotti dal trattamento meccanico di rifiuti, non contenenti sostanze pericolose) dalla tabella di rifiuti per i quali il centro risultava autorizzato allo stoccaggio e al trattamento, precludendo in tal modo il recupero energetico del residuo secco (CER 20.03.01).

L’oggetto del contendere ha riguardato l’idoneità del trattamento operato nel centro di raccolta di Santa Margherita volto a trasformare il residuo secco in rifiuto speciale identificato dal codice CER 19.12.12, al fine di renderlo idoneo ad essere inviato in impianti di recupero per la produzione del combustibile solido secondario.

Occorre premettere che la nozione di “trattamento di rifiuti”, definita in termini molto generali dall’art. 183, comma 1, lett. s) del Codice dell’Ambiente, è stata integrata dalla giurisprudenza mediante il richiamo alla nozione di produttore di rifiuto, di cui all’art. 183 sopra richiamato, lettera f), e all’ulteriore definizione di trattamento, contenuta nella disciplina in materia di discariche di cui al D.lgs. 36/2003.  Si è quindi consolidato il principio in base al quale vi è trattamento di rifiuti ogni qual volta si sia in presenza di operazioni idonee a produrre un rifiuto diverso per natura e composizione rispetto a quello originale (cfr. Cons. Stato, sez. V, 23 ottobre 2014, n. 5242).

Nel caso in esame, quindi, il TAR Liguria, applicando il suddetto principio, ha riconosciuto che le operazioni di cernita e compattazione fossero da ritersi adeguate a rappresentare un “trattamento meccanico” idoneo a riqualificare il rifiuto urbano come rifiuto speciale non pericoloso.

Il Collegio non ha quindi condiviso i rilievi dell’Amministrazione resistente che aveva sottolineato la necessità di eseguire anche operazioni di stabilizzazione e trito-vagliatura, precisando che queste attività sono necessarie solo per i residui della lavorazione del rifiuto indifferenziato destinati alla discarica e, dunque, allo smaltimento, ma non per quelli destinati al recupero.  Con la conseguenza che occorre distinguere il residuo secco destinato al recupero da quello destinato allo smaltimento, poiché il recupero presuppone una differenziazione “a monte” del materiale raccolto che ne omogeneizza la componente biologica, fisica o chimica ai fini del riutilizzo.

Per il testo della sentenza (estratto dal sito istituzionale della Giustizia Amministrativa) cliccare sul pdf allegato

De Cesaris_TAR Liguria 970-2019

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