Criteri di accertamento della qualità di rifiuto da parte del giudice ed accertamenti tecnici

02 Apr 2023 | giurisprudenza, penale, in evidenza 3

di Antonio Sanson

CASSAZIONE PENALE, Sez. III – 19 gennaio 2023 (dep. 1° febbraio 2023), n. 4214 – Pres. Ramacci, Est. Liberati – ric. A.A. 

La classificazione di una sostanza o di un oggetto quale rifiuto non deve necessariamente basarsi su un accertamento peritale, potendo legittimamente fondarsi anche su elementi probatori, quali le dichiarazioni testimoniali, i rilievi fotografici o gli esiti di ispezioni e sequestri.  

  1. La vicenda sottesa al giudizio della Suprema Corte e i motivi di ricorso sulla qualificazione della condotta

La Corte di Cassazione è chiamata a pronunciarsi su un articolato ricorso proposto avverso una decisione della Corte d’Appello di Cagliari, che, confermando una decisione del Tribunale di Sassari, aveva condannato per il reato di discarica abusiva il proprietario ed utilizzatore di un’area di circa 500 mq sulla quale erano stati conferiti rifiuti di vario genere, anche pericolosi.

La quasi totalità dei motivi di ricorso lamentava la violazione di norme di legge ed il travisamento delle prove che, nella prospettazione della difesa, avevano condotto ad una erronea qualificazione della condotta in termini di discarica abusiva, anziché nell’illecito amministrativo di abbandono di rifiuti ex art 255, comma 1, D.Lgs. n. 152/2006 o al limite nella diversa contravvenzione di deposito incontrollato di cui al comma 2 dell’art. 256 (ipotesi per le quali la legge non prevede la confisca dell’area).

Tutte tali doglianze vengono giudicate inammissibili perché finalizzate ad ottenere una diversa delle prove assunte durante i precedenti gradi di giudizio.

La Corte ribadisce dunque il costante orientamento secondo cui il reato di realizzazione o gestione di discarica abusiva è integrato laddove si verifichi un accumulo di rifiuti in maniera ripetuta che realizzi una trasformazione del luogo interessato appunto in un deposito a tempo indeterminato in relazione alla quantità dei conferimenti e dello spazio occupato. Le dimensioni dell’area interessata ed il volume dei rifiuti, ricorda sempre la Corte, sono appunto i parametri cui occorre fare riferimento per distinguere tale reato da quello di deposito incontrollato[1].

  1. La doglianza circa la qualifica di rifiuto relativa alle lastre d’amianto

La Corte dedica una riflessione a parte il motivo di ricorso con il quale la difesa dell’imputato aveva contestato la qualificazione come rifiuto di alcune lastre di amianto utilizzate come copertura di alcuni fabbricati rurali presenti sullo stesso fondo sul quale era stata realizzata la discarica abusiva. In particolare, il ricorrente rilevava che proprio il fatto che a tali lastre era stata data una destinazione funzionale avrebbe dovuto indurre il Tribunale ad escludere la qualifica di rifiuto, tenuto conto anche della circostanza che non era stata accertata la pericolosità del materiale, che peraltro doveva escludersi in ragione dell’assenza di rischio di dispersione di fibre nell’ambiente.

Si anticipa sin d’ora che anche tale motivo non ha trovato accoglimento ed è stato giudicato manifestamente infondato dalla Corte, che ha rilevato come anche in questo caso la doglianza sullo stato del materiale mirasse ad una nuova valutazione di merito rispetto a quella resa da Tribunale e Corte d’Appello, che avevano qualificato le lastre in questione come rifiuti pericolosi ed evidenziato l’improprio riutilizzo dei rifiuti.

Sul punto la Corte ribadisce l’orientamento già espresso in altre occasioni secondo cui la classificazione di una sostanza o di un oggetto quale rifiuto non passa necessariamente attraverso un accertamento peritale, potendo questa fondarsi anche su elementi probatori, come ad esempio le dichiarazioni testimoniali, i rilievi fotografici o gli esiti di ispezioni e sequestri[2].

L’affermazione appare coerente con la nozione di rifiuto contenuta nell’art 183, comma 1, lett. a) D.Lgs. n. 152/2006, che, ricalcando la definizione di cui all’art 3 della direttiva 2008/98/CE, lo definisce come “qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o abbia l’obbligo di disfarsi”. La norma così formulata, fondandosi sulla posizione del detentore, non richiede di per sé alcuno specifico accertamento tecnico sulla qualità di sostanze o oggetti; affermare il principio contrario, peraltro, comporterebbe un onere sull’Autorità inquirente del tutto insostenibile, sia in termini di tempo, che di spesa.

Non a caso in giurisprudenza è ben consolidata l’interpretazione secondo cui la natura di rifiuto vada presunta e che sia onere dell’imputato dimostrare la natura di sottoprodotto o di “non rifiuto” dell’oggetto o della sostanza di cui trattasi[3].Ciò non significa ovviamente che eventuali accertamenti di tipo tecnico non abbiano in alcun caso incidenza nella qualificazione, ma qualora vi sia uno specifico interesse sul punto, è appunto il diretto interessato a doversene fare carico per offrire un elemento di valutazione utile a contrastare la natura di rifiuto.

In assenza di tutto ciò, la Corte non può far altro che confermare il ragionamento induttivo seguito dal Tribunale e Corte d’Appello: poiché le lastre sono in un cattivo stato di conservazione, è evidente che il proprietario originario se ne era voluto disfare, ergo costituiscono un rifiuto, per giunta pericoloso, in ragione della possibile dispersione di fibre. Il ricorrente – stando a quanto emerge dalla pronuncia – non sembra peraltro aver mai negato che il materiale in questione fosse stato precedentemente abbandonato, fondando la propria difesa esclusivamente sulla destinazione data allo stesso, che tuttavia non è di per sé idonea a far cessare la qualifica di rifiuto in assenza di qualsivoglia operazione finalizzata al recupero.

Ma a ben vedere lo stato di conservazione delle lastre in questione avrebbe con ogni probabilità determinato la qualifica di rifiuto anche nel caso in cui queste fossero state poste a copertura dei fabbricati sin da principio. Se è vero che la giurisprudenza amministrativa ha in più occasioni ricordato che la copertura di un fabbricato diventa un rifiuto solo nel momento in cui non crolla al suolo e perde la propria funzione originaria,[4] è altrettanto vero che ha più volte ribadito che per i casi in cui la copertura contenga amianto occorre far riferimento a quanto dettato dalla L. 27 marzo 1992, n. 257 ed al D.M. 6 settembre 1994.

Qualora il materiale risulti danneggiato, incombe sul proprietario l’obbligo di intervento e bonifica secondo uno dei metodi indicati al punto 3 dell’allegato al D.M.;[5] trattandosi di lastre appoggiate su dei fabbricati rurali, il Comune avrebbe ben potuto emettere ordinanza di rimozione delle stesse, che dunque sarebbero rientrate nel concetto di rifiuto come oggetti dei quali il detentore aveva l’obbligo di disfarsi.

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Cass. III, 4214_2023

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RGA Online – Sanson – contributo aprile 2023 (rev.)

Note

[1] Sul punto si vedano: Corte Cass. pen., Sez. III. 24 maggio 2019, n.14724; Corte Cass. pen., Sez. III, 26 marzo 2019, n.25548. Per l’ipotesi di realizzazione di una discarica abusiva all’interno della stessa azienda produttrice si veda invece Corte Cass. pen., Sez. VI, 28 aprile 2022, n. 21029, e il commento di A. Ranghino, Quando il deposito di rifiuti integra la fattispecie di realizzazione e gestione di una discarica abusiva, in www.rgaonline.sviluppo.host

[2] La Corte in particolare richiama Corte Cass. pen., Sez. 3, 7 luglio 2022, n. 33102, e Sez. 3, 28 giugno 1991, n. 7705.

[3] Corte Cass. pen., Sez. III, 18 settembre 2018, n. 52993 commentata da V. Morgioni, in questa Rivista, 2018, 796.

[4] Cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 12 marzo 2020, n. 1759; Cons. Stato, Sez. IV, 9 novembre 2019, n. 7665.

[5] Cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 3 febbraio 2022, n. 767 commentata da E. Felici, C. Leonardi, Copertura in amianto del fabbricato: quando può definirsi “rifiuto” e gli obblighi di intervento e bonifica in capo al proprietario dell’immobile, in www.rgaonline.sviluppo.host

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