Deposito incontrollato di rifiuti: la Cassazione torna a pronunciarsi sulla natura del reato

03 Gen 2023 | giurisprudenza, penale

Di Andrea Puccio e Francesca Tomasello

CASSAZIONE PENALE, Sez. III – 24 maggio 2022 (dep. 2 settembre 2022), n. 32305 – Pres. Ramacci, Est. Corbo – ric. Imputato V.G.

Il reato di deposito incontrollato di rifiuti di cui al D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 256, comma 2, può avere natura permanente, nel caso in cui l’attività illecita sia prodromica al successivo recupero o smaltimento dei rifiuti, e si configura invece come reato di natura istantanea con effetti eventualmente permanenti, nel caso in cui l’anzidetta attività si connoti per una volontà esclusivamente dismissiva del rifiuto, che esaurisce l’intero disvalore della condotta

  1. La vicenda oggetto di scrutinio da parte della Suprema Corte

Con la pronuncia in esame, la Suprema Corte torna a confrontarsi con il tema, ampiamente dibattuto in giurisprudenza e dottrina[i], relativo alla qualificazione giuridica del deposito incontrollato di rifiuti, quale reato permanente o istantaneo (con effetti eventualmente permanenti), e alla conseguente identificazione del tempus commissi delicti, funzionale a individuare il dies a quo di decorrenza del termine prescrizionale.

Nell’ambito della vicenda oggetto di scrutinio da parte della Suprema Corte, al legale rappresentante di una società veniva contestata la contravvenzione ambientale di cui all’art. 256 comma 2, in relazione all’art. 256 comma 1, lettere a) e b), D.Lgs. 152/2006[ii], per avere, in ipotesi d’accusa, effettuato un’attività di deposito incontrollato di rifiuti pericolosi e non pericolosi in area di pertinenza dell’azienda, derivanti, in particolare, da attività di ristrutturazione del sito sul quale sorgeva il relativo impianto.

La sentenza di non doversi procedere per particolare tenuità del fatto, emessa in primo grado e confermata in appello, veniva impugnata dall’imputato avanti alla Cassazione, con ricorso che denunciava, tra l’altro, con un primo motivo, violazione di legge e vizio di motivazione per non avere i giudici di merito illustrato le ragioni che imponevano di qualificare il deposito incontrollato di rifiuti alla stregua di reato permanente e, con un secondo motivo, i medesimi vizi, per avere la Corte d’appello ritenuto integrata un’ipotesi di deposito incontrollato di rifiuti e non di abbandono, mancando, in conseguenza, di riconoscere l’intervenuta prescrizione del reato, nonostante gli elementi addotti dalla difesa a sostegno della volontà meramente dismissiva correlata alla collocazione degli stessi nell’area in cui erano stati rinvenuti.

Il ricorrente osservava, in particolare, a sostegno della assoluta episodicità del fatto e della necessità di considerarlo quale condotta di “abbandono” e non di “deposito incontrollato”, che tali rifiuti i) non costituivano il prodotto dell’attività tipica dell’impresa, ma residui di una ristrutturazione edilizia risalente nel tempo; ii) erano di modestissima entità; iii) rappresentavano una percentuale minima dei residui da ristrutturazione edilizia; iv) si trovavano in una zona diversa da quella adibita dall’azienda a deposito temporaneo dei rifiuti dell’attività produttiva; v) erano stati lasciati abbandonati per oltre tre anni e mezzo.

  1. Il percorso motivazionale dei giudici di legittimità

La Corte, nel rigettare le censure del ricorrente, ripropone, in via preliminare, una panoramica degli orientamenti giurisprudenziali di legittimità sviluppatisi in punto di qualificazione giuridica del reato di deposito incontrollato di rifiuti.

Secondo un primo indirizzo[iii], il deposito incontrollato di rifiuti costituirebbe reato a consumazione istantanea, in ragione della natura – appunto, istantanea – della specifica condotta descritta dalla norma incriminatrice, “sanzionata indipendentemente dalla rimozione degli effetti pregiudizievoli arrecati”.

In forza di un secondo orientamento[iv], invece, la contravvenzione in parola andrebbe qualificata quale reato permanente. A riguardo, la Suprema Corte richiama, in particolare, i precedenti di legittimità che, nel ricondurre nel concetto di deposito “incontrollato” di cui all’art. 256 comma 2, D.Lgs. 152/2006 i casi di deposito “temporaneo”, effettuato in carenza delle condizioni previste ex lege, hanno rilevato che la condotta sanzionata si atteggia quale “forma di gestione del rifiuto preventiva rispetto al recupero o allo smaltimento”, alla quale va riconosciuta natura permanente, perché riguardante “un’ipotesi di deposito “controllabile” cui segue l’omessa rimozione nei tempi e nei modi previsti dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 183, comma 1, lett. bb), la cui antigiuridicità cessa con lo smaltimento, il recupero o l’eventuale sequestro[v].

Secondo un ultimo indirizzo, “intermedio” [vi], il reato di deposito incontrollato di rifiuti sarebbe suscettibile di assumere, alternativamente, natura permanente o istantanea, con effetti eventualmente permanenti, a seconda che “l’attività illecita sia prodromica al successivo recupero o smaltimento dei rifiuti”, o si connoti, al contrario, “per una volontà esclusivamente dismissiva del rifiuto, che esaurisce l’intero disvalore della condotta”.

Con peculiare riferimento ai rapporti intercorrenti tra la fattispecie di deposito incontrollato di rifiuti e quella di abbandono, tale indirizzo, pur ammettendo l’esistenza di possibili aree “grigie”, nelle quali una condotta (il deposito incontrollato) degrada nell’altra (l’abbandono), si sforza, al contempo, di tracciare una linea di demarcazione tra le due, fondata, in ultima analisi, sulla valorizzazione di un criterio finalistico. Ciò che rileva è, in particolare, la volontà che sostiene la condotta del soggetto agente: liberarsi definitivamente del rifiuto o, al contrario, collocarlo temporaneamente, in vista di una successiva attività di recupero o smaltimento[vii].

In adesione al suddetto indirizzo giurisprudenziale – osserva, ancora, la Suprema Corte – la dottrina ha ulteriormente precisato, da un lato, che la condotta di deposito incontrollato di rifiuti andrebbe qualificata alla stregua di “abbandono”, non soltanto ove assuma “fin dall’inizio la conformazione di un rilascio definitivo del rifiuto nell’ambiente”, ma anche nel caso in cui “i rifiuti in deposito incontrollato non siano stati rimossi ‘dopo un tempo di attesa ragionevole’”[viii]; dall’altro lato, che la condotta di deposito incontrollato di rifiuti, prodromica a successive attività di smaltimento o recupero, si protrae sino al compimento di queste ultime, soltanto laddove tali attività siano svolte da soggetto autorizzato; quando, invece, le medesime sono affidate a soggetto non autorizzato, la condotta darà luogo a un “unitario reato permanente di gestione abusiva dei rifiuti”.

Proprio a quest’ultimo indirizzo “intermedio” dichiara di aderire la Corte di Cassazione nella pronuncia in esame[ix], osservando come lo stesso esprima “una spiccata capacità di cogliere il concreto atteggiarsi della condotta, che può essere di volta in volta diverso, pervenendo a conclusioni ragionevoli, perché congruenti con il dato empirico”.

Tanto premesso, la Suprema Corte avalla le motivazioni della Corte d’Appello in punto di ritenuta sussistenza, nella specie, di una condotta di deposito incontrollato di rifiuti, e non di mero “abbandono”, come invece sostenuto dal ricorrente, ritenendole fondate su “una analitica valutazione degli elementi fattuali”.

Più precisamente, a detta della Corte, correttamente i giudici di merito avrebbero ritenuto dirimente, al fine di affermare la sussistenza di una condotta di deposito incontrollato di rifiuti, la circostanza che gli stessi (tubi fluorescenti al neon, materiale isolante contenente lana di roccia), a differenza di altro materiale che era stato collocato in area esterna alla proprietà dell’azienda, incolta e coperta da vegetazione spontanea, si trovassero “in bella mostra sulla superficie asfaltata” dello stabilimento, ossia “su un’area suscettibile di essere controllata”, e che – seppur a distanza di anni dalla relativa derelizione – fosse stato conferito incarico, a un dipendente della Società, di rimuoverli e bonificare la zona.

In applicazione dei suddetti principi, la Corte identifica, dunque, quale tempus commissi delicti del reato in contestazione, il momento coincidente con l’asportazione dei rifiuti dal sito, e non quello della relativa derelizione, riconoscendo comunque, per l’effetto, l’intervenuta prescrizione del reato, ma soltanto nelle more del giudizio di Cassazione.

  1. Osservazioni conclusive

L’indirizzo giurisprudenziale sposato dalla Suprema Corte nella sentenza in commento esclude la possibilità di stabilire a priori e in maniera astratta la natura giuridica del reato di deposito incontrollato di rifiuti, attribuendo alla contravvenzione in parola natura proteiforme, il cui concreto atteggiarsi va accertato nel merito, avendo riguardo – in ultima analisi – a un dato schiettamente soggettivo.

La valutazione sul punto è, infatti, rimessa al giudice, chiamato a verificare, in buona sostanza, l’animus che accompagna la condotta di deposito del rifiuto nell’ambiente: la volontà dell’agente di disfarsi definitivamente dello stesso, che fa perdere alla condotta il suo intrinseco connotato di “temporaneità” e la equipara all’abbandono, che si perfeziona, in tutte le sue componenti oggettive e soggettive, al momento della derelizione, cristallizzando ed esaurendo in tale specifico frangente l’intera illiceità dell’agire; oppure, quella di collocare solo temporaneamente il rifiuto, in vista della successiva relativa gestione (tramite attività di smaltimento o recupero), che presuppone il mantenimento di una signoria “controllata” sulla res e, dunque, un potere di intervento sulla stessa, e che imprime, al contempo, alla condotta illecita natura permanente.

Fondamentale è, allora, come sostenuto dalla dottrina, identificare criteri univoci, in grado di guidare il giudice nello svolgimento di tale valutazione, ossia individuare quegli “indici probatori significativi che dimostrino, obiettivamente, la condizione di effettiva temporaneità dell’accumulo dei rifiuti” e “l’esistenza di un iniziale ‘progetto’ di allontanamento del rifiuto[x].

In una pronuncia sostanzialmente coeva a quella in esame[xi], la Suprema Corte, a partire dai precedenti giurisprudenziali sul punto, ha fatto lo sforzo di identificare – senza pretese di esaustività –, alcuni indici differenziali idonei ad assumere rilevanza a riguardo.

Anzitutto, l’occasionalità o meno della condotta di derelizione: se la sistematica pluralità di azioni, di identico o analogo contenuto, consente di propendere per una forma di organizzazione della condotta “sintomo attendibile di una volontà gestoria e non esclusivamente dismissiva del rifiuto”, l’episodicità delle medesime (che – si badi – non implica, necessariamente, la relativa unicità) imporrebbe di riconoscere, al contrario, l’istantaneità della natura del reato.

In secondo luogo, indizio della sussistenza di una volontà gestoria del rifiuto sarebbe costituito dalla pertinenza del materiale oggetto di rilascio all’eventuale circuito produttivo riferibile all’agente, ove questi svolga attività imprenditoriale.

In ultimo, anche “la reiterata adibizione di un unico sito, eventualmente anche promiscuamente utilizzato al medesimo fine pure da altri soggetti, quale punto di rilascio dei rifiuti” consentirebbe di escludere, in capo all’agente, una volontà meramente dismissiva del materiale oggetto di deposito.

Novero di criteri che, senz’altro, è passibile di essere ulteriormente ampliato e modificato, a opera di giurisprudenza e dottrina, come del resto avvenuto nel caso in esame, ove la Corte di merito, con giudizio avallato dalla Cassazione, ha attribuito rilevanza, al fine di affermare la sussistenza di una volontà gestoria del materiale oggetto di deposito e, dunque, la natura permanente della condotta illecita in contestazione, alla circostanza che i rifiuti, seppur di modeste quantità, non provenienti dalle attività produttive dell’azienda e rimasti stoccati per oltre tre anni e mezzo, semplicemente si trovassero su di un’area di pertinenza dell’azienda, non camuffati, ma in bella vista, e che, in ultimo, e pur a una considerevole distanza di tempo dalla relativa derelizione, effettivamente fosse stato dato incarico di rimuoverli a un dipendente della società.

L’auspicio è, dunque, soprattutto considerata la tendenziale adesione, da parte della giurisprudenza più recente, all’indirizzo in commento, che si pervenga all’identificazione di canoni univoci di valutazione, per evitare il rischio che uno spazio eccessivo concesso alla libera “creazione” del singolo giudicante si traduca, di fatto, nell’impossibilità di individuare compiutamente, a priori, l’effettivo spazio di applicazione della contravvenzione in esame, rispetto alla contigua fattispecie di abbandono di rifiuti.

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CONTRIBUTO RGA_ CASS 32305_2022 (PUCCIO-TOMASELLO) rev

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Cass. III, 32305_2022

NOTE:

[i] Cfr., sul punto, V. PAONE, Il reato di deposito incontrollato di rifiuti (Art. 256, 2° comma, D.Lgs. n. 152/06) è un reato permanente?, in Diritto Penale Contemporaneo, 16 luglio 2015; C. BRAY, Sulla configurabilità dell’abbandono di rifiuti: soggetto attivo e momento consumativo del reato (istantaneo o permanente?), in Diritto Penale Contemporaneo, 10 aprile 2015; L. REGARD, Il deposito incontrollato di rifiuti: la annosa questione della natura (istantanea o permanente) ed il soggetto attivo del reato, in Diritto e giurisprudenza agraria alimentare e dell’ambiente, V. PAONE, Il reato di deposito incontrollato di rifiuti e l’individuazione del suo momento consumativo, in Lexambiente n. 1/2020; R. MANTEGAZZA Abbandono e deposito incontrollato di rifiuti: (ancora) una pronuncia in tema di tempus commissi delicti, in questa Rivista, 2021, 20; G. Amendola, Abbandono – deposito incontrollato di rifiuti e Cassazione. Tutto chiaro?, in Rivistadga.it, n. 2/2022

[ii] Ai sensi dell’art. 256 comma 1, D.Lgs. 152/2006 “Chiunque effettua una attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione di cui agli articoli 208, 209, 210, 211, 212, 214, 215 e 216 è punito:

  1. a) con la pena dell’arresto da tre mesi a un anno o con l’ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro se si tratta di rifiuti non pericolosi;
  2. b) con la pena dell’arresto da sei mesi a due anni e con l’ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro se si tratta di rifiuti pericolosi”.

In forza del comma 2 della medesima disposizione “le pene di cui al comma 1 si applicano ai titolari di imprese ed ai responsabili di enti che abbandonano o depositano in modo incontrollato i rifiuti ovvero li immettono nelle acque superficiali o sotterranee in violazione del divieto di cui all’articolo 192, commi 1 e 2”.

La disposizione di cui all’art. 192, comma 1 D.Lgs. 152/2006, a propria volta, vieta “l’abbandono e il deposito incontrollati di rifiuti sul suolo e nel suolo

[iii] Corte Cass. pen., Sez. III, 7 aprile 2017, n. 38977; Corte Cass. pen., Sez. III, 9 luglio 2013, n. 42343; Corte Cass. pen., Sez. III, 15 maggio 2007, n. 24477

[iv] Corte Cass. pen., Sez. III, 22 novembre 2017, n. 6999; Corte Cass. pen., Sez. III, 19 novembre 2014, n. 7386; Corte Cass. pen., Sez. III, 6 novembre 2014, n. 51422; Corte Cass. pen., Sez. III, 13 novembre 2013, n. 48489; Corte Cass. pen., Sez. III, 26 maggio 2011, n. 25216

[v] In Corte Cass. pen., Sez. III, 12 dicembre 2013, n, 6984 l’adesione a tale indirizzo ha portato a ritenere penalmente responsabile del reato non soltanto l’amministratore in carica al momento della derelizione del rifiuto, ma anche quello, subentrato in epoca successiva e mai occupatosi della relativa gestione (in termini di smaltimento o recupero), che risultava in carica al momento dell’accertamento del fatto: “il reato di deposito incontrollato di rifiuti, dando luogo ad una forma di gestione del rifiuto preventiva rispetto al recupero od allo smaltimento, ha una consumazione che perdura sino allo smaltimento o al recupero (che sicuramente non erano avvenuti al subentro della ricorrente). Né vale, perciò, cercare di distinguere la responsabilità dell’amministratore in carica al momento dell’accertamento del reato, rispetto a quella degli amministratori precedenti che avevano effettuato lo stoccaggio irregolare dei rifiuti presenti nell’impianto

[vi] Corte Cass. pen., Sez. III, 25 gennaio 2022, n. 20713; Corte Cass. pen., Sez. III, 13 gennaio 2022, n. 8088; Corte Cass. pen., Sez. III, 28 luglio 2021, n. 29578; Corte Cass. pen., Sez. III, 17 luglio 2019, n. 44516; Corte Cass. pen., Sez. III, 9 maggio 2019, n. 36411; Corte Cass. pen., Sez. III, 16 ottobre 2014, n. 30910; Corte Cass. pen., Sez. III, 21 ottobre 2010, n. 40850

[vii] Segnatamente  – osserva la Suprema Corte –, in forza dell’interpretazione in parola, sebbene la condotta di deposito evochi, in generale, una “collocazione non definitiva dei rifiuti in un determinato luogo in previsione di una successiva fase di gestione del rifiuto”, la stessa è suscettibile di assumere la veste di “abbandono” laddove manchi, in concreto, “la successiva fase di gestione (…) e la collocazione del rifiuto ed altri dati oggettivi siano indicativi della mera volontà di liberarsene definitivamente”; ciò, tuttavia, non toglie che, quando l’attività di deposito risulti effettivamente prodromica alla successiva gestione del rifiuto (in termini di smaltimento o recupero), debba esserne riconosciuta la diversità rispetto al mero abbandono, trattandosi di ipotesi di “detenzione con modalità estranee a quelle conformi alla legge, potenzialmente pericolose, e tali da incidere, durante la sua protrazione, sui beni giuridici tutelati della salute umana e dell’integrità dell’ambiente”.

[viii] Sul punto, Corte Cass. pen., Sez. III, 31 ottobre 2019, n. 44516 ha obiettato trattarsi di criterio discretivo “estremamente vago e difficilmente individuabile”. Pur riconoscendo l’astratta validità della critica, parte della Dottrina ha controbattuto, rilevando a riguardo: “la critica coglie il segno, tuttavia, se la ‘temporaneità’ rappresenta l’essenza del deposito, non vediamo come si possa evitare di ricorrere al suggerito criterio che potrà essere ‘affinato’ e circonstanziato quanto più possibile, ma che resta pur sempre il solo capace di segnare la linea di confine tra lecito e illecito” (V. PAONE, Il reato di deposito incontrollato di rifiuti e l’individuazione del suo momento consumativo, in Lexambiente n. 1/2020).

[ix] La Corte di Cassazione afferma sul punto: “se il deposito incontrollato assume, fin dall’inizio la conformazione di un rilascio definitivo del rifiuto nell’ambiente, o comunque non è seguito entro un tempo ragionevole dalla rimozione di questo, mediante attività di smaltimento o recupero, la condotta che lo determina si esaurisce nel momento in cui è posta, e, quindi, dà luogo ad un reato istantaneo, con eventuali effetti permanenti. Se, invece, l’attività di deposito incontrollato è prodromica ad una successiva fase di smaltimento o di recupero, la relativa condotta si protrae nel tempo, perché implica una “custodia”, integrando così un reato permanente che si esaurisce quando inizia la gestione lecita del rifiuto, siccome correttamente svolta da un soggetto autorizzato, ovvero perdura fino al compimento della successiva fase di gestione del rifiuto, quando questa è effettuata da un soggetto non autorizzato o con modalità illegali, venendo assorbita in questa più generale fattispecie”.

[x] V. PAONE, Il reato di deposito incontrollato di rifiuti e l’individuazione del suo momento consumativo, in Lexambiente n. 1/2020

[xi] Corte Cass. pen., Sez. III, 7 marzo 2022, n. 8088. Cfr., a commento, G. Amendola, Abbandono – deposito incontrollato di rifiuti e Cassazione. Tutto chiaro?, in Rivistadga.it, n. 2/2022.

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