Nuoto in vasca con i delfini nella recente giurisprudenza del giudice amministrativo

01 Lug 2024 | articoli, contributi

Sommario: 1. Premessa. – 2. La sentenza della VII Sezione del Consiglio di Stato n. 157/2024. – 3. La tutela dei delfini e la gestione dei delfinari. – 4. Riflessioni conclusive.

1. Premessa

In una recente pronuncia, la VII Sezione del Consiglio di Stato[i] ha respinto l’appello presentato avverso la sentenza del TAR Lazio, Roma, Sez. II-bis, n. 5892 del 10 maggio 2019[ii], con la quale era stata ritenuta illegittima una disposizione del Decreto del Ministro dell’ambiente del 20 dicembre 2017, di modifica del Decreto legislativo 21 marzo 2005, n. 73 (Attuazione della direttiva 1999/22/CE relativa alla custodia degli animali selvatici nei giardini zoologici) che introduceva la possibilità del nuoto in vasca con i delfini da parte del pubblico.

Questa sentenza ci consente un richiamo alla normativa in materia di detenzione dei cetacei nei delfinari e ci consente di svolgere alcune riflessioni finali, di portata più generale, sulla tutela del benessere animale, alla luce delle novità normative e giurisprudenziali intervenute negli ultimi anni, con particolare riguardo alla ponderazione degli interessi degli animali con quelli umani, non solo attraverso il principio di proporzionalità, ma anche attraverso il principio di precauzione.

2. La sentenza della VII Sezione del Consiglio di Stato n. 157/2024

Con ricorso al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, la Lega Anti Vivisezione onlus (LAV) aveva impugnato (nel 2017) il Decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con i Ministri della salute e delle politiche agricole, alimentari e forestali[iii], con il quale era stata modificata la disciplina relativa ai “criteri e requisiti minimi necessari per il mantenimento in cattività e per il trasporto e trasferimento di esemplari di delfini appartenenti alla specie Tursiops truncatus”, contenuti nell’Allegato 1, lett. h), al Decreto legislativo 21 marzo 2005 n. 73, Attuazione della direttiva 1999/22/CE relativa alla custodia degli animali selvatici nei giardini zoologici, e in cui è stato integrato il Decreto 6 dicembre 2001 n. 469, Regolamento recante disposizioni in materia di mantenimento in cattività di esemplari di delfini appartenenti alla specie Tursiops Truncatus, adottato in applicazione dell’articolo 17, comma 6[iv], della legge 23 marzo 2001, n. 93, recante disposizioni in campo ambientale.

La modifica introdotta con il Decreto ministeriale impugnato riguardava il paragrafo 37 della menzionata lett. h) dell’Allegato 1 che in origine prevedeva il divieto generalizzato di ingresso in vasca e nuoto con i delfini, permesso solo all’addestratore, nonché al veterinario al biologo e al curatore per scopi sanitari.

Il particolare, il Decreto impugnato prevedeva la possibilità di “ingresso in vasca ai soggetti che partecipano ad attività di educazione e sensibilizzazione del pubblico in materia di biodiversità con i delfini, nell’ambito di specifiche iniziative programmate all’interno delle strutture in possesso della licenza di Giardino zoologico che detengono delfini”.

Questo, previo accertamento del veterinario della struttura, sull’“idoneità sanitaria e comportamentale dei delfini interessati” e con costante monitoraggio delle loro condizioni di salute e di benessere. Le suddette attività di educazione e sensibilizzazione potevano avere inizio non prima del decorso del termine di 30 giorni dalla necessaria comunicazione “al Ministero dell’Ambiente, al Ministero della Salute, nonché all’Arma dei Carabinieri per gli aspetti di rispettiva competenza”.

Con la sentenza del 19 maggio 2019, la Sezione II-bis del TAR Lazio aveva accolto il ricorso, annullando la parte già menzionata del Decreto ministeriale.

In particolare, per difetto di istruttoria, dato che, secondo i giudici, l’amministrazione non aveva dimostrato di aver effettuato i necessari approfondimenti volti a superare le perplessità espresse dagli organi tecnici interpellati dal Ministero nel corso del procedimento, i quali sconsigliavano di promuovere programmi di nuoto con animali per le possibili “implicazioni negative per il benessere degli stessi”.

Ancora, veniva affermata la violazione del principio del benessere degli animali sancito dall’art. 13 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), nonché, del principio di precauzione, poiché non erano stati acquisiti “indizi in grado di escludere con sufficiente sicurezza sia il pericolo di compromissione del benessere degli animali sia condizioni di rischio per l’incolumità dei visitatori partecipanti ad iniziative di ingresso in vasca per il nuoto con i delfini”.

Si metteva, inoltre, in evidenza ad adiuvandum dei rilievi summenzionati, il fatto che lo stesso Ministero avesse adottato una nota nella quale si affermava la necessità di ulteriori accertamenti tecnici in materia.

La VII Sezione ritiene di aderire alle conclusioni del TAR; infatti, secondo i giudici, nonostante sul piano sostanziale gli apporti consultivi degli organi tecnici non rivestono in astratto carattere ostativo alla previsione ministeriale, non si è superata “l’obiettiva assenza di elementi in grado di dimostrare, sul piano positivo, che le iniziative di educazione e sensibilizzazione del pubblico alla biodiversità con i delfini previsti dal decreto impugnato non abbiano controindicazioni di sorta, sotto i profili della salute dell’animale e dell’incolumità per l’essere umano, e dunque siano conformi al principio di benessere degli animali enunciato in ambito sovranazionale”.

In altre parole, i profili di possibile criticità adombrati nei pareri tecnici sono stati giustamente considerati come elementi in grado di corroborare il contrasto tra il Decreto ministeriale impugnato (in parte qua) con il diritto euro-unitario, dato che, appunto, i Ministeri resistenti non avevano dimostrato l’acquisizione di “sufficienti elementi” e lo svolgimento di “idonei approfondimenti delle problematiche sollevate per superare le perplessità espresse dagli esperti e le criticità rilevate”.

Sicché, secondo la VII Sezione del Consiglio di Stato, la carenza istruttoria è da considerarsi, in linea con le conclusioni della sentenza impugnata, quale elemento sintomatico della violazione del principio della tutela del benessere degli animali, nonché della violazione del principio di precauzione.

In questo senso, giova ricordare che, secondo la definizione fornita dalla Commissione europea[v], il principio di precauzione trova applicazione anche con riguardo agli animali, poiché si estende a tutti “i casi in cui una preliminare valutazione scientifica obiettiva indica che vi sono ragionevoli motivi di temere che i possibili effetti nocivi sull’ambiente e sulla salute degli esseri umani, degli animali e delle piante possano essere incompatibili con l’elevato livello di protezione prescelto dalla Comunità”.

Peraltro, in questo caso, secondo i giudici, l’amministrazione non avrebbe tenuto in conto, non solo i potenziali rischi indicati dagli organi tecnici sul benessere animale, ma anche sulla sicurezza dei visitatori.

Sulla base di queste valutazioni, la VII Sezione del Consiglio di Stato respinge l’appello e conferma la sentenza di primo grado.

3. La tutela dei delfini e la gestione dei delfinari

Con riguardo alla normativa in materia, il necessario punto di partenza è quello della Direttiva 1999/22/CE[vi] che ha lo scopo di favorire la protezione e la conservazione della fauna selvatica, rafforzando il ruolo dei giardini zoologici nella salvaguardia della biodiversità; a questo fine, introduce a livello nazionale un sistema di licenze e ispezioni, destinato a garantire che i giardini zoologici attuino le misure di conservazione e protezione indicate dalla stessa Direttiva.

L’art. 2 definisce il ‘giardino zoologico’ come “qualsiasi complesso permanente nel quale vengono tenuti a scopo di esposizione, per almeno sette giorni l’anno, animali vivi di specie selvatiche (…)”, ricomprendendo, quindi, anche le strutture acquatiche.

L’articolo 3 stabilisce una serie di requisiti per i giardini zoologici (intesi nel senso estensivo sopraindicato), incentrati sulla promozione di programmi di conservazione, sull’istruzione e sulla sensibilizzazione del pubblico, sul benessere degli animali, sulla prevenzione di fughe e rischi ecologici, nonché su un’adeguata tenuta di registri degli animali ospitati.

In altre parole, la Direttiva sancisce, in termini normativi, la trasformazione del giardino zoologico, da semplice luogo puramente destinato all’esposizione, a centro dove vengono intrapresi programmi di istruzione, ricerca, allevamento in cattività e reintroduzione (tutte attività ispirate e caratterizzate da un sempre crescente interesse per le esigenze degli animali e la tutela del loro habitat).

Ancora. Il Regolamento (CE) n. 338/97, relativo alla protezione di specie della flora e della fauna selvatiche mediante il controllo del loro commercio, vieta (art. 8) l’esposizione al pubblico per scopi commerciali di determinate specie (all. A), salvo deroga specifica accordata per fini didattici, di ricerca o di allevamento.

Alla luce di quest’impianto normativo, l’esposizione degli animali selvatici è consentita solo a scopi didattici e di ricerca non a scopi puramente ludici e in ultima analisi per il mantenimento della biodiversità.

L’Italia ha attuato la menzionata Direttiva, emanando il Decreto Legislativo 21 marzo 2005 n. 73 (come successivamente modificato) corredato da una serie di Allegati che affrontano differenti aspetti della tutela e cura degli animali.

I delfini sono trattati specificamente nella sezione h) dell’Allegato 1, introdotto con il D.M. n. 469/200, recante disposizioni in materia di mantenimento in cattività di esemplari di delfini appartenenti alla specie Tursiops Truncatus, che detta nel dettaglio le condizioni e i criteri per il relativo mantenimento in cattività[vii].     

In particolare, si stabilisce che il mantenimento dei delfini in cattività è ammesso solo ove vengano garantiti specifici programmi di educazione ricerca e riproduzione, e la struttura si uniformi ai requisiti indicati, riguardanti gli spazi, le attività, il cibo, l’interazione sociale, il trasporto, ecc.

Sulla base della normativa suindicata, il delfinario, rientrante nella categoria dei ‘giardini zoologici’ deve (dovrebbe?) quindi avere uno scopo non di intrattenimento, ma di promozione educativa e di salvaguardia della biodiversità.

Su questa linea, il Decreto del 2001, alla lettera e) del punto riguardante l’educazione, prevede che «qualora siano tenute dimostrazioni, le stesse devono essere basate prevalentemente sul comportamento naturale dell’animale. I commenti devono riguardare la biologia della specie ed educare il pubblico ad osservare il comportamento degli esemplari».

Viene, quindi, escluso ogni riferimento ad attività ludiche che comprendano l’uso degli animali.

4. Riflessioni conclusive

L’annotata pronuncia della VII Sezione del Consiglio di Stato testimonia la sempre maggiore attenzione del giudice amministrativo al benessere degli animali, che viene individuato come principio avente rilevanza giuridica e meritevole di tutela, nell’ambito di un contesto di significative novità normative intervenute a livello europeo e nazionale (anche di ordine costituzionale)[viii], nonché di un evidente mutato sentire collettivo.

La tutela dell’animale quale essere senziente è ormai acquisita a livello giurisprudenziale come valore fondante del nostro sistema costituzionale che va necessariamente bilanciato con gli interessi umani confliggenti.

A questo proposito, giova ricordare come, nell’ordinanza cautelare[ix], con la quale la VII Sezione si era pronunciata sulla richiesta di sospensiva della sentenza del Tar Lazio che annullava in parte qua il summenzionato Decreto del 2017, i giudici amministrativi avevano sancito che, nell’ambito del bilanciamento di interessi operato dall’amministrazione, la tutela del benessere animale e ovviamente l’incolumità dei visitatori dovessero prevalere rispetto al pregiudizio economico sostenuto dal gestore della struttura.

Questa affermazione si inserisce nell’ambito di una serie di pronunce giurisprudenziali nelle quali, sia il giudice amministrativo, sia il giudice europeo, non solo hanno affermato che la tutela del benessere animale rappresenta ormai un interesse che deve essere bilanciato con gli altri interessi umani, ma hanno effettuato una vera e propria graduazione degli interessi umani, individuando una categoria di questi interessi, quelli meramente economici (ma anche quelli ludico/ricreativi e legati ad usi e tradizioni) che non possono prevalere nel suddetto bilanciamento.

In questo senso, in un’ordinanza del luglio 2023[x], la III Sezione del Consiglio di Stato, dopo aver affermato che l’articolo 9 della Costituzione, come novellato[xi], ha di fatto inserito la tutela degli animali tra i cosiddetti ‘principi supremi’, ne ha dedotto che la compromissione dell’interesse dell’animale (e, in particolare, la perdita della vita) può avvenire solo a seguito di una rigorosa valutazione sulla necessità e proporzionalità della misura da adottarsi, questo soprattutto quando l’interesse umano rilevante è un interesse meramente economico[xii] che non può avere valore prevalente nell’ambito della suddetta valutazione.

È interessante notare come alle stesse conclusioni fosse già pervenuta la Corte di giustizia, in una sentenza Liga van Moskeeën en Islamitische Organisaties Provincie Antwerpen, VZW e altri[xiii], del 29 maggio 2018, riguardante la questione delle macellazioni rituali[xiv].

Nell’ambito di questa causa, la Corte di giustizia è chiamata a pronunciarsi sul rapporto tra la normativa europea che tutela e promuove il benessere degli animali, e in particolare le disposizioni del Regolamento (CE) n. 1099/2009[xv] (volto a tutelare gli animali al momento dell’abbattimento), secondo cui gli animali devono essere storditi prima di essere macellati, e la pratica imposta da diversi credo religiosi della macellazione senza previo stordimento (c.d. macellazione rituale)[xvi].

La causa nasce nel contesto di una controversia tra alcune associazioni musulmane e la regione fiamminga del Belgio.

L’oggetto della contesa è una decisione ministeriale di non autorizzare (come era avvenuto in passato), durante la festa islamica del sacrificio, la macellazione rituale di animali senza stordimento in macelli ‘temporanei’, ma di ritenere necessaria l’utilizzazione di macelli preventivamente autorizzati anche se la capacità di questi ultimi risultava insufficiente per soddisfare l’aumento della domanda registrato in quello specifico periodo.

In breve, ciò che la Corte deve determinare è se il requisito che la macellazione venga eseguita solo in macelli autorizzati violi la libertà religiosa, ove il numero di questi macelli non soddisfi la richiesta con la conseguenza di un ingente onere finanziario posto a carico delle comunità musulmane per aumentare il numero complessivo di macelli autorizzati nella regione.

I giudici concludono che l’obbligo di eseguire macellazioni rituali in macelli riconosciuti (che soddisfano requisiti specifici) non limita il diritto alla libertà di religione, poiché questa condizione ha lo scopo «esclusivamente di organizzare e regolamentare, da un punto di vista tecnico, il libero esercizio della macellazione senza previo stordimento a fini religiosi»[xvii].

In questo modo, il legislatore europeo concilia il rispetto delle specifiche modalità di macellazione prescritte dai riti religiosi con le norme sulla tutela del benessere degli animali al momento dell’abbattimento. Infatti, al fine di evitare sofferenze eccessive e inutili degli animali uccisi senza prima essere storditi, tutte le macellazioni rituali devono essere eseguite in appositi macelli dove è possibile, tra l’altro, trattenere individualmente e meccanicamente quegli animali e prendere tutte le misure necessarie per ridurre al minimo la loro sofferenza.

La mancanza di capacità di macellazione in una regione di uno Stato membro che si verifica temporaneamente (da imputare all’aumento della domanda di macellazione rituale per diversi giorni durante la festa) deriva da una combinazione di circostanze interne che non possono inficiare la validità della regola in questione.

In conclusione, secondo la Corte per poter invocare una deroga alle norme sulla protezione degli animali (in particolare quelle che prescrivono che la loro sofferenza debba essere ridotta al minimo), a tutela della libertà religiosa, il legame con la prescrizione o il rito religioso deve essere diretto.

Inoltre, tale deroga deve essere necessaria e proporzionata per garantire la libertà di religione ovvero, ove necessario, per tutelare altri interessi o diritti fondamentali, come, in particolare, la salute umana; ad ogni modo, una deroga alle norme sulla protezione degli animali non può essere invocata al solo scopo di tutelare interessi economici, come nel caso di specie.

Di interesse è, poi, una sentenza (Association One Voice)[xviii] in cui la Corte, chiamata ad interpretare alcune disposizioni della Direttiva sulla conservazione degli uccelli selvatici, con riguardo all’autorizzazione da parte della autorità francesi della caccia con il vischio, conclude che l’esigenza nazionale di mantenere in vita usi tradizionali a scopo ricreativo (e di tutelare, quindi, anche gli interessi economici sottesi) non può giustificare, di per sé, l’utilizzo di un metodo di caccia particolarmente crudele, ricordando che la tutela del benessere degli animali (oltre che naturalmente la tutela ambientale e della biodiversità) possono essere compromessi solo ove ciò strettamente necessario e nel rispetto di rigide condizioni.

Ciò premesso, la sentenza del Consiglio di Stato n. 157/2024, ad avviso di chi scrive, si inserisce nell’ambito del contesto suindicato, ma con una importante differenza.

Infatti, si prevede che il ‘rischio’ accertato (dagli organi tecnici) di compromissione del benessere animale (nonché dell’incolumità pubblica) senza che sia stato opportunamente valutato dall’amministrazione (ma meramente ignorato) determina una violazione del principio di precauzione[xix].

In altre parole, ove sussista il rischio di lesione del benessere degli animali e della sicurezza delle persone, l’amministrazione avrebbe dovuto o escluderlo, tramite ulteriori accertamenti istruttori di tipo tecnico, o compararlo attraverso il canone della proporzionalità agli interessi umani in gioco che in questo caso sono solo di tipo economico e ludico.

Di fatto, quindi, viene proposta una indiretta graduazione degli interessi in linea con la precedente succitata giurisprudenza, ma viene fatto anche un ulteriore passo in avanti, poiché, utilizzando il canone della precauzione, si va a ponderare, non l’effettiva lesione del benessere animale, ma il mero rischio di questa lesione.

Ad onor del vero, nel caso di specie, il rischio di compromissione del benessere animale viaggia in parallelo con il rischio per la sicurezza dei visitatori, ciò nonostante, ad avviso di chi scrive, l’utilizzo del principio di precauzione nell’ambito della comparazione degli interessi umani e animali apre sicuramente nuove prospettive di tutela per questi ultimi.

SCARICA L’ARTICOLO IN PDF

NOTE:

[i] Consiglio di Stato, VII, 4 gennaio 2024 n. 157.

[ii] Per un’analisi della sentenza, si rinvia a P. Brambilla, Il principio di precauzione travolge la norma nazionale che consente al pubblico del delfinario il nuoto nella vasca degli animali pregiudizievole per il loro benessere e l’incolumità dei visitatori, in questa Rivista, 3-4, 2019. Nonché, C. Campanaro, Sulla prevalenza della protezione della salute dei delfini sugli interessi commerciali. T.A.R. del Lazio, Sezione Seconda Bis, sentenza n. 05892/2019. Consiglio di Stato, Quarta Sezione, ordinanza n. 3821/2019, in www.dirittoambiente.net.

[iii] Decreto del 20 dicembre 2017, Attuazione della direttiva 1999/22/CE relativa alla custodia degli animali selvatici nei giardini zoologici.

[iv]Con decreto del Ministro dell’ambiente, da emanare, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono stabilite le disposizioni in materia di mantenimento in cattività di esemplari di delfini appartenenti alla specie tursiops trancatus”.

[v] Comunicazione della Commissione, sul principio di precauzione, 2 febbraio 2000, COM(2000) 1 final.

[vi] Direttiva 1999/22/CE del Consiglio, del 29 marzo 1999, relativa alla custodia degli animali selvatici nei giardini zoologici, GUE L 94/24 del 9.4.1999.

[vii]Fermo restando quanto prescritto dal regolamento CE 338/97, dal Regolamento 939/97, dalla legge 7 febbraio 1992, n. 150 e dalla legge 19 dicembre 1975 che ratifica la Convenzione di Washington sul commercio internazionale delle specie di fauna e flora selvatiche minacciate di estinzione – CITES”. Art. 1.

[viii] Particolarmente rilevante, in questo senso, è la nota riforma dell’art. 9 della nostra Costituzione che non solo prevede l’obbligo da parte del legislatore nazionale di attivarsi per tutelare il benessere degli animali, ma indica la tutela degli animali quale compito della Repubblica. Sul tema cfr., F. Rescigno, Animali e Costituzione: prodromi della soggettività giuridica?, in D. Buzzelli (a cura di), Animali e diritto. Modi e forme di tutela, Pacini, Pisa, 2023, p. 13; C. De Angelis, Il letto di Procuste. Note a margine sul diritto degli animali in Costituzione, Ibid., p. 35; C. Cupelli, La salvaguardia degli animali in Costituzione: le ricadute sul sistema penale della legge costituzionale n. 1 del 2022, Ibid., p. 61.

[ix]Cons. di Stato, Sez. IV, ord., 25 luglio 2019, n. 3821.

[x] Cons. di Stato, Sez. III, ord., 14 luglio 2023, n. 5473.

[xi] In argomento, ci sia consentito rinviare a M. Lottini, La tutela degli animali in Costituzione: riflessioni e prospettive, in Ceridap, 3, 2022, p. 56.

[xii] In questa chiave, peraltro, parte della dottrina aveva già messo in evidenza come “le esigenze attinenti al funzionamento del mercato e all’iniziativa economica privata non potranno mai essere invocate per giustificare arretramenti nella tutela degli animali da parte della legge. Infatti, il disposto dell’art. 41, secondo comma, Cost., nel testo introdotto dalla stessa riforma costituzionale del 2022, annovera l’ambiente, che comprende come si è detto anche gli animali non umani, tra i beni capaci di limitare l’iniziativa economica privata (ai sensi di tale articolo, l’iniziativa economica privata […] non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”, D. Cerini e E. Lamarque, La tutela degli animali nel nuovo articolo 9 della Costituzione, in federalismi.it, 24, 2023, 32, p. 64.

[xiii] Sentenza del 29 maggio 2018, C-426/16, Liga van Moskeeën en Islamitische Organisaties Provincie Antwerpen, VZW e altri, EU:C:2018:335.

[xiv] Sulla questione delle macellazioni rituali cfr., ancora la sentenza del 17 dicembre 2020, Centraal Israëlitisch Consistorie van België e altri, C-336/19, EU:C:2020:1031.

[xv] Regolamento (CE) n. 1099/2009 del Consiglio, del 24 settembre 2009, relativo alla protezione degli animali durante l’abbattimento, GUE L 303 del 18.11.2009.

[xvi] Definita dal Regolamento n. 1099/2009 come: “una serie di atti correlati alla macellazione di animali prescritti da una religione”. Art. 2, g).

[xvii] Par. 58.

[xviii] Sentenza della Corte del 17 marzo 2021, Association One Voice, C-900/19, EU:C:2021:211.

[xix] Sul principio di precauzione, cfr., F. De Leonardis, Il principio di precauzione nell’amministrazione di rischio, Milano, Giuffrè, 2005; per una distinzione tra il principio di precauzione e di prevenzione, cfr., Id., Principio di prevenzione e novità normative in materia di rifiuti, in Rivista quadrimestrale di diritto dell’ambiente, 2, 2011, 14.

Scritto da