Pace, giustizia, ambiente e la guerra in ucraina #2

02 Giu 2023 | contributi, in evidenza 3, articoli

di Amedeo Postiglione ([1]) e Letizia Blommestein ([2])

Abstract

Gi autori del presente contributo, membri della Fondazione ICEF, che da anni promuove la giustizia internazionale per l’ambiente comune, sono ben consapevoli della difficoltà e complessità di un giudizio su un fenomeno, la guerra in Ucraina, ancora in corso e dagli esiti imprevedibili.

Secondo gli autori, in base al diritto internazionale, nessun dubbio può sorgere sulla constatazione della illegittimità dell’invasione ad opera della Federazione russa dell’Ucraina e sulla legittima difesa del popolo ucraino, certificati da due Risoluzioni dell’Assemblea Generale delle N.U.

In relazione al conflitto in corso, si elencano i tentativi già avviati di coinvolgimento degli organi di giustizia esistenti (Corte europea dei diritti dell’uomo; Corte internazionale di giustizia; Corte penale internazionale) ed anche la proposta di un Tribunale speciale ad hoc per l’Ucraina.

Secondo gli autori si impone una soluzione diplomatica del conflitto, ossia un compromesso a livello territoriale, ma in una diversa cornice di sicurezza e di pace a livello globale, anche in considerazione della necessità ed urgenza di una governance imposta dal principale ed unitario problema ambientale sopravvenuto, il mutamento climatico in atto.

Il legame del conflitto con l’ambiente è dimostrato dalle distruzioni diffuse dei beni naturali e culturali, dall’utilizzo dell’arma delle energie di origine fossile come risposta alle sanzioni, dai pericoli alla sicurezza della centrale nucleare di Zaporizhia, dalle difficoltà di commercio di beni fondamentali come i cereali e dal pericolo di regressione del diritto ambientale internazionale.

Partendo dai valori interconnessi di pace, giustizia e ambiente, gli autori si limitano a registrare come abbiano operato finora gli strumenti giuridici esistenti, quali difficoltà abbiano incontrato e quali possano essere le prospettive future.

Viene riproposto il tema di un nuovo ordine mondiale, concepito come un nuovo diritto umano, anche alla luce del pensiero religioso risalente al papa Giovanni XXIII (Pacem in Terris del 1963) sulla necessità di una Autorità politica mondiale. È il diritto internazionale nel suo insieme che attende una riforma condivisa, partendo dal ripudio della guerra per la soluzione delle controversie internazionali, dal rafforzamento delle Nazioni Unite e da una valorizzazione dei beni comuni ambientali in sintonia con i doveri umani.

Indice:

Introduzione

  1. Pace, giustizia e ambiente e protezione delle future generazioni
  2. Necessità di più efficaci misure collettive in tema di pace, giustizia e ambiente: regole ed organi internazionali esistenti
  3. La prospettiva di una Autorità politica mondiale
  4. Quale giustizia per l’Ucraina: le Corti sovranazionali ed internazionali
  5. Per un nuovo diritto internazionale in tema di pace, giustizia e ambiente
  6. Per un nuovo ordine internazionale in tema di pace, giustizia e ambiente
  7. Quali regole giuridiche per un nuovo ordine mondiale?
  8. Uno sguardo sul passato: dalla guerra giusta al “ripudio” oggi

Conclusioni

 

Introduzione

Il presente contributo affronta la grave crisi in Ucraina, con le sue peculiarità, richiamando finalità e principi giuridici generali, a cominciare da quelli enunciati solennemente nello Statuto delle Nazioni Unite del 26 giugno 1945. Esso costituisce la prosecuzione di un doveroso impegno della Fondazione ICEF (International Court of the Environment Foundation) di esame dei conflitti alla luce dei valori di pace, giustizia e ambiente[i].

Il profondo legame tra pace e ambiente comune è sottolineato da vari anni dalla Fondazione ICEF e da altri Organismi scientifici e della società civile, sensibili alla promozione di una governance globale più adeguata anche per l’ambiente comune.

Sempre con riferimento alla guerra in Ucraina e guardando al futuro, si ritiene necessaria una ulteriore riflessione più generale sul significato e sul senso attuale dei concetti di pace, giustizia e ambiente. Il mondo di domani nella coscienza collettiva, davanti a nuove minacce di pandemie e guerre, appare in una luce diversa. Il resto del mondo (soprattutto il Sud) sembra vedere la guerra in Europa come una guerra europea, mentre gli Europei, memori di due conflitti mondiali sorti nella loro stessa area anche culturale, hanno una percezione diversa, di un reale rischio di conflitto globale. Le due potenze emergenti Cina e Russia ne sono consapevoli e sembrano far prevalere esigenze geopolitiche di maggiore influenza su quelle prioritarie di equità giustizia e pace.

Per trovare la via di una soluzione dei conflitti in generale e di quello specifico in Ucraina e costruire un più adeguato ordine mondiale, la riflessione dovrebbe comprendere:

  • una comprensione più profonda delle cause;
  • una conferma della importanza ed attualità del diritto umano alla pace (questo diritto ha un suo sicuro fondamento giuridico oltre che etico e religioso per le persone – divenute protagoniste del diritto alla vita come nuovi soggetti del diritto internazionale – e per i popoli – divenuti protagonisti attraverso l’esercizio democratico del diritto di autodeterminazione);
  • la condanna dell’odio, di tutte le forme estreme di criminalizzazione e radicalizzazione nei conflitti e la sincera preoccupazione per eventi inattesi ed errori di valutazione;
  • il ruolo finora inefficace della Comunità internazionale (ruolo assolutamente necessario per regolare i conflitti in generale e, nello specifico, il grave conflitto in corso nella sua possibile dinamica suicida);
  • i punti positivi di forza sopravvenuti, comuni al mondo intero (salute, ambiente, giustizia, pace, sostenibilità dello sviluppo, risposta ai disastri naturali) che rendono improponibile la prosecuzione e l’aggravamento del conflitto in corso;
  • le nuove e prioritarie emergenze globali che si muovono nella stessa direzione (crisi sanitaria; crisi energetica; transizione a nuove energie rinnovabili; ruolo delle nuove tecnologie più avanzate; necessità di una vera economia circolare sui territori; crisi climatica che accelera con effetti devastanti; crisi profonda e diffusa della biodiversità sulla terraferma e nei mari; crisi del cibo; crisi dell’acqua in vaste aree del Pianeta; crisi umanitaria per i profughi ambientali…). Queste emergenze sono state ostacolate e aggravate dal conflitto in corso con danni per tutti.

Auspicando una soluzione diplomatica della crisi appena possibile, il presente contributo si limita ad offrire un quadro sintetico, non esaustivo, degli strumenti giuridici esistenti e insiste nel sottolineare l’attualità del diritto umano alla pace in relazione al valore emergente dell’ambiente comune, egualmente minacciato.

  1. Pace, giustizia e ambiente e protezione delle future generazioni

Il valore ambiente  deve occupare un posto necessario anche nell’esame del nuovo conflitto.

Il diritto internazionale si è occupato di ambiente in tempi relativamente recenti e gli sviluppi sono stati molto rapidi perché imposti da esigenze oggettive del mutamento accelerato e grave degli equilibri naturali complessivi. La  protezione giuridica, nazionale ,continentale ed internazionale è stata graduale e  via via più integrata , ma continua ad inseguire un fenomeno rivelatosi molto più grave e complesso del previsto. Sono coinvolti tutti i settori (atmosfera, oceani e mari, acque dolci, risorse naturali, biodiversità, clima) e si scopre una umanità intera ancora divisa ed impreparata a dare una risposta adeguata in tutte le sue componenti, compresa quella politica. La risposta delle Istituzioni ha incontrato difficoltà nell’assicurare effettività al diritto internazionale esistente ed ancor più nella costruzione di un diritto internazionale nuovo nelle norme e negli organi deputati alla soluzione delle controversie (organi amministrativi di controllo e gestione; organi di giustizia obbligatori ed accessibili). La società intera tenta di valorizzare la dignità delle persone con la categoria nuova dei diritti umani e scopre che senza doveri umani i diritti stessi non possono operare[ii].

La recente giurisprudenza sulla giustizia climatica-di cui si dirà in prosieguo – ha già valorizzato giuridicamente l’Accordo di Parigi del 2015, come “primo accordo universale giuridicamente vincolante”. Fermo questo risultato, bisogna riconoscere il contributo dell’etica, delle religioni, della scienza e di parte della stessa economia  nel costruire una nuova economia senza rifiuti e veleni; ma la politica nel suo insieme, in tema di effettivo contrasto al mutamento climatico in atto, non sembra scommettere sul medio e lungo periodo e rinvia le scelte decisive .In  questo quadro che persiste, a partire dal 2015, anno della Conferenza di Parigi sul clima, sembrava essere iniziato un percorso più ambizioso, incentrato non solo sullo sviluppo sia pure sostenibile, ma sulla protezione unitaria e prioritaria dell’ambiente comune, inteso non solo come interesse pubblico, ma come diritto umano fondamentale. In questa direzione si muoveva il successivo lancio nel 2017 del Progetto di un Patto globale per l’ambiente ad opera della Francia[iii] , che riprendeva l’idea dell’ambiente come diritto umano della Conferenza di Stoccolma del 1972. La realtà si è dimostrata ancora più dura del previsto; anzi si è aggiunta, ad una lunga pandemia, una guerra nel cuore stesso dell’Europa.  Si tratta di una guerra contraria a tutti i diritti umani, compreso il diritto umano all’ambiente.

L’iniziativa (di un Patto mondiale per l’ambiente) non ha finora portato all’esito sperato”, osserva realisticamente Tullio Scovazzi, nel recente contributo del 2023 citato in nota. Rimane la necessità ed urgenza di un nuovo Trattato internazionale che risponda alla crisi ecologica globale con norme più efficaci nella logica temporale della protezione unitaria (umana insieme con la natura): i diritti delle generazioni presenti e future non possono prescindere da una urgente ed unitaria protezione dell’ecosistema terrestre a fronte della minaccia del mutamento climatico. Anche l’adattamento con l’ausilio delle nuove tecnologie si rivelerà economicamente sempre più oneroso e poi impossibile se non si rimuovono le cause (estrazione ed utilizzo di energie di origine fossile).

Alcune anticipazioni culturali e politiche erano già presenti dopo la fine della seconda guerra mondiale, anche se legate a economia, sicurezza e pace e non ancora alla questione ambientale emersa negli anni 60: sicurezza collettiva, diritti umani, giustizia.

Si legge con interesse già nel preambolo della Statuto del 1945  delle N.U. che i “popoli delle Nazioni Unite uniscono i loro sforzi per:

salvare le future generazioni dal flagello della guerra, che per due volte nel corso di questa generazione ha portato indicibili afflizioni all’umanità”;

“riaffermare la fede nei diritti fondamentali dell’uomo”;

– “creare le condizioni in cui la giustizia ed il rispetto degli obblighi derivanti dai Trattati e dalle altre fonti del diritto internazionale possano essere mantenuti.”

Come è noto il riferimento alla salvaguardia delle future generazioni, è stato giustamente valorizzato ed utilizzato negli strumenti internazionali successivi, non solo per le guerre come minacce della pace, ma anche per le minacce all’ambiente comune ed il loro impatto sulla natura e l’intera comunità umana[iv].

Nel caso della guerra in Ucraina sono presenti tutti i pericoli ai valori sopra indicati. La trattazione non può che essere specifica, sia pure nel quadro dei principi generali. Sembra tuttavia opportuno qualche cenno di inquadramento generale, perché trattasi del primo conflitto importante nel cuore dell’Europa, dopo 80 anni (salvo quelli più limitati nei Balcani tra Serbi, Croati, Sloveni, Bosniaci e Kossovari, terminati nel 98-99).

Questo nuovo conflitto, in un Paese molto importante per la sua storia, le sue risorse e la sua posizione geopolitica, reso possibile da nuovi equilibri di forze (USA, Russia, Cina), sembra mettere in discussione, per la sua gravità e le sue caratteristiche, il modello complessivo sorto durante e dopo la II guerra mondiale, nel senso di sollecitare un necessario riesame complessivo del diritto internazionale e del relativo ordine globale.

  1. Necessità di più efficaci misure collettive in tema di pace, giustizia e ambiente: regole ed organi internazionali esistenti

Appare utile richiamare in breve il modello generale di regole ed organi previsti nel diritto internazionale per il componimento degli interessi e soluzione dei conflitti, creato durante e dopo la II guerra mondiale ed alcuni eventi più significativi successivi, con la finalità di evidenziare quali riforme siano ora divenute necessarie o opportune al diritto internazionale medesimo:

  • regole economiche, finanziarie e di commercio e relativi enti internazionali di gestione (Accordi di Bretton Woods del 1944: Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale, Organismo per il commercio internazionale, prima GATT e poi OMC); si domanda ora quale riforma del sistema sia necessaria e condivisa nell’era della globalizzazione;
  • regole in tema di sicurezza e pace e sistema preposto alla loro attuazione: le Nazioni Unite e la Carta del 1945 (Assemblea, Consiglio di Sicurezza, Segretario Generale); si chiede ora quale riforma delle N.U. sia necessaria e condivisa;
  • modello di giustizia internazionale[v]: Corte internazionale di giustizia (ci si domanda ora se è possibile attenuare i limiti oggi previsti in tema di accesso alla giustizia, riservato solo agli Stati e di non obbligatorietà) e Corte penale internazionale competente per i crimini internazionali (genocidio; crimini contro l’umanità; crimini di guerra; aggressione);
  • fine del colonialismo e accesso all’indipendenza di quasi tutti i popoli; acquisito questo grande risultato positivo, ci si domanda ora come contenere altre forme di colonialismo e come dare maggiore dignità e peso politico ai nuovi Stati, soprattutto in Africa;
  • filosofia dei diritti umani, (prima la Dichiarazione universale dei diritti umani nel 1948 e poi specifici Patti): diritti di libertà e diritti politici; diritti economici, sociali e culturali, a favore soprattutto delle classi lavoratrici e delle donne; diritti di solidarietà come pace, ambiente e sviluppo sostenibile. Ci si domanda ora come rafforzare le garanzie; quale sia la evoluzione da promuovere in relazione alle nuove tecnologie della comunicazione sociale, intelligenza artificiale e progressi scientifici; come favorire una opportuna integrazione con   la filosofia dei doveri umani (una apposita Dichiarazione in materia delle N.U.?);
  • sistemi di difesa e sicurezza militare: sorsero nel 1949 in Occidente la Nato e ad est un analogo sistema contrapposto, il Patto militare dell’URSS, sciolto nel 1991. Il Trattato Nato del 4-4-1949 ora comprende 31 Stati europei e vari Stati associati 11+4; esso è contestato parzialmente dalla attuale Federazione russa, che rivendica una sfera di maggiore sicurezza ad ovest, mentre gli USA sembrano voler favorire un analogo Patto di difesa nel Pacifico, in funzione di contenimento della Cina, con alcuni Paesi come Giappone, India, Australia: quali nuovi equilibri sono ora da favorire pacificamente?
  • processo di unificazione e graduale ampliamento dell’Unione europea a partire dagli anni 50, con le sue specifiche caratteristiche positive, ma anche le incertezze in rapporto ai nuovi equilibri geopolitici globali conseguenti anche alla guerra in Ucraina: come rafforzare la UE nella politica estera e nella politica della difesa?
  • periodo post-bellico di guerra fredda, durato oltre quaranta anni, caratterizzato da due gruppi di Paesi contrapposti e un gran numero di Paesi esterni in via di sviluppo, ma soprattutto dalla deterrenza delle armi nucleari da parte di USA, URSS, Cina, Francia e Regno Unito, tutti membri del Consiglio di Sicurezza delle N.U. con diritto di veto: ci si domanda ora come evitare la proliferazione delle armi e come costruire una più equilibrata e pacifica coesistenza e collaborazione tra tutte le Comunità politiche mondiali, cominciando dal nodo del controllo della potenza militare, attraverso la eliminazione radicale delle armi di distruzione di massa con nuovi accordi internazionali ed il rafforzamento reale delle N.U.
  1. La prospettiva di una Autorità politica mondiale

Molte componenti umane ed anche politiche invocano un ordine mondiale nuovo, con una governance più adeguata su pace, giustizia e ambiente, in considerazione delle esperienze e necessità sopravvenute dopo la II guerra mondiale, tra cui la protezione unitaria dell’ecosistema terrestre e la protezione delle generazioni future.

Per costruire questo nuovo ordine mondiale, secondo il nostro punto di vista, occorre tenere conto dei fatti più rilevanti (in primis i fattori economici e sociali e la loro connessione ed integrazione in un modo ormai globalizzato), puntando su due linee di forza:

  • l’evoluzione positiva dei diritti umani se in sintonia con i doveri umani;
  • il riconoscimento dei diritti della natura, sede della nostra vita comune.

L’albero dei diritti umani deve poter crescere in sintonia con la natura, che merita un posto prioritario nelle valutazioni geopolitiche: i nuovi diritti per tutti, se accompagnati dai doveri di solidarietà e cooperazione tra i popoli, hanno bisogno della stabilità e forza della Terra che ci ospita.

In questa prospettiva va inquadrato realisticamente il problema non solo della osservanza di Trattati e Convenzioni sul diritto bellico ed umanitario, ma anche quello della stessa proponibilità della guerra come strumento di risoluzione dei conflitti, con la finalità di salvare le future generazioni dal flagello della guerra, come recitano le prime parole dello Statuto delle Nazioni Unite del 26 giugno 1945.

In questa logica si muovono le osservazioni che seguono, volte a favorire l’evoluzione del diritto internazionale, ridimensionando il cosiddetto realismo politico dei protagonisti della attuale politica mondiale.

  1. Quale giustizia per l’Ucraina: le Corti sovranazionali ed internazionali

Allo stato attuale del diritto internazionale, per il regolamento delle controversie tra Stati esiste un organo di giustizia generale a L’Aia, la Corte internazionale di giustizia, caratterizzato dall’accesso esclusivo solo agli Stati e condizionato dal consenso delle parti (gli Stati interessati al giudizio per la soluzione della controversia). Nei rapporti tra Stati possono operare organi di giustizia per alcuni grandi settori (Tribunale internazionale del diritto del Mare; Organo per la soluzione delle controversie dell’Organizzazione Mondiale del Commercio).

A seguito del processo di umanizzazione del diritto intorno alla categoria giuridica dei diritti umani, è nato un diritto internazionale per gli individui, che sono appunto i titolari dei diritti umani, ossia un diritto distinto dal tradizionale diritto per gli Stati[vi].

Si sono rese necessarie, di conseguenza, nuove garanzie di giustizia, stabilite da specifiche Convenzioni, che operano a livello continentale attraverso apposite Corti dei diritti umani (Corte europea dei diritti umani; Corte inter-americana dei diritti umani; Corte africana dei diritti dell’uomo e dei popoli). Queste Corti presentano la novità di un accesso più aperto alla giustizia (persone, formazioni sociali – a certe condizioni- popoli) e la novità della generale obbligatorietà.

La Comunità internazionale si è dotata, inoltre, di un organo unitario di giustizia, per alcuni più gravi crimini contro i diritti umani, denominato Corte penale internazionale, caratterizzato dall’esercizio dell’azione penale contro singole persone ad opera di un procuratore. Nel caso della guerra o crisi in Ucraina sono stati coinvolti questi Organismi su cui si forniscono alcune informazioni essenziali.

4.1 Corte Europea dei diritti dell’uomo (EDU)

Questa Corte si occupa della difesa dei diritti umani su base continentale, con riferimento alle persone e popoli di 47 Paesi del Consiglio di Europa, una importante Organizzazione creata nel 1949. Ha sede a Strasburgo in Francia. I diritti umani considerati sono quelli indicati dalla Convenzione di Roma del 1950 e da 14 Protocolli intervenuti negli anni successivi, che hanno precisato ed allargato la base giuridica.

È stata la prima Corte continentale sui diritti umani ed ha già elaborato una ricca giurisprudenza nella materia[vii]. La legittimazione ad agire è delle singole persone ed anche degli Stati appartenenti al Consiglio europeo.

Nel caso in esame, è significativo che, subito dopo l’invasione russa del 24 febbraio 2022, cioè il 25 febbraio 2022, il Comitato dei Ministri del Consiglio di Europa chiedeva la sospensione della Federazione russa, ex art.8 dello Statuto. Pervenivano alla Corte numerosi ricorsi contro la Russia, proposti da singole persone e dall’Ucraina per ripetute violazione dei diritti umani, sia con riferimento all’occupazione della Crimea del 2014, sia della nuova invasione del 22 febbraio 2022.

In data 1/3/2022 la Corte adottava un provvedimento cautelare contro la Russia per presunte violazioni dei diritti umani (Ricorso n.11055\22, Ucraina c. Russia).

Il 15/3/2022 l’Assemblea del Consiglio di Europa all’unanimità esprimeva parere favorevole all’espulsione della Federazione russa, confermata dal Comitato dei Ministri, con decorrenza 16-9-2022.

La Russia non ha accettato il contradditorio, ha reagito denunciando la stessa Convenzione europea sui diritti umani e si è ritirata dal Consiglio di Europa, nella stessa data già indicata del 15 marzo 2022.

Questo evento, in via di principio, non giova alla protezione istituzionale nella materia delicata della protezione dei diritti umani, di interesse comune dell’umanità. La Convenzione europea sui diritti umani risale al 1950 ed ha anticipato un orientamento seguito da altri continenti! Anche questo è un frutto avvelenato della guerra, un segnale di forte preoccupazione ed un punto giuridico e politico che impegna il futuro della Comunità internazionale, al di là delle posizioni di parte.

In punto di fatto, nel caso ucraino, si osserva che è stata documentata una mole diffusa ed imponente di distruzioni di edifici in città e villaggi, di abitazioni civili e case contadine nelle campagne, con danni ai raccolti ed agli animali, perfino a scuole, ospedali e chiese, di ponti, strade, ferrovie, acquedotti, infrastrutture energetiche e purtroppo massacri di civili (a Bucha, Irpin, Izium, Lyman, Mariupol , secondo prove raccolte anche da vari organismi indipendenti); che sono stati utilizzati mezzi ed armi, senza proporzione e misura, al di fuori delle regole stesse della condotta bellica e del diritto internazionale umanitario. È sotto gli occhi del mondo intero il disastro umanitario in Ucraina, che deve consentire alla Corte di continuare il suo ruolo di giustizia a tutela di fondamentali diritti umani della popolazione civile. Se anche l’Ucraina ha commesso violazioni di diritti umani, come assume la Federazione russa con riferimento al Donbass, esse devono essere valutate secondo lo stesso principio di giustizia[viii].

4.2 Corte internazionale di Giustizia

Questa Corte costituisce un organo giudiziario generale delle Nazioni Unite in tema di responsabilità giuridica degli Stati (art.92 della Carta): ogni Stato membro in caso di controversie, ha l’obbligo di conformarsi alle decisioni della Corte (art.94, par.1).

Anche davanti a questa Corte, l’Ucraina il 27 febbraio 2022, subito dopo l’invasione, ha proposto ricorso contro la Russia, accusandola di aggressione e genocidio ai sensi della Convenzione del 9-12-1948, nonché di riconoscimento illegittimo delle Repubbliche popolari di Donesk e Lugansk. La Russia, benché abbia accettato la giurisdizione della Corte in relazione alla citata Convenzione sul genocidio, nel caso concreto, con una memoria, ha contestato le basi giuridiche del ricorso.

Si noti che la Corte, in data 16 marzo 2022, ha tempestivamente confermato la sua giurisdizione e competenza alla luce della sua giurisprudenza specifica sul genocidio (Gambia c. Myanmar, 23-1-2020; Armenia c. Azerbaigian, 7-1-2021) e, sulla base degli elementi offerti, ha adottato una importante misura cautelare provvisoria, (Order-Ucraine c. Russian Federation), ex art.41 dello Statuto, intimando alla Russia la sospensione immediata delle operazioni militari (con 13 voti di giudici a favore e due contrari, quelli russo e cinese). Si tratta di una decisione molto importante per le regole su cui deve essere fondato l’ordine internazionale. Si deve constatare che l’ordinanza non è stata eseguita ed è mancata l’effettività che doveva essere assicurata dal Consiglio di Sicurezza (art.94, par.2), nel quale organo la Russia ha diritto di veto.

In via di principio l’Assemblea delle N.U. potrebbe adottare una Risoluzione che superi il veto, sul modello di quella originaria del 3 novembre 1950 sul caso coreano (Uniting for Peace), che fu adottata profittando dell’assenza dell’URSS. Il ruolo dell’Assemblea Generale è stato via via crescente anche in numerosi altri conflitti successivi: questione palestinese; questione di Suez; questione ungherese; questione indocinese; questione di Cipro; questione del Kashmir; questione algerina; questione libanese e soprattutto in molti conflitti in Africa; la Carta non ha preso in considerazione l’ipotesi che un membro permanente del Consiglio di Sicurezza fosse direttamente implicato nella decisione.

Si ritorna al tema, comunque, di una riforma ragionevole ed urgente del modello delle Nazioni Unite, nel segno di una maggiore universalità ed efficacia (anticipata da oltre mezzo secolo da autorevole dottrina – tra gli altri già dagli anni 50 del secolo scorso il Prof.  Rolando Quadri[ix] – di cui è parte anche la Corte internazionale di giustizia de L’Aia.

Si può osservare che gli invocati mutati equilibri geopolitici a livello globale (in nome del realismo politico) a favore di Russia, Cina, India ed altri Paesi del BRICS, in via di principio, dovrebbero favorire una maggiore universalità del modello delle Nazioni Unite, rafforzando anche e non indebolendo la giustizia internazionale, a favore dell’esclusivo utilizzo di mezzi pacifici per la risoluzione delle controversie. Esattamente il contrario di quello che sta avvenendo.

4.3 Corte Penale Internazionale

Anche questa istituzione[x] è stata coinvolta nella crisi ucraina. Questa Corte, istituita in epoca più recente con lo Statuto di Roma del 1998, ratificato da 123 Governi, operativa dal 1° luglio 2002, ha sede a L’Aia e ha già elaborato una interessante giurisprudenza su un certo numero di casi: Uganda, Nigeria, Costa d’Avorio, Sudan, Libia, Congo, Repubblica Centro Africana, Palestina, Iraq, Afganistan, Georgia, Honduras, Venezuela ed ora Ucraina.

Questa Istituzione tende a coprire il settore penalistico più grave anche nella dimensione internazionale e va dunque incoraggiata e rafforzata. Si tratta – a nostro parere – di una istituzione necessaria per la protezione dei fondamentali valori umani anche con gli strumenti penali, destinata ad un rafforzamento ulteriore strutturale e permanente. Oggi rimane nella competenza nazionale la categoria dei crimini transnazionali in base alla Convenzione di Palermo del 12-15 dicembre 2000: crimine ecologico internazionale, crimine di traffico internazionale di droga, crimine di traffico internazionale di migranti, crimine di traffico internazionale di minori, crimine di traffico internazionale della prostituzione, crimine internazionale a mezzo di strumenti informatici, crimine di violenza e propaganda ispirati alla guerra e all’odio religioso o razziale, crimine di terrorismo internazionale. Esiste una buona collaborazione dei procuratori e giudici e degli organi di polizia di vari Paesi per l’efficace repressione dei reati sopra indicati. Per la distinta categoria dei crimini internazionali, la competenza è della Corte Penale Internazionale ed è limitata solo alle seguenti categorie: genocidio; crimini contro l’umanità; crimini di guerra; aggressione. Il crimine di aggressione è stato aggiunto con un Accordo successivo a Kampala nel 2010.

Per aggressione si intende “la pianificazione, la preparazione, l’inizio, l’esecuzione da parte di una persona in grado di esercitare effettivamente il controllo o di dirigere l’azione politica o militare di uno Stato di un atto di aggressione che per carattere, gravità e portata costituisce una manifesta violazione della Carta delle Nazioni Unite del 26 giugno 1945”. Si noti il riferimento alla “persona” opersone” come responsabili.

Mentre la Corte internazionale di giustizia accerta la responsabilità degli Stati, la Corte penale internazionale accerta la responsabilità penale di individui, che di fatto, con la condotta tipizzata, si sono resi responsabili dei crimini, chiudendo il cerchio degli autori dell’illecito[xi]. Purtroppo per ragioni diverse vari Paesi non fanno ancora parte di questa Istituzione: USA, Cina, Russia, India, Iran, Israele.

Nel caso in esame, l’Ucraina ha accettato la giurisdizione della Corte, con Dichiarazione del 20 febbraio 2014, ma non ha ancora ratificato gli emendamenti relativi al crimine di aggressione di cui alla Conferenza di Kampala del 2010. La Russia dal 16 -11-2016 è fuori dallo Statuto di Roma.

Questi ostacoli formali non hanno impedito (motu proprio) al Procuratore presso la Corte di avviare una indagine preliminare, già a partire dal 28 febbraio 2022, per crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi in territorio ucraino. Il Procuratore ha richiesto la collaborazione delle varie procure europee e di Eurojust ed i Ministri di Giustizia del G7 si sono pronunciati a favore di una rete di indagini coordinata. Hanno offerto collaborazione 41 Stati, tra cui l’Italia. Secondo Reuters (marzo 2023) alcuni mandati di arresto di funzionari russi sarebbero già pronti per crimini di guerra e genocidio ed attendono l’approvazione del giudice delle indagini preliminari della Corte.

È noto che la Corte Penale Internazionale, organo di notevole rilevanza anche politica, non può procedere in contumacia ed appare difficile l’arresto dei responsabili, la loro estradizione o consegna spontanea. Si tratta tuttavia di reati gravissimi imprescrittibili e vi è speranza che il quadro possa mutare[xii]. La semplice imputazione avrebbe comunque un effetto politico enorme a livello mondiale. Mentre correggevamo il presente testo, è giunta notizia di un mandato di arresto, emesso in data 17-3-2023, dalla Camera preliminare della Corte Penale Internazionale de L’Aia contro il Presidente Vladimir Putin e Maria Lvovo-Belova, Commissaria governativa per i bambini, con l’accusa della esistenza di basi ragionevoli di una loro responsabilità individuale per il trasferimento illegittimo di un gran numero di bambini e adolescenti ucraini in Russia, costituente crimine di guerra ai sensi della quarta Convenzione di Ginevra. La prima conseguenza giuridica è divenuta quella dell’obbligo della misura dell’arresto degli indiziati da parte di uno qualunque dei 123 Stati firmatari del Trattato di Roma, ove gli indiziati stessi si trovino sul loro territorio, come avvenuto per casi analoghi (Milosevic, ex Yugoslavia; Omar Bashir, Sudan; Muammar Gheddafi, Libia).

La reazione di Mosca è stata nel senso di escludere la giurisdizione della Corte, perché la Russia non è ora parte dello Statuto di Roma; nel merito, Mosca deduce la infondatezza dell’accusa perché il trasferimento di minori dalle zone di guerra sarebbe avvenuto per la loro migliore protezione umanitaria ed un certo numero di minori sarebbe stato già restituito.

Diversa è stata la reazione di Kiev che indica la cifra di 16 mila bambini e adolescenti trasferiti. La Corte ha acquisito elementi di prova su circa 600 casi nel corso dell’ultimo anno secondo alcuni criteri (luogo di origine; luogo di destinazione; strutture di riferimento; numero effettivo dei minori coinvolti; reazioni delle famiglie; mezzi di trasporto utilizzati e date; pianificazione e coordinamento; finalità dichiarate e realtà di fatto; numero e identità dei minori restituiti; riscontri in documenti, atti e registri pubblici; foto; testimonianze…).

A parte l’aspetto simbolico e la obiettiva rilevanza politica dell’iniziativa della Corte, si sottolinea la necessità che il procedimento in corso continui, ma anche l’impossibilità di anticipare valutazioni di merito che richiedono il tempo necessario per il giudizio; senza negare la gravità dei fatti contestati in relazione alla dignità umana delle persone coinvolte ( famiglie ed ancor più i minori) e la necessità dell’accertamento della verità nei confronti degli autori dei crimini commessi, con la loro personale eventuale responsabilità penale, ci si domanda  quale possa essere l’impatto sulla auspicata soluzione diplomatica del conflitto ,che è un obiettivo distinto e  collettivo, egualmente necessario, da perseguire).

4.4 Tribunale speciale ad hoc per l’Ucraina

L’idea di creazione di un Tribunale ad hoc per il conflitto in Ucraina sorse subito dopo l’invasione e fu proposta dal Presidente ucraino Zelensky e da autorevole dottrina (Philippe Sands, University College di Londra, in un articolo sul Financial Times del 28-2.2022, promotore di una petizione specifica). Più recentemente vi è stata una richiesta formale, politicamente rilevante in tal senso, del Parlamento dell’Unione Europea, con la Risoluzione del 23 novembre 2022, n.2022\2896, condivisa dalla Commissione Europea[xiii]. A proposito di questo organismo si osserva quanto segue:

  • Può essere creato con una Risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (oppure con modalità e caratteristiche diverse: Accordo Ucraina con UE; Accordo Ucraina con Consiglio di Europa; Accordo Ucraina con altri Stati).
  • Il carattere speciale del Tribunale risponderebbe all’esigenza di superare l’ostacolo formale del veto del Consiglio di Sicurezza da parte di un membro permanente del medesimo (basta la maggioranza dei due terzi dell’Assemblea Generale delle N.U.) e sarebbe giustificato da ragioni molto gravi di necessità ed urgenza: un crimine eclatante di aggressione e ripetuti atti di terrorismo e genocidio contro un intero popolo;
  • L’Organismo, nuovo e temporaneo, avrebbe tuttavia solo un ruolo rafforzativo ed integrativo rispetto a quello strutturale e permanente della Corte Penale Internazionale, già interessata ad indagini: osserviamo che il recente mandato di arresto contro Putin del 17-3-2023 della Corte Penale Internazionale sembra assorbire la competenza e rendere inopportuno un Tribunale speciale anche per ragioni politiche oltre che tecniche.
  • La scelta di un Tribunale Speciale ha vari precedenti nella prassi a livello internazionale: Tribunale di Norimberga; Tribunale per la ex Iugoslavia; Tribunale per il Rwanda; Tribunale per la Sierra Leone; Tribunale per la Cambogia; Tribunale per il Libano; Camera Straordinaria Africana per il Senegal; Tribunale speciale per il Kossovo;
  • La scelta dovrebbe comunque essere accompagnata da una adeguata legittimazione a livello globale e dal punto di vista giuridico dovrebbe accertare eventuali responsabilità personali di Vladimir Putin e del gruppo ristretto di politici e militari della dirigenza russa;
  • La scelta non dovrebbe criminalizzare il popolo russo e non dovrebbe interferire con la distinta responsabilità giuridica e politica dello Stato russo verso un altro Stato sovrano, con separata competenza della Corte internazionale di giustizia, già coinvolta.

In conclusione, come era doveroso, finora sono stati attivati o promossi tutti gli strumenti giuridici esistenti ma ancora senza risultati apprezzabili. Si deve osservare che in ogni civiltà giuridica i sistemi di garanzia debbono poter funzionare sempre ed avere una loro continuità. Il vero nodo giuridico e politico sembra il seguente: il conflitto, nella logica della Federazione russa, è locale ed anche globale nel senso di ottenere un ridimensionamento dell’Occidente a livello geopolitico. Questo secondo obiettivo politicamente richiede tempo e giuridicamente condizioni da definire: sembra da escludere che l’Occidente abbia interesse a provocare uno smembramento complessivo del sistema istituzionale della Russia, ossia un danno ancor più grave generale agli equilibri globali. A riprova di ciò si può osservare che non vi furono reazioni violente per le modalità utilizzate per l’annessione della Crimea nel 2014, ma solo una riprovazione di principio di portata limitata. Ben diverse sono apparse le reazioni per l’aggressione dell’Ucraina nel suo insieme nel febbraio 2022 (non solo degli USA, ma dell’Europa e anche di Paesi tradizionalmente neutrali come Finlandia e Svezia, preoccupati per la loro sicurezza).

  1. Per un nuovo diritto internazionale in tema di pace, giustizia e ambiente

5.1 Priorità dei temi connessi pace, giustizia e ambiente

La guerra in Ucraina offre lo spunto per ulteriori riflessioni, in particolare sull’ambiente, tema strettamente legato alla pace. Se gli strumenti giuridici internazionali di giustizia nella crisi ucraina non possono funzionare in modo efficace, non vi si può rinunziare e non resta che lavorare per rimuovere gli ostacoli. La debolezza degli strumenti internazionali di giustizia riguarda l’intero diritto internazionale e quindi anche la protezione del nuovo interesse ambientale. La politica internazionale, perciò, deve recuperare il suo ruolo di promozione di un nuovo ordine internazionale per la sicurezza e la pace, valorizzando anche la novità dell’ambiente comune ed il nuovo paradigma energetico come elementi unificanti. Secondo il nostro punto di vista, la guerra in Ucraina consente una riflessione sulla novità ed importanza dell’ambiente anche ai fini della sicurezza e della pace. Il possesso di energie fossili è stato utilizzato dalla Federazione russa come arma contro l’Occidente, sia pure come ritorsione alle sanzioni. Secondo la nostra opinione, l’ordine mondiale auspicato deve tenere conto come priorità del valore ambiente, in tutte le sue implicazioni anche geopolitiche: tale valore ed interesse, essendo comune, può aiutare la pace. La diplomazia non può sottovalutare questo aspetto. Non valutando adeguatamente il nuovo rapporto pace-ambiente, sentito fortemente dalle nuove generazioni, la Federazione russa, dal nostro punto di vista, ha commesso un errore politico. Si aggiunga la ripetuta insistenza nella minaccia dell’uso di armi nucleari, strumenti di morte generali per l’uomo e la natura vivente[xiv].

5.2 Priorità per sicurezza nucleare pace giustizia e ambiente

Deve sottolinearsi che la sicurezza nucleare è anche un problema ambientale, una assoluta priorità globale e non può essere utilizzata irresponsabilmente come componente per sfere di influenza geopolitiche! Il mondo è alla ricerca di una vera governance globale[xv] per i grandi valori collettivi come ambiente, pace e giustizia; esso è già cambiato nei suoi equilibri geopolitici per effetto della decolonizzazione, dello sviluppo economico, del commercio internazionale, della tecnica, dei mezzi nuovi di comunicazione e non può accettare la mortificazione dei valori universali di giustizia e, addirittura, le irresponsabili minacce dell’utilizzo di nuove armi, comprese quelle nucleari contro l’intero Occidente.

5.3 Priorità della risposta al mutamento climatico

I nuovi problemi legati al mutamento climatico globale sono un esempio eclatante del legame pace, giustizia e ambiente. Il mutamento climatico non impedisce, anzi può e deve favorire un maggiore equilibrio geopolitico, in nome dei principi di solidarietà e collaborazione tra i popoli. Il Pianeta, nella sua unitarietà, non può tollerare più, in un arco temporale ristretto, l’ulteriore utilizzo di energie fossili (carbone, petrolio, gas) non favorevoli all’ambiente: questo vale per la Russia ed i Paesi del Golfo Persico, possessori di energie fossili, destinate a non più essere estratte, commercializzate ed utilizzate. Occorre intervenire in radice.

5.4 Intervenire sulla estrazione delle energie fossili con una specifica normativa internazionale

La Fondazione ICEF ha sollevato per prima, con coerenza e indipendenza di giudizio, in vari Convegni e pubblicazioni, a partire dalla partecipazione alla Conferenza di Parigi sul clima del 2015, il problema sotteso dellaproduzione, inteso come possesso, estrazione e commercializzazione delle energie fossili. Tale problema, anche concettualmente, va tenuto distinto da quello finale delle “emissioni”, per la diversità dei soggetti ed interessi coinvolti, le implicazioni ambientali ed i riflessi sulla sicurezza e sulla pace[xvi].  Il Presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella ha manifestato autorevolmente e ripetutamente interesse ed apprezzamento per le iniziative scientifiche dirette alla conoscenza del mutamento climatico in atto, che è grave ed accelera il suo corso e per la necessità di una concorde risposta economica, sociale ed istituzionale[xvii].

Una verità ecologica questa elementare che viene nascosta e mistificata e che va ricercata con obiettività a livello scientifico e affrontata realisticamente.

Sottovalutare questo aspetto, che è reale, e attivare addirittura una guerra di aggressione nel cuore stesso dell’Europa, cagionando una crisi energetica, utilizzando l’energia di origine fossile come arma e ritardando la risposta alle nuove esigenze ambientali, costituisce una grave responsabilità culturale oltre che politica della dirigenza russa.

Il problema energetico ha giocato un ruolo importante in molti conflitti (Libia, Siria, Iran, Irak), aumentando il potere degli Stati grandi possessori di energie di origine fossile (come Russia, Arabia Saudita ed altri Paesi del Golfo Persico). Il possesso di tali energie, per ragioni economiche e di potenza, ha seguito un percorso distinto e autonomo da quello finale delle emissioni climalteranti, aggravandolo ulteriormente. Il paradosso è che grandi Paesi come Cina, India e USA, che pur posseggono tali energie, sono anche i primi nel mondo per emissioni: si tratta all’evidenza di logiche diverse tra tutela ambientale e   possesso sovrano delle risorse.

La guerra in Ucraina ha ulteriormente evidenziato l’inconciliabilità tra i due aspetti. Questa confusione è trasversale e riguarda anche le N.U. e l’IPCC che guardano solo alle emissioni: osserviamo che se una produzione è in sé divenuta pericolosa per l’ecosistema terrestre, occorre valutarla come tale unitariamente, cioè prevenire e rimuovere le cause, non solo inseguire gli effetti (le emissioni finali). Occorre una diversa filosofia di risposta che sia capace di imporsi anche ad equilibri geopolitici che sembrano intoccabili. Non ha senso continuare a promuovere, se non compatibili con l’ambiente, nuove vie navali per l’Artico da parte della Russia o nuove trivellazioni, come è avvenuto recentemente in una zona incontaminata dell’estremo nord dell’Alaska, ad opera degli USA.

Non ha senso neppure fare passi indietro (principio giuridico di non regressione). Questo principio del diritto internazionale, nel caso della guerra in Ucraina, ha comportato un maggior potere degli Stati possessori di fonti energetiche di origine fossile, un ritardo nella dismissione delle fonti più inquinanti (nell’ordine: carbone, petrolio, gas naturale); programmi di perforazione in nuove aree con conseguenti costi per l’ambiente comune, considerato come ecosistema unitario complessivo. A ben considerare anche il sistema delle norme giuridiche in tema di sicurezza (la riduzione graduale delle armi di distruzione e la loro non proliferazione) è stato influenzato negativamente da questo nuovo conflitto (aumento delle spese per armamenti, diminuzione della fiducia e collaborazione tra Stati verso il disarmo)[xviii].

Solo la natura, in una visione pessimistica, potrà risolvere questo problema con una risposta adeguata, secondo la sua logica! In una visione più fiduciosa, il passaggio in atto ad energie rinnovabili (nelle loro varie forme in una nuova economia) è possibile e può svolgere un ruolo decisivo se non ritardato. Si tratta di una necessità che non va ostacolata, perché imposta dagli stessi equilibri naturali, secondo l’opinione prevalente del mondo scientifico.

Anche il nucleare di nuova generazione rischia di essere ritardato, se la priorità si sposta addirittura sulle armi.  Meritano infine di essere promossi gli studi e le applicazioni in corso sulla fusione nucleare (promettenti esperimenti condotti dal Lawrence Livermore Laboratory in California lasciano ben sperare). In prospettiva il bene primario acqua è prezioso per l’Europa a causa del mutamento climatico, molto più del gas e una Russia amica potrà garantirlo nell’avvenire dalla Siberia e dall’Artico. Il mercato, caro ai Cinesi, non basta a garantire un equilibrio stabile; la politica coloniale occidentale giustamente superata, non può essere riproposta da nessun Paese (compresi Cina e Russia), in forme diverse, in Africa.

  1. Per un nuovo ordine internazionale in tema di pace, giustizia e ambiente

Si ritorna necessariamente anche in nome dell’ambiente al tema di un nuovo ordine mondiale.

6.1 Ordine internazionale come diritto umano.

Sembra opportuno su questo tema distinguere le legittime aspirazioni ideali dai principi giuridici già acquisiti o in itinere. Quale è la valenza giuridica del concetto di “ordine internazionale”?

Il concetto di “ordine internazionale” è menzionato come diritto di ogni individuo e come condizione per la piena realizzazione degli altri diritti, dalla nota Dichiarazione universale dei diritti umani delle N.U. del 1948 (art. 28). Si tratta di una autorevole” raccomandazione” giuridica che appare significativa. Osserviamo che se si tratta di un nuovo diritto umano, strutturale e di base, perché condizione per la realizzazione effettiva degli altri diritti umani,(  un diritto umano nuovo rientrante nei “diritti politici” in senso ampio) esso deve poter  godere delle garanzie giuridiche di tutti gli altri diritti umani, sulla base dei Patti internazionali e delle Convenzioni sopravvenute nella materia ( che sono strumenti giuridici più forti).

Secondo il nostro punto di vista questo punto merita di essere approfondito e valorizzato. Si noti la novità di questa prospettiva culturale e politica ed ora giuridica, che risale a circa 80 anni fa, che fonda l’ordine sociale ed internazionale sul ruolo attivo e partecipativo delle singole persone umane ,accomunate da una sorta di comune fratellanza universale (e coerentemente anche sui popoli nella Carta africana e nella Risoluzione dell’Assemblea delle N.U.n.39\II del 12 novembre 1984). Gli Stati non sono quindi gli unici attori e sono chiamati in primo luogo ad un dovere di rispetto e protezione di un diritto umano nuovo. L’ordine internazionale come diritto umano ridimensiona in tal modo lo stesso ruolo della diplomazia, quando è improprio.

6.2 Ordine internazionale come esigenza reale di tutte le componenti umane

In relazione a tale fenomeno si segnala, in punto di fatto , che anche nella dottrina, quale che sia il linguaggio utilizzato (ordine internazionale, ordine globale, governance globale, governo mondiale, autorità politica mondiale), si esprime sempre una esigenza reale: il ruolo necessario degli Stati deve essere conservato e rafforzato a livello orizzontale della reciproca collaborazione, ma anche integrato con organi internazionali amministrativi e giurisdizionali di garanzia per assicurare una reale effettività della protezione dei comuni bisogni e diritti umani (in primo luogo il diritto umano alla pace di ogni individuo, ribadito anche dalla Dichiarazione sul diritto alla pace delle N.U.). L’ordine internazionale non deve dunque rimanere legato solo a generiche aspirazioni o essere affidato soltanto alle diplomazie nazionali, ma essere strutturato con un autonomo respiro internazionale, in funzione dei bisogni comuni globali da soddisfare con norme adeguate ed organi internazionali di attuazione riconosciuti, dotati di specifici poteri. Si tratta di una evoluzione necessaria come risposta al fenomeno complessivo della globalizzazione in tutti i suoi aspetti.

6.3 Ordine internazionale imposto dalla giustizia climatica

In attesa di un impegno più forte e specifico anche della giustizia internazionale, appare significativa la risposta della giustizia nazionale in alcune decisioni pilota.

Questo chiedono le nuove generazioni, ad esempio quando invocano una giustizia climatica non solo nazionale. Questo ha già avvertito la giurisprudenza sul clima in itinere. In molti Paesi vi è stata già una evoluzione della giurisprudenza ambientale nazionale verso una nozione unitaria del concetto di ambiente in senso oggettivo ed una nozione unitaria del concetto di ambiente come diritto umano universale in senso soggettivo. Questa tendenza anticipata dalla giurisprudenza, è stata formalmente confermata nel 1992 dalla apposita Convenzione di Rio de Janeiro: clima come “insieme di atmosfera, idrosfera, geosfera con le loro interazioni” (art.1, punto 3). Il ruolo della giurisprudenza anche di livello costituzionale sollecita i Governi a dare concreta attuazione alle norme internazionali (in tema di clima) ed ai provvedimenti amministrativi di riferimento. L’Accordo di Parigi sul clima del 2015 è stato già considerato come “primo accordo universale giuridicamente vincolante[xix].

Gli enti internazionali esistenti e le multinazionali in gran numero nei vari settori, se rimane solo la sovranità orizzontale assoluta dei Governi, non possono costruire da soli l’ordine internazionale.

6.4 Ordine internazionale imposto dalla globalizzazione

La globalizzazione costituisce il punto comune di riferimento per i nuovi aspetti giuridici e politici e non si può tornare indietro: ha due facce, egualmente necessarie (una verso l’alto ed una verso il basso) e appare fisiologica la dialettica tra sovranisti e globalisti. L’economia, i commerci, la finanza, le multinazionali, le nuove tecnologie della comunicazione, hanno svolto un ruolo di stimolo verso la globalizzazione ed una società aperta con effetti positivi, ma hanno   evidenziato anche i loro limiti da riconoscere e superare. Per semplificare, guardando alle linee essenziali, l’economia, principale motore della globalizzazione, come oggi strutturata, da sola non ha potuto risolvere il problema della pace tra i popoli e ancor meno quello della pace con la natura.

6.5 Ordine internazionale imposto dalla cultura dei diritti umani nella loro evoluzione interna

Anche la cultura dei diritti umani, in sé positiva, non ha potuto finora risolvere il problema della pace e della protezione ambientale. Tuttavia la cultura dei diritti umani, nella sua profonda evoluzione interna, evolve nel segno della necessaria solidarietà e  responsabilità a favore della pace e della protezione comune dell’unico ambiente terrestre: i diritti di libertà, i diritti politici, i diritti economici, sociali e culturali restano importanti per la dignità umana, ma sono chiamati a favorire un nuovo diritto umano, il diritto ad un ordine mondiale  (individuale e collettivo) che renda davvero possibile la pace in un ecosistema terrestre unitario sostenibile. In questo quadro  muta anche il ruolo delle persone, dei popoli, degli Stati e della Comunità internazionale: le persone, come monadi intelligenti e vive, insieme con i popoli si dispongono a costruire insieme pace, giustizia e ambiente; gli Stati sanno che la sovranità appartiene al popolo ed essi sono chiamati a favorire un ordine sociale complessivo secondo nuovi principi (di prevenzione, precauzione, solidarietà, fratellanza comune e responsabilità, anche a favore delle generazioni future),un ordine sociale nuovo che assicurando pace, giustizia e ambiente, costituisca il presupposto per un esercizio corretto degli altri diritti umani .Questa evoluzione culturale spinge verso un nuovo ordine sociale globale che escluda in radice la legittimità della guerra come strumento per la soluzione delle controversie internazionali e l’esercizio del potere per finalità di potenza al di fuori dalle regole internazionali.

6.6 Ordine internazionale “strutturato” e sovraordinato per pace, giustizia e ambiente

La consapevolezza dei limiti della finanza internazionale, dell’economia, del commercio internazionale, è ora cresciuta e si ricerca un più maturo ordine internazionale. La guerra in Ucraina ha dimostrato drammaticamente questa necessità: la struttura dell’ordine mondiale attuale è ancora carente in uno dei suoi pilastri fondamentali (la sicurezza e la pace)[xx]. Questo convincimento era da lungo tempo presente anche nel mondo religioso, capace di anticipazioni culturali importanti, che sembra opportuno riconoscere.

6.7 Ordine internazionale e contributo del mondo religioso

Una “Autorità politica mondiale” – concetto distinto dalla collaborazione orizzontale pur necessaria tra Stati – veniva anticipata dal grande pontefice Giovanni XXIII nella sua enciclica” Pacem in Terris” già nel 1963, significativamente nata da un impegno diretto del Pontefice per prevenire (come avvenne) un pericoloso conflitto nucleare nella crisi dei missili a Cuba tra USA e URSS (1962)[xxi]. Riteniamo in via generale opportuno che l’impegno per la pace sia collegato alla richiesta innovativa di una Autorità Politica Mondiale, definita in termini giuridici, per favorire l’ordine globale carente[xxii].

Per il governo della globalizzazione si proponeva già allora (1963) un grado superiore di ordinamento internazionale (nelle norme e negli organi), capace di assicurare effettività, osservanza della giustizia e rispetto dei diritti.

In questa logica il diritto internazionale, secondo l’enciclica, doveva poter operare nei grandi settori assicurando unitarietà di visione e scelte coerenti ed integrate: governo dell’economia; disarmo integrale per le armi nucleari; pace; salvaguardia dell’ambiente; sicurezza alimentare; flussi migratori[xxiii]

  1. Quali regole giuridiche per un nuovo ordine mondiale?

A distanza di sessanta anni dalla crisi dei missili di Cuba si ripropone la stessa paura di un disastro nucleare. Per questo il conflitto russo-ucraino, nel cuore dell’Europa, ha avuto grande incidenza, sia pure differenziata, in tutti i Continenti nella pubblica opinione. I governi sono stati costretti a ripensare le loro relazioni economiche e politiche, alla luce degli sviluppi futuri possibili del nuovo conflitto: l’ordine internazionale esistente è stato già messo in discussione ed è in movimento.

L’aumento del costo degli idrocarburi, la necessità della diversificazione energetica, 8 milioni di profughi dall’Ucraina verso i Paesi vicini in Occidente, la minore offerta di grano anche per Paesi lontani (es. del Sahel), le minacce ripetute di utilizzo di armi nucleari… sono già effetti con valenza internazionale, che hanno avuto ripercussioni dirette ed indirette in tutti i continenti. Il conflitto russo-ucraino ha già inciso sull’ordine internazionale esistente in modo significativo[xxiv].

Secondo l’autorevole studioso britannico Mark Leonard[xxv], la guerra in Ucraina, nel cuore dell’Europa, ha inaugurato un’era di non pace, perché la connettività non regolata può portare a conflitti: le forze della globalizzazione e la stessa interdipendenza (commercio, migrazioni, tecnologia ed internet) possono essere usate come arma politica e militare. Si tratta di constatazione realistica condivisibile: occorre perciò una connettività regolata.

In un mondo globalizzato la interdipendenza e la connettività diventano inevitabili, ma vanno valorizzate per gli aspetti positivi per far progredire il diritto internazionale. Nuove regole sono invocate in tema di finanza internazionale, di paradisi fiscali, di localizzazione di imprese in violazione dei diritti umani, di protezione dell’ambiente comune per la sostenibilità complessiva. Lo stato attuale dell’ordine mondiale è diverso da quello costruito 80 anni fa dopo la II guerra mondiale (come dimostra il modello allora creato delle Nazioni Unite con i suoi organi e quello degli enti internazionali economici e finanziari, Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale, Organizzazione internazionale del commercio).

Il modello attuale auspicato, nel segno di una ulteriore universalizzazione, deve conservare quanto è valido del modello precedente, modificandolo ed integrandolo per rispondere meglio alle sfide sopravvenute. In tema di sicurezza e pace il modello di ordine mondiale del 1945 va certamente adattato alle nuove esigenze.

Una riforma delle Nazioni Unite appare ora necessaria in relazione ai fatti sopravvenuti, dando maggiori poteri all’Assemblea Generale e comunque disciplinando, con nuovi criteri e parametri, il ruolo del Consiglio di sicurezza, compreso il diritto di veto.

7.1 Trattati più avanzati contro armi chimiche e nucleari

Oltre agli strumenti giuridici già intervenuti, in tema di armi chimiche e nucleari (Trattati da conservare e migliorare senza sospensioni, come preannunciato dalla Russia recentemente) sembra necessaria una riflessione culturale ulteriore e più profonda sui concetti di pace e giustizia. Se gli equilibri geopolitici globali tendono a modificarsi, come può essere comprensibile, l’ordine mondiale come garanzia per tutti in tema di sicurezza e pace, deve continuare e rimanere per gli aspetti fondamentali condivisi. È l’apparato globale delle armi che deve essere controllato con più rigidi criteri su scala mondiale.

7.2 Motivi di speranza sulla evoluzione della cultura umana della pace

Motivi di speranza non mancano: il 4 marzo 2023, sotto l’egida delle Nazioni Unite, è stato sottoscritto da più di cento Governi (compresi Usa, Cina, Russia ed Europa) un Trattato per la protezione dell’alto mare. Motivi di speranza e di pace sono suggeriti anche dalla ricerca spaziale e dalla esplorazione in comune dello spazio, che meritano di divenire prioritarie anche negli investimenti economici. Ritornando al tema oggetto del presente contributo, si può osservare che la guerra in Ucraina ha evidenziato due ordini di problemi: quello legato ad un conflitto localizzato con specifiche problematiche (Crimea e Donbass); quello relativo agli equilibri di poteri ed interessi dell’Occidente e di altri grandi Paesi come Russia e Cina. Si aggiunga il ruolo non ancora ben definito di altri Paesi del mondo come India, Indonesia, Sud Africa, Brasile e numerosi altri di minor peso.

È mancata finora, nel caso della guerra in Ucraina, una vera risposta giuridica e politica in tema di sicurezza globale e di pace, per responsabilità degli Stati della Comunità internazionale e anche per un ritardo della cultura umana complessiva che non ha ancora elaborato una vera risposta condivisa dalle persone reali e dai popoli, nonostante l’esperienza di tante guerre e conflitti per secoli. I legami creati dalla globalizzazione possono produrre frutti avvelenati di rassegnata assuefazione, se nella loro intrinseca qualità non danno spazio ad una Governance globale condivisa. Come esiste una struttura a livello orizzontale che si esprime negli Stati nazionali, così occorre una struttura nell’ordine internazionale capace di reagire attraverso regole ed organi che assicurino la cornice per prevenire i frutti avvelenati della globalizzazione: tra questi anche la tentazione ad estendere aree di influenza con la legge della forza. Negli ultimi decenni-come già accennato- abbiamo assistito ad un fenomeno globale nuovo che interessa la natura e l’ambiente complessivo terrestre ed abbiamo notato il crescere rapido dell’interesse e della preoccupazione, perché la coscienza umana ha avvertito in profondità una minaccia esterna, indipendente dai tradizionali conflitti propri degli uomini: in questo caso si è giustamente invocata una non facile governance globale. E non è utopistico immaginare che la crisi ambientale attenui l’aggressività umana, l’arroganza, l’egoismo, la tentazione diabolica di negare o mistificare la realtà del male: la natura nei suoi equilibri fondamentali ha una sua autonomia e una fortissima capacità di reazione. Di fronte alla disastrosa e diffusa situazione umanitaria dell’Ucraina, la coscienza umana dovrebbe reagire con più forza in ogni parte del mondo!

7.3 Fatti sopravvenuti che impongono una governance globale

Tornando al tema della governance globale e dell’ordine mondiale, un rapido raffronto tra la situazione dopo la fine della II guerra mondiale e la situazione attuale convince di quanto il mondo è cambiato. I fatti sopravvenuti, anche nelle loro dinamica interna ed integrazione, lo dimostrano in modo evidente, se considerati nel loro numero e nella loro qualità con un riferimento unitario unico, la sostenibilità dell’ecosistema terrestre:

  • l’arma nucleare;
  • la decolonizzazione e la creazione di circa 150 nuovi Stati;
  • la crescita della popolazione mondiale;
  • l’emersione del nuovo problema “ambiente”, prima come inquinamento e poi addirittura come minaccia climatica per l’intero ecosistema terrestre;
  • l’importanza della biodiversità (ecosistemi viventi amici degli umani) per la lotta climatica;
  • l’importanza del bene acqua in conseguenza di desertificazione e siccità;
  • l’importanza politica e sociale dei diritti umani universali (civili e politici; economici, sociali e culturali; collettivi di terza generazione, come pace, ambiente e sviluppo sostenibile);
  • l’importanza della nuova filosofia dei doveri umani per sostenere i diritti delle generazioni future;
  • l’importanza di un ruolo attivo e partecipativo del corpo sociale nel suo insieme;
  • l’importanza degli strumenti nuovi di comunicazione (internet, reti, siti, in aggiunta a stampa e televisione);
  • l’importanza del modello di città sostenibili nel quadro complessivo del governo del territorio;
  • l’importanza di una regolamentazione equilibrata dei flussi migratori per finalità economiche, ispirata a solidarietà ed anche ad un reale inserimento sociale attraverso il lavoro;
  • l’importanza della ricerca scientifica comune in tutti i grandi settori;
  • l’importanza di sviluppare iniziative comuni nella esplorazione dello spazio;
  • l’importanza di un nuovo tipo di Missioni umanitarie di Pace, finalizzate all’aiuto e soccorso delle popolazioni colpite da eventi estremi come terremoti, uragani, maremoti, siccità, povertà, carenze sanitarie;
  • l’importanza di assicurare il ruolo di garanzia della giustizia in generale;
  • l’importanza della giustizia climatica, nazionale, continentale e internazionale.[xxvi]

Il principale problema sorto dopo la fine del secondo conflitto mondiale (l’arma nucleare), non ha trovato una soluzione. Non deve sorprendere che, a proposito della crisi ucraina, l’ONU lanci l’allarme: il rischio atomico è reale.

  1. Uno sguardo sul passato: dalla guerra giusta al “ripudio” oggi

Se la pace rientra davvero nel minimo di regole universali condivise a livello mondiale, si può ancora sperare nel futuro. Non sembri inopportuno uno sguardo culturale all’indietro. Come ricorda Sabino Cassese (“Guerra giusta e giusta pace”, Il Foglio, 19-7-2022) non sono mancati nella storia gli sforzi della cultura umana e del diritto per la creazione di un tessuto di regole, capaci di contenere l’uso della forza tra Stati e indirettamente l’aggressività umana: “Fin dai tempi di Agostino e di Tommaso si pensava che una guerra potesse essere giusta a tre condizioni: che fosse dichiarata da una autorità legittima; che fosse motivata da una giusta causa; che si svolgesse in modi legittimi.”

In tempi più vicini a noi si è costruito un diritto bellico specifico ed un parallelo diritto umanitario, per contenere guerre sempre più devastanti. Sembra utile domandarsi se il lucido pensiero di Agostino e Tommaso possa essere ancora attuale. Si può osservare:

Il primo pilastro, relativo alla autorità che può legittimare l’uso della forza, ora si è spostato dagli Stati ad una autorità sovranazionale in base alla Carta delle Nazioni Unite del 1945, salvo il diritto di difesa in prima istanza del Paese aggredito. È nato un nuovo modello collettivo di sicurezza e pace delle N.U. previsto dalla Carta del 1945, che deve poter operare. Esso si è rivelato inefficace a proposito della guerra in Ucraina, perché la Russia ha esercitato il diritto di veto e ha paralizzato la pronta risposta dell’intera Comunità internazionale. Occorre migliorare il modello (inteso come autorità legittima) e l’intuizione di Agostino e Tommaso rimane valida. La Russia ha violato il diritto internazionale, perché non aveva una legittima autorità per invadere il Paese confinante. L’unica Autorità legittima erano le N.U. e la giustizia internazionale per risolvere il conflitto.

Il secondo pilastro relativo alla causa giusta, cioè alla finalità, sempre nel caso della guerra in Ucraina, appare carente: non si vede una giusta causa per l’invasione di un altro Paese. La Russia ha cercato di indicare una giusta causa per l’intervento armato, ma senza riuscirci. La pretesa violazione di diritti umani nel Donbass poteva essere fatta valere in via preventiva davanti alla giustizia internazionale. Questa carenza è stata mistificata ex post dalla Russia perfino nel linguaggio: il termine” operazione militare speciale” è stato usato con riferimento ad un limitato territorio, ma si è invaso tutto lo Stato confinante; allo stesso tempo si sono invocate ragioni di sicurezza, senza coinvolgere le Nazioni Unite e senza alcuna interlocuzione formale con l’Occidente. Cercare di garantirsi nella sostanza un cordone di sicurezza lungo le frontiere europee in rapporto all’alleanza atlantica controllata dagli USA attraverso lo strumento della NATO, può essere comprensibile, ma occorre indicare la giustificazione ed i limiti in base al diritto internazionale e sulla base di fatti concreti e gravi. Anche per questo pilastro l’intuizione di Agostino e Tommaso rimane valida. La giusta causa per l’uso della forza va motivata in modo trasparente e aperto al confronto, anche a fini di prevenzione.

Il terzo pilastro relativo ai modi dell’uso della forza appare quello più grave. Si è cominciato l’intervento con armi e modalità convenzionali, per poi optare su metodi distruttivi indiscriminati dell’intero territorio del Paese vicino. Metodi punitivi generalizzati ed inconcepibili! Si è minacciato il possibile uso di armi nucleari di distruzione di massa con un chiaro riferimento all’Ucraina ed all’intero Occidente. Questa minaccia introduce una evidente sproporzione tra fine dichiarato (una limitata azione di polizia su un territorio di confine) e mezzi utilizzati. La minaccia nucleare appare comunque fuori da ogni criterio di moderazione e responsabilità.

Le tre condizioni della “guerra giusta” indicate da Agostino e Tommaso in termini generali in epoche lontane, non possono ritenersi sussistenti. Oggi a causa della esistenza stessa di armi nucleari, per loro natura distruttrici dell’uomo e della natura vivente, la nozione di guerra giusta viene rifiutata: la guerra non può essere più strumento di giustizia. Si può parlare di difesa giusta come eccezione contro una violenza in atto, arbitraria ed illegittima, in attesa del necessario intervento della Comunità internazionale; si deve parlare solo di disarmo e risoluzione dei conflitti a mezzo di strumenti pacifici di giustizia. E’ davvero mutato il quadro culturale di riferimento : tutti gli esseri umani sono uguali nella dignità naturale; tutti gli esseri umani sono fratelli, perché figli dello stesso unico Dio per i credenti delle religioni monoteiste ed anche sostanzialmente per la stessa cultura laica; tutti gli esseri umani invocano giustamente il riconoscimento e la protezione di un loro diritto umano universale alla pace e avvertono in sé il dovere di cooperare  nel costruire le condizioni della pace; tutti gli esseri umani sono per loro natura in relazione con i propri simili, per la loro natura sociale e la condivisione di valori comuni di libertà, giustizia, solidarietà.

I progressi nella evoluzione culturale sono stati reali e parzialmente recepiti a livello giuridico. A livello politico nei rapporti tra Stati il cammino da compere risulta ancora difficile, perché le comunità politiche nazionali accettano in via di principio la responsabilità di proteggere i diritti umani, ma non la integrazione in una sovraordinata comunità internazionale rappresentata da una vera Autorità politica globale e, di conseguenza, un ruolo, sia pure importante, di sussidiarietà.

Questo passaggio sembra necessario ed attuale, come dimostrato anche dal conflitto in Ucraina in corso, di cui ci siamo occupati.

In ordine a tale conflitto, pensiamo sinceramente che, per spezzare le catene della violenza e dell’odio, se non sono sufficienti gli strumenti giuridici e politici, occorre invocare i valori dello spirito che abitano in ogni uomo, religioso o laico che sia: la bontà, la misericordia, la compassione, la tolleranza, il perdono, l’amore reciproco che non conosce nemici. Questo messaggio vale per tutti i popoli coinvolti senza distinzione e può contribuire a trovare una soluzione di pace[xxvii].

Conclusioni

La guerra in Ucraina è tuttora in corso a distanza di più di un anno e non è possibile anticipare gli sviluppi e l’esito. Si è creata una situazione di stallo e di attesa che può favorire una riflessione sulla convenienza o meno di protrarre il conflitto, esaminando con realismo le prospettive future. Ci permettiamo associarci  -a titolo personale- alle voci che invocano prudenza ed equilibrio per una soluzione diplomatica giusta ed equilibrata del conflitto. Una soluzione è possibile con una valutazione realistica. Nelle presenti conclusioni ci si limita a richiamare il punto di riflessione principale: assicurare la stabilità dell’Ucraina ed il suo inserimento anche istituzionale nell’Unione Europea, senza rompere il rapporto di coesistenza e collaborazione con la Federazione russa. A tale scopo se il problema è quello di una definizione non più controversa dei confini, un plebiscito sotto controllo internazionale nel Donbass può essere una soluzione. Sulla penisola della Crimea, annessa dalla Russia nel 2014, senza una reazione degli USA e dell’Europa, si può ritenere non più opportuno e realistico riproporre il problema del ripristino della sovranità ucraina anche alla luce degli Accordi di Minsk che ebbero per oggetto il Donbass e non la Crimea.

Sul piano del metodo, sembra necessaria una verifica mirante ad ottenere il maggiore consenso possibile: un primo criterio (di razionalità, responsabilità e prudenza) consiste nel controllare il fenomeno, per evitare che degeneri e si allarghi: a tale scopo sembra saggio valorizzare gli strumenti giuridici e politici suggeriti dall’esperienza storica e dalla evoluzione del diritto internazionale; un secondo criterio  sembra quello  dell’ascolto di tutte le componenti umane che aspirano alla pace da parte delle Istituzioni politiche.

A tale scopo si propone che l’ONU promuova una Sessione straordinaria di discussione sulla sua riforma. L’ONU ha fatto quello che la Carta consentiva: attraverso la sua Assemblea Generale ha invitato la Russia” a ritirarsi incondizionatamente e immediatamente dall’Ucraina per una pace complessiva giusta e duratura”, come recita la Risoluzione del 24 febbraio 2023 (141 voti su 193), e può accompagnare il percorso politico della diplomazia con nuove iniziative.

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Pace giustizia ambiente e la guerra in Ucraina_

NOTE:

[1] Presidente onorario aggiunto Corte di Cassazione.

[2] Fondazione ICEF.

[i] L’oggetto del presente contributo costituisce un tentativo di applicazione alla guerra in Ucraina dei principi giuridici approfonditi nel testo “Ambiente, giustizia e pace”, a cura della Fondazione ICEF e del suo direttore Amedeo Postiglione, pubblicato da Aracne editrice, Roma, nel 2015, con la Prefazione di S.E. il Cardinale Turkson, Presidente del Pontificio Consiglio di Giustizia e Pace. In quel volume, facendo riferimento al quadro  dei diritti umani, (tra cui il diritto umano alla pace  ed il diritto umano all’ambiente), al loro fondamento etico e alle fonti giuridiche specifiche di riferimento, nel quadro di evoluzione del diritto internazionale complessivo, si tentò un approfondimento dei casi di numerosi conflitti (etnici, sociali, religiosi, economici ed anche ambientali), già verificatisi o in atto, distinti per Continenti e Paesi interessati e del ruolo svolto dalla Comunità internazionale, attraverso le Nazioni Unite e la giustizia sovranazionale ed internazionale.

[ii]La lunga marcia per un accordo globale sul clima: dal Protocollo di Kyoto all’Accordo di Parigi” è stata efficacemente descritta da Stefano Nespor in Rivista Trimestrale di Diritto Pubblico, 2016.

[iii]  Tullio Scovazzi, in Rivista Giuridica Ambiente, n.3-2017; dello stesso Autore: “La dimensione temporale del diritto internazionale: i diritti delle generazioni future”, in Rivista Giuridica Ambiente,2023

[iv] Basta fare cenno  sul principio di protezione delle generazioni future anche ad altre fonti successive: la Dichiarazione universale  dei diritti dell’uomo del 1948; la Dichiarazione di Stoccolma delle N.U. sull’ambiente umano del 1972; la Carta dei diritti e doveri economici degli Stati del 1974; la Carta mondiale della natura del 1982; il rapporto “Il nostro comune futuro” della Commissione mondiale sull’ambiente e lo sviluppo del 1987; la Dichiarazione della Conferenza delle N.U. di Rio de Janeiro del 1992; la Convenzione sulla diversità biologica firmata a Rio de Janeiro nel 1992; la Convenzione sui cambiamenti climatici firmata a Rio de Janeiro nel 1992; la Convenzione dell’Aia sulla protezione dei beni culturali in caso di conflitti armati, con vari Protocolli rafforzativi; la Convenzione UNESCO  sulla illecita esportazione, importazione e trasferimento delle proprietà dei beni culturali mobili del 1972; la Convenzione UNESCO relativa ai beni immobili di rilevanza universale, Parigi 1972; la grande Convenzione UNCLOS del 1982 su oceani e mari; la Convenzione UNESCO sulla diversità culturale del 2005; la Convenzione del Consiglio di Europa sul paesaggio, Firenze, 2000. Nella giurisprudenza si possono ricordare: il parere consultivo della Corte Internazionale di Giustizia dell’8 luglio 1996 “Legalità della minaccia o dell’uso di armi nucleari”; l’opinione consultiva della Corte interamericana dei Diritti Umani sul tema “Ambiente e diritti umani” del 15 novembre 2017; la sentenza della Corte Suprema delle Filippine del 30 luglio 1993 sul caso Minori Oposa c. DENR. In dottrina sul principio della protezione delle generazioni future, oltre a Scovazzi citato, V. Edith Brown Weiss, Intergenerational Equity: A Legal Framework for Global Envonmental Change,in Bown Weiss  (ed.),Environmental Change and International Law,Tokyo,1992,p.385 e in Oxford University Press 2012.

[v] Si veda più avanti al paragrafo 4 per il caso Ucraina.

[vi]  V.“Il diritto internazionale. Diritto per gli Stati e diritto per gli individui”, Umberto Leanza e Ida Caracciolo, Giappichelli Editore, Torino, 2012.

[vii] V. in via generale: Carlo Focarelli, Diritto internazionale II, Prassi  (2008-2019), Cedam, 2019; Marina Franchi e Ilaria Viarengo, Giappichelli, Torino, 2016; con riferimento al diritto umano all’ambiente: Maguelonne Dejeant- Pons e  Marc Pallemaerts, Droits de l’homme  et environnement, giugno 2002, ed ivi anche il riferimento ad un organo di garanzia, pagg.109-116 ”Projet pour la Cour internationale de l’environnement, présenté par ICEF, à la Conference des Nations Unies , UNCED, Rio de Janeiro le 14 juin 1992”.

[viii] Come è noto il tradizionale diritto bellico, codificato dalle Conferenze de l’Aia del 1899 e del 1907, subisce un mutamento con la codificazione anche del diritto internazionale umanitario con le 4 Convenzioni di Ginevra del 1949 ed i Protocolli addizionali del 1977, che hanno cercato di umanizzare la guerra con riferimento alla protezione speciale – sempre – della popolazione civile e al trattamento dei feriti e dei prigionieri. Singole categorie come i minori godono di una protezione speciale e non possono essere  separati dai genitori e dalla famiglia (Convenzione di New York ,2-9-1990 e  Protocolli aggiuntivi  del 12 -2-2002); una speciale protezione spetta anche ai disabili ,in base alla Convenzione di New York del13-12-2006, nonché a profughi dalle aree del conflitto (Convenzione di Ginevra del 1951 e Protocolli successivi del 1951; Convenzione di Addis Abeba del 1969; Convenzione OIL sulla protezione dei lavoratori migranti  del 18 -12-1990; Global Compact of Migrations delle N.U., Marrakech,  10-12-2018 ).

In caso di conflitti, il diritto umanitario esige che vengano assicurati ancora di più i diritti necessari per la sussistenza biologica e comunque non siano aggravate ulteriormente le basi su cui si fondano: diritto al cibo ed alla sussistenza alimentare; diritto umano all’acqua; diritto umano alla salute; diritto umano all’abitazione; diritto umano alla cultura. Per un esame più approfondito di questi basic needs, v. Amedeo Postiglione “L’albero dei diritti e dei doveri umani”, Cantagalli Editore Siena, 2020, pp.40-53, ed ivi le fonti e la bibliografia. Più in generale, schede sulle fonti dei diritti umani, su base universale e regionale, sono reperibili in “Ambiente, giustizia e pace”, a cura della Fondazione ICEF, Aracne Editrice, Roma,2015. pp.35-37. Sui mezzi e metodi della violenza bellica (missili, droni, aerei, carri armati) e sulla tipologia delle armi (mine anticarro, mine antiuomo, pallottole esplosive, armi penetranti arricchite al plutonio, pallottole dum-dum, gas asfissianti, armi batteriologiche, armi chimiche, armi laser, armi nucleari tattiche) si rinvia alle trattazioni specifiche: esistono una serie di Trattati e Convenzioni da rispettare. Nel caso del conflitto in Ucraina, a sottolinearne la gravità, è stato non solo ripetutamente minacciato l’impiego dell’arma nucleare, ma è stato ipotizzato anche un impiego operativo di armi nucleari tattiche. Nella dottrina vedi: M. R. Donnarumma, L’invasione russa dell’Ucraina e i crimini di guerra, in Giurisprudenza penale web, 2022\11; A. Ciampi, Il conflitto russo-ucraino: analisi, cambiamenti, prospettive, fascicolo n.3\2022.Osservatorio sulle fonti.

[ix] Diritto internazionale pubblico, II edizione, Napoli, p.283.

[x] L’Italia ha offerto un buon contributo a favore della creazione di questa Istituzione per merito del Ministero degli Affari Esteri e di personalità indipendenti come il compianto Prof. Giovanni Conso, già Ministro della Giustizia, Presidente onorario della Fondazione ICEF (per la creazione di una Corte internazionale anche in tema di ambiente).

[xi] Per un quadro più generale e approfondito della problematica e la bibliografia, vedasi: “Diritto internazionale dell’ambiente” (pp.385-407) a cura di Amedeo Postiglione ed ICEF, Editrice Aracne, Roma, 2013 e più recentemente: “Ambiente, giustizia e pace”, 2015, dello stesso Autore e stessa casa editrice.

[xii] Per una analisi più dettagliata, v. “Le indagini della Corte penale internazionale -Into the situation of Ucraine- Alcune criticità”, Kuno Tarfusser, in Giurisprudenza penale, 16-3-2022.

[xiii] Una Analisi approfondita e dettagliata dei casi di istituzione di Tribunali speciali penali è stata di recente effettuata, per conto del Parlamento europeo, da Olivier Corten e Vaios Koutroulis della Université Libre de Bruxelles, nel dicembre 2022 (PE 702.574) “Tribunal for the crime of aggression against Ukraine – a legal assessment”. V. anche Maurizio Delli Santi, “Un Tribunale speciale per l’Ucraina”, in Rivista Affari internazionali, 15-12-2022 e Maria Rosaria Donnarumma, “L’invasione russa dell’Ucraina e i crimini di guerra”, in Giurisprudenza penale, Web, 2022,11.

[xiv] Sembra utile ricordare che una particolare sensibilità e concreta anticipazione culturale e istituzionale, per la conoscenza e promozione del valore giuridico dell’ambiente, per alcuni anni, è stata dimostrata anche dalle Istituzioni di giustizia compresa la Corte di Cassazione italiana, come documentato nel volume recente “La risposta alla crisi ambientale. Una governance globale”, a cura di Amedeo Postiglione, Cantagalli editore, Siena, 2021. A questa istituzione si deve aver creato un Gruppo di lavoro interdisciplinare denominato “Ecologia e Territorio”, successivamente allargato su base europea con il Progetto ENLEX (Environment Lex), finanziato dalla UE. Con specifico riferimento ai conflitti ambientali nei vari continenti si rinvia al volume italiano già citato “Ambiente, giustizia e pace”, curato dalla Fondazione ICEF del 2015 ed al Progetto finanziato dalla UE curato dal prof. Martinez Alier dell’Università di Barcellona, denominato EJATLAS (Environment Justice Atlas). Si veda anche in Italia l’Atlante dei conflitti curato dal Centro di documentazione conflitti ambientali-CDCA.

[xv] La Fondazione ICEF, da circa 40 anni, insieme con altri Organismi nei vari continenti, ha insistito sulla promozione – con continuità di iniziative e pubblicazioni – della governance globale per problemi come ambiente e pace che hanno carattere globale. La governance presuppone non solo regole adeguate, ma anche organi e meccanismi permanenti e nuovi per assicurare la loro effettività. Fra tali organi e meccanismi rientrano quelli della giustizia obbligatoria ed accessibile anche in sede internazionale: una giustizia internazionale più forte (compresa ora quella climatica) serve all’ambiente ed alla pace. La crisi in Ucraina ha reso ancor più evidente l’intreccio tra pace ed ambiente: il mutamento climatico, se va prevenuto davvero, richiede una politica globale contraria agli interessi di Paesi possessori di energie di origine fossile (carbone, petrolio, gas naturale), di cui sono ricchi Paesi come la Russia e quelli del Golfo Persico. Questi ultimi Paesi, quando Putin ha tagliato le forniture all’Occidente, non hanno aumentato la produzione per evitare l’aumento vertiginoso dei prezzi, ma di fatto hanno assecondato la logica del ricatto: nel 1973 furono i Paesi Arabi del Golfo a cagionare una crisi petrolifera per ragioni geopolitiche; nel 2022 è stata la Russia a servirsi della stessa arma. Si forniscono di seguito alcune informazioni bibliografiche sul tema della auspicata governance globale ambientale. Tra le principali pubblicazioni sulla governance, curate dalla Fondazione ICEF, in ordine temporale, si vedano: Amedeo Postiglione, Per un Tribunale Internazionale dell’ambiente, Giuffré, Milano, 1990; Amedeo Postiglione, The Global Village Without Regulations. Ethical, economical social and legal motivations for an international court of the environment, Giunti  Editore, Firenze, 1992; Amedeo Postiglione e Giovanni Cordini (eds), Towards the World Governing of the Environment, Gianni Iuculano, Pavia, 1996; Amedeo Postiglione, The Global Environmental Crisis: the Need for an International Court of the Environment, 1998; Amedeo Postiglione (ed), The role of the Judiciary in the implementation and enforcement of environmental law, Bruylant, Bruxelles, 2008; Amedeo Postiglione , Global environmental governance. The need for an international environmental agency and an International Court of the Environment, Bruylant, Bruxelles, 2010; Giovanni Cordini e Amedeo Postiglione, La Governance globale dell’ambiente, Aracne Editrice, 2018. Da ultimo una sintesi retrospettiva e propositiva è offerta dal volume: Amedeo Postiglione, La risposta alla crisi ambientale. Una governance globale, Cantagalli, 2021.

[xvi] V. “La verità ecologica”, a cura di Amedeo Postiglione, in Lexambiente.it, Rivista giuridica diretta da Luca Ramacci, 25-5-2017.

[xvii] Si richiamano sul punto le notizie di cui alle pp.170-173 del volume citato “La risposta alla crisi ambientale. Una governance globale” Cantagalli,2021 relative a tre Conferenze annuali della Fondazione ICEF, proprio sul tema del mutamento climatico, tenutesi in collaborazione con l’Abbazia di Montecassino, 2016, con la Società italiana organizzazioni internazionali, 2017 e con Roma Capitale ed ACEA nel 2018. I messaggi inviati dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella non si sono limitati ai saluti ed auguri, ma sono entrati nel merito della problematica fornendo importanti indicazioni anche sul ruolo delle istituzioni.

[xviii] Vedi: Michel Prieur “The New Principle of no Regression  of International and Environmental Law”, in Global Environmental Governance, atti della Conferenza ICEF,20-21 maggio 2010,presso il Ministero Affari Esteri, a cura di ISPRA e Fondazione ICEF, p.71 e ss.

[xix] In questa direzione V: la sentenza n.31\2021 del 29 -4- 2021 sella Corte costituzionale tedesca di Karlsruhe, (Neubauer et al. c. Germania); la sentenza della Corte suprema olandese del 21 dicembre 2021 (caso Urgenda Foundation c. Governo olandese ed altri); la sentenza del Tribunale amministrativo di Parigi contro il Governo francese del 3-2-2021 e la successiva conferma del Consiglio di Stato. In Italia si segnala un ricorso collettivo in itinere, in sede civile, davanti al Tribunale di Roma,  proposto in da 5 giugno 2021 da cittadini ed Associazioni contro lo Stato italiano per inadempimento climatico, di cui si attendono gli sviluppi, in considerazione anche della sopravvenuta  modifica degli artt.9 e 41 della Costituzione, con legge costituzionale 9-2-2022 che prevede limiti insuperabili alla iniziativa economica a tutela della salute e dell’ambiente, considerato nella sua unitarietà (ecosistema, biodiversità) e nella dimensione anche temporale (generazioni future).  In dottrina: Tullio Scovazzi “ Il diritto umano ad un ambiente sano alla luce dell’opinione consultiva della Corte interamericana dei diritti umani”, in I diritti dell’uomo,1, 2021, Editoriale Scientifica srl, pp.111-126; dello stesso Autore “Gli effetti del cambiamento climatico su Kiribati di fronte al Comitato sui Diritti Umani”, in Rivista Giuridica Ambiente, 2020, p.199; e ancora “Due recenti decisioni nazionali in materia di ambiente che richiamano il caso Teitiota” in Rivista  Giuridica Ambiente, n.2 del 2021; Francesco Scalia, “La giustizia climatica”, Federalismi.it., 7 aprile 2021; Michele Carducci, “Il cambiamento climatico nella giurisprudenza italiana”, Diritti comparati, 8 marzo 2021; e stesso Autore “L’approccio One Hearth nel contenzioso climatico: una analisi comparata” Cortisupremeesalute.it del 3-2-2023; Marco Magri “Il 2021 è stato l’anno della giustizia climatica?” in Ambiente e diritto, dicembre 2021; Alessandro Cocchi “Giustizia climatica e sviluppo”, in Questione Giustizia, 24-2-2022; Maria Elena Giannetto “Giustizia climatica, l’etica dell’uguaglianza di fronte ai diritti e doveri ambientali”, in Wise Society, Ambiente e scienza, 4-2-2022; nel Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente-SNPA “Lotta ai cambiamenti climatici, tra quadro internazionale e giustizia climatica”, 31-5-2022 e varie pubblicazioni di ISPRA. V. anche: Global Climate Litigation Report, 2020, Status Review, UNEP, Nairobi, 2020 e gli atti del Forum europeo dei Giudici per l’Ambiente, EUFJE, Seminario tenutosi presso il Consiglio di Stato, Parigi, 24-25 ottobre 2022, contenenti anche il contributo italiano a cura di Amedeo Postiglione e Luca Ramacci.

[xx] V. Henry Kissinger, “Ordine mondiale”, Mondadori, 2015.

[xxi] Questo impegno per la pace vi è stato anche da parte dell’attuale Pontefice Francesco nella non meno grave crisi dell’Ucraina. Egli ha cercato di evitare conflitti religiosi tra due popoli cristiani ma non ha esitato ad invocare la pace con prese di posizioni significative. È stata finora negata al Pontefice Francesco, molto sensibile al tema della pace come bene comune, la possibilità di un incontro (sia a Mosca sia a Kiev) con le Autorità religiose e politiche. In occasione delle festività pasquali del 2023 papa Francesco ha scritto al Patriarca di Mosca Kirill: “Caro fratello. Possa lo Spirito Santo trasformare i nostri cuori e renderci veri operatori di pace, specialmente per l’Ucraina dilaniata dalla guerra”. Il Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I, in occasione di una recente visita in Polonia, non è rimasto indifferente rispetto a milioni di rifugiati e sfollati dall’Ucraina a causa della “aggressione ingiustificata ed ingiustificabile in corso.”

[xxii] Un commento autorevole a più voci della novità ed attualità dell’enciclica di papa Giovanni XXXIII, contenente la proposta di una Autorità politica mondiale, si trova nel volume “Il concetto di pace”, Libreria editrice vaticana, 2013, nel 50° anniversario del documento pontificio.

[xxiii] È interessante notare che la Chiesa Cattolica, una comunità spirituale voluta da Cristo nella storia e non solo una organizzazione umana, universale per definizione, ha confermato questo indirizzo anche successivamente: con Giovanni Paolo II, enciclica “Sollecitudo rei socialis”; con Benedetto XVI, enciclica “Caritas in Veritate”; con Francesco, encicliche “Laudato Si” e “Fratelli tutti”. Sorprende e rattrista molto che, in occasione del conflitto in Ucraina, non si sia trovato uno spazio comune per una proposta unitaria ed una seria iniziativa di tutti i cristiani (cattolici, protestanti, ortodossi di Mosca e di Kiev), che rivendicasse il valore profondo della pace, come dovere comune primario dei seguaci di Cristo. Un muro di incomunicabilità ha impedito perfino incontri tra i capi religiosi: uno scandalo per una religione che attribuisce alla natura stessa di Dio l’attributo della pace (“Cristo è la nostra pace” Efesini, 2,12-22) e che di conseguenza esige che i seguaci siano tra loro fratelli. Nel noto discorso della montagna sulle beatitudini è detto chiaramente che solo i pacifici (cioè gli operatori e costruttori di pace) “saranno chiamati figli di Dio” (Matteo.5,9). La pace non va dunque solo desiderata e proclamata, ma realizzata: il Dio della pace esige operatori e costruttori di pace. Non è più tempo di guerre sante da benedire ad opera di ministri di Dio, come avveniva in epoche passate. Anche nelle altre Religioni e culture si trova un terreno comune, perfino nei termini, che indicano la pace, utilizzati nelle comuni relazioni umane (Shalom, Salam). La pace viene significativamente invocata come dono di grazia da tutte le culture religiose monoteiste. Il termine “pax” in latino, più realisticamente, sembra richiamare implicitamente il concetto giuridico di “patto” che chiude i conflitti come base della pace (senza escludere il valore teorico, culturale e morale, nella cultura latina, della pace in generale come profondo valore e bisogno dello spirito).

[xxiv] Il 23 gennaio 2023, a cura del Corriere della Sera, è stata pubblicata una inchiesta dal titolo “Guerra globale. Il conflitto russo-ucraino e l’ordine internazionale”. L’inchiesta raccoglie contributi di esperti con riferimento a vari Paesi: Stati Uniti; Germania; Bielorussia; Polonia; Paesi baltici come Lettonia, Lituania, Estonia, Finlandia; Repubblica Ceca; Romania; Bosnia Erzegovina e Serbia; Turchia; Nord Africa; Medio Oriente; Sahel; Armenia e Azerbaigian; Kazakistan e Russia; Asia centrale e conflitto kirghiso-tagiko; Cina; Taiwan; America Latina. L’introduzione è stata proposta da Alessandro Catalano e Niccolò Pianciola, coordinatori, insieme con Marcello Flores, dell’opera, in collaborazione con l’Associazione del Network Memorial, Premio Nobel per la Pace 2022.

[xxv] Mark Leonard, “L’era della non pace. Perchè la connettività porta al conflitto”, Bocconi University Press, 2023.

[xxvi] Mark Leonard “L’era della non pace. Perché la connettività porta al conflitto”, Bocconi University Press, Milano, febbraio 2023: “Ciò che ha causato la guerra è stata la connettività, la connessione dell’Ucraina con l’Occidente: la guerra è cominciata in realtà nel 2014 con l’annessione della Crimea e ciò che l’ha provocata è il fatto che Kiev volesse firmare un accordo di associazione con l’Europa”. Sui temi della governance globale la Fondazione ICEF ha pubblicato nel 2021 una sintesi degli sviluppi della problematica con una serie di proposte, nate da concrete esperienze di partecipazione: “La risposta alla crisi ambientale. Una governance globale”, a cura di Amedeo Postiglione, Cantagalli Editore, Siena.

[xxvii] Si richiama qui la religione cristiana, perché comune ai popoli di Russia ed Ucraina e perché proclama la pace come un dovere primario. La pace non è un auspicio o un consiglio, ma un comandamento, come si ricava dal Vangelo. Dio: “Fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti”; “Amate i vostri nemici, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli” (Matteo, 5,38-48). Un Dio che ci circonda di bontà e misericordia, esige che anche noi impariamo a circondare di bontà e misericordia gli altri, facendo vincere il bene sul male. Edgar Morin, noto studioso francese, nel suo ultimo libro “Di guerra in guerra. Dal 1940 all’Ucraina invasa”, Raffaello Cortina Editore, 2023, lancia un messaggio di pace alla luce delle memorie belliche terribili dell’ultimo periodo vissuto dall’umanità, invoca negoziati per l’Ucraina per evitare una radicalizzazione ed estensione globale del conflitto. Egli parla, con indipendenza di giudizio, di esperienze vive, vissute nel corso della sua lunga vita. Da un altro angolo visuale, il fisico Federico Faggin, in “Irriducibile. La coscienza, la vita, i computer e la nostra natura”, Mondadori,2023, rivaluta il rapporto scienza e spiritualità, alla luce delle scoperte della fisica quantistica.  Egli pure ripropone il tema dell’amore: “Purtroppo, al giorno d’oggi la coscienza di gran parte dell’umanità è immersa in una trance autoindotta che oscura l’Amore, che è l’unica legge che regge e collega tutte le parti-intero dell’universo.”

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