Molestie olfattive e tollerabilità delle emissioni

26 Gen 2021 | giurisprudenza, penale

di Antonio Sanson 

CASSAZIONE PENALE, Sez. III – 6 ottobre 2020 (dep. 30 novembre 2020), n. 33817 – Pres. Andreazza, Est. Di Stasi – ric. Schipichetti 

In tema di getto pericoloso di cose, l’evento molestia provocato dalle emissioni di gas, fumi o vapori si ha non solo nei casi di emissioni inquinanti in violazione dei limiti di legge, ma anche nel caso di superamento del limite della normale tollerabilità ex art. 844 c.c., la cui tutela costituisce la ratio della norma incriminatrice; in caso di “molestie olfattive”, poi, quando non esiste una normativa statale che prevede disposizioni specifiche e valori limite in materia di odori, la Corte di cassazione ha individuato il criterio della “stretta tollerabilità” quale parametro di legalità dell’emissione, attesa l’inidoneità ad approntare una protezione adeguata all’ambiente ed alla salute umana di quello della “normale tollerabilità”, previsto dall’art. 844 c.c.  

  1. La vicenda sottesa al giudizio della Suprema Corte

La Corte di Cassazione torna ad occuparsi del reato di getto pericoloso di cose a seguito dell’impugnazione proposta avverso una decisione del Tribunale di Pisa, che aveva condannato un’imputata alla pena di duecento euro di ammenda.

La vicenda, estremamente semplice dal punto di vista fattuale, si inserisce nel contesto di una lite di vicinato, nell’ambito della quale la ricorrente, con evidente intento di arrecare danno agli occupanti del fondo confinante, aveva spruzzato abbondante liquido insetticida sulla rete ombreggiante posta sul muretto che separava le due proprietà. Tale condotta era indirizzata proprio in corrispondenza del punto in cui era stato collocato un fornelletto elettrico sul quale i vicini stavano cuocendo delle pietanze, che, proprio in ragione del liquido insetticida con il quale erano venute a contatto, non potevano più essere consumate.

Avverso la decisione del Tribunale la difesa dell’imputata ricorreva per cassazione affidandosi a plurimi motivi di gravame. Con primo deduceva una violazione dell’art 674 c.p. nella parte in cui il giudice di prime cure aveva omesso di considerare che la condotta non era idonea ad arrecare danno all’incolumità delle persone offese, in considerazione del fatto che la sostanza nebulizzata era del semplice deodorante; con il secondo si censurava la valutazione dell’elemento soggettivo del reato; con il terzo lamentava un’ulteriore violazione dell’art 674 c.p. ed un correlato vizio motivazionale perché il Tribunale non aveva considerato che la condotta dell’imputata non era idonea a superare il limite della normale tollerabilità di cui all’art 844 c.c.; con il quarto motivo si censurava l’omessa motivazione circa il diniego rispetto alla richiesta di applicazione dell’art 131-bis c.p. che era stata espressamente avanzata; l’ultimo motivo infine investiva i capi civili della sentenza.

  1. La decisone della Corte di Cassazione

La Corte di legittimità ha annullato parzialmente la sentenza impugnata accogliendo il quarto motivo di ricorso. Le motivazioni evidenziano che effettivamente il Tribunale era incorso in un vizio di motivazione laddove non si era pronunciato sulla richiesta di applicazione della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto; a fronte di tale omissione gli Ermellini hanno rinviato gli atti al giudice di merito per un nuovo giudizio al fine di valutare l’applicabilità dell’art 131 bis c.p. al caso di specie[1].

Tuttavia, più che focalizzarsi sull’esito del ricorso in sé, è interessante analizzare le argomentazioni cui la Corte ha fatto ricorso per dichiarare manifestamente infondati i primi tre motivi di gravame, che sono stati trattati congiuntamente.

La motivazione della sentenza si preoccupa innanzitutto di ripercorrere i tratti essenziali della contravvenzione di getto pericoloso di cose, ricordando che il testo della norma, pur prevedendo una serie di condotte che possono assumere rilievo ai fini dell’integrazione dell’illecito, descrive in realtà un’unica fattispecie di reato, ciò in quanto le condotte di gettare o versare cose atte ad offendere, imbrattare o molestare persone e quella di provocare emissioni di gas, vapori o fumo – dice la Corte – si pongono tra loro in un rapporto di genere a specie.

Quanto al concetto di “molestia alla persona”, la sentenza richiama precedenti decisioni di legittimità secondo le quali deve essere ricompreso qualsiasi fatto che, in base ad una valutazione che spetta al giudice di merito, sia idoneo ad arrecare disagio, fastidio ovvero a turbare il modo di vivere quotidiano; trattandosi di reato di pericolo, la Corte ricorda quindi che non è necessario che venga arrecato un effettivo nocumento al bene giuridico protetto. In questo caso il non poter consumare il cibo in cottura è stata ritenuta un’apprezzabile alterazione della normale vita delle persone.

La doglianza riferita all’elemento oggettivo è stata giudicata infondata perché il Tribunale, basandosi sulle testimonianze rese nel giudizio di merito, aveva riconosciuto come volontaria e consapevole la condotta della ricorrente, poiché costei per circa un minuto aveva vaporizzato il liquido insetticida proprio nel punto della rete ombreggiante corrispondente a quello in cui i vicini avevano posto il fornello con i cibi in cottura.

La Corte ha poi respinto la censura relativa alla erronea applicazione dell’art 674 c.p. nella parte in cui la ricorrente lamentava la mancata valutazione del criterio della “normale tollerabilità”, ricordando che tale parametro non trova applicazione nel caso di condotte di getto o sversamento orientate ad offendere, imbrattare o molestare le persone.

  1. Alcune brevi considerazioni sulle argomentazioni della Corte

La sentenza appare meritevole di approfondimento sotto diversi aspetti e costituisce l’occasione per fare nuovamente il punto sull’art 674 c.p. La norma, complice la sua formulazione “atecnica”, è stata per lungo tempo l’appiglio per sanzionare in sede penale svariate forme di inquinamento ambientale e la giurisprudenza ha continuato a farvi ricorso anche a seguito dell’introduzione di specifiche normative di settore. Con specifico riferimento alle emissioni olfattive, occorre poi ricordare che la stessa ha di fatto costituito, quantomeno fino all’introduzione dell’art 272 bis T.U.A. ad opera del D.Lgs. 183/2017, l’unico riferimento a livello di normativa nazionale e che la sua applicazione, in ragione della configurazione della fattispecie – definita “travagliata” dalla stessa Corte di cassazione[2] – ha portato a decisioni non sempre univoche da parte della giurisprudenza[3].

È doveroso un breve richiamo alla struttura della norma per inquadrare e valutare correttamente il ragionamento alla base della decisione in commento. L’art 674 c.p. delinea un reato che può manifestarsi in due diverse forme[4]: attraverso il getto e lo sversamento atti ad offendere o imbrattare o molestare (prima parte), oppure provocando emissioni di gas, vapori o fumo atti a cagionare i medesimi effetti (seconda parte).

Occorre tuttavia notare che la norma accosta alla condotta di provocare emissioni la locuzione “nei casi non consentiti dalla legge”. Si tratta di una espressione non particolarmente felice, che, secondo l’interpretazione ormai consolidata, intende fare riferimento alle esalazioni specificamente consentite da determinate disposizioni amministrative, che assumono rilevanza penale nei casi in cui i limiti di emissione vengono superati o, in alternativa, quando, pur rispettando tali parametri, esse si attestino ad un livello superiore a quello della “tollerabilità”, argomento sul quale si tornerà in seguito[5].

Ad una prima analisi potrebbe sembrare che la norma non si applichi affatto alle emissioni olfattive, conclusione che in effetti si riscontra in una decisione della Suprema Corte dei primi anni Novanta dello scorso secolo[6]. La giurisprudenza successiva, tuttavia, ha espresso una posizione diametralmente opposta, osservando che il fenomeno in parola si sostanzia quale risultato della liberazione nell’aria di prodotti volatili, che secondo il linguaggio comune vengono identificati come gas[7], ed è quindi indubbio che possa ricadere nella condotta di emissioni prevista dalla seconda parte della norma.

Non solo: poiché la poiché la condotta di vaporizzare un liquido può ben rientrare nel concetto di sversamento[8], le molestie olfattive (come ogni altra emissione di gas) possono assumere rilievo anche ai fini della prima parte della norma. Questo è appunto il ragionamento sul quale si fonda l’affermazione di responsabilità penale dell’imputata della sentenza in commento: nebulizzare un liquido insetticida che entri nel fondo altrui in forma gassosa costituisce una condotta di getto o sversamento atta ad offendere o imbrattare o molestare[9].

Ma quando l’emissione olfattiva diventa molesta e dunque penalmente rilevante? La risposta deve prendere in considerazione preliminarmente la classificazione della condotta e non pone particolari problemi nel caso in cui questa ricada nell’ambito applicativo della prima parte della norma: in tali casi infatti – come peraltro la sentenza in commento afferma – l’emissione deve essere valutata avendo come riferimento il parametro della “stretta tollerabilità”, locuzione che vale ad escludere dal campo applicativo della norma le sole condotte  prive di offensività in concreto.

La questione appare invece più complessa quando si tratti di emissione rilevante ai sensi del secondo comma, argomento sul quale la giurisprudenza, di merito e di legittimità, ha individuato plurime soluzioni, dando origine ad un contrasto che è stato espressamente riconosciuto in altra recente sentenza[10]: un orientamento particolarmente rigorista ritiene che le emissioni olfattive debbano essere valutate sempre secondo il parametro della “stretta tollerabilità”, anche per le ipotesi di quelle prodotte da un impianto munito di regolare autorizzazione per le emissioni in atmosfera. Mancando infatti una disciplina di matrice statale che detti disposizioni specifiche in materia di odori, tale criterio sarebbe l’unico in grado di garantire una adeguata protezione all’ambiente ed alla salute umana[11].

Altro orientamento, maggioritario, rifacendosi al parametro previsto dall’art 844 c.c., propugna invece una valutazione in termini di “normale tollerabilità”, la cui sussistenza è stata riconosciuta nei casi in cui le emissioni di gas molesti siano conseguenza di un’attività autorizzata e si attestino a livelli inferiori rispetto a previsti per l’inquinamento atmosferico, o, nel caso in cui l’attività abbia adottato strumenti tecnici ragionevolmente utilizzati per limitare l’impatto delle emissioni verso l’esterno[12].

A parere di chi scrive, quest’ultimo, di fatto disatteso da parte della sentenza in commento (seppur in un obiter dictum), appare maggiormente condivisibile non solo per l’opera di bilanciamento tra gli interessi in gioco, ma anche per una ragione di ordine sistematico: come puntualmente osservato dalla stessa Corte in altra occasione, la posizione più rigorista finisce per “collocare su un fronte più avanzato la tutela penale in caso di immissioni olfattive rispetto a quella pacificamente apprestata, in sede civile, per siffatto genere di immissioni, la cui illicetità, ai sensi dell’art. 844 cod. civ., laddove non sia posto a repentaglio un valore di rango superiore quale quello del diritto alla salute, è subordinata al criterio della “normale tollerabilità”[13].

Il punto dolente, comune all’una e all’altra interpretazione, rimane comunque che la giurisprudenza ha finora dovuto fondare il discrimen della rilevanza penale sul superamento di una soglia, quella della tollerabilità, “stretta” o “normale” che sia, che di fatto si traduce in una valutazione estremamente soggettiva dei soggetti coinvolti, con buona pace della certezza del diritto. L’intervento delle Sezioni Unite, pur invocato con insistenza da un Autore[14], non sembra tuttavia prossimo.

È probabilmente ancora prematuro valutare se l’introduzione dell’art. 272 bis T.U.A., che prevede la possibilità per la normativa regionale e per le autorizzazioni di adottare misure per la prevenzione e la limitazione delle emissioni odorigene, possa effettivamente aiutare ad ancorare la valutazione di merito a dati più oggettivi; certo è che la previsione di una facoltà di stabilire limiti da parte delle Regioni o all’interno delle autorizzazioni rischia di condurre a situazioni assai diverse a seconda del luogo in cui l’emissione si verifichi, non dimenticando poi che la norma si applica solo agli impianti previsti dal titolo I della parte quinta del T.U.A.

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RGA Online – Sanson – contributo gennaio 2021

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Cass. pen. III_33817_2020 (Sanson)

Note:

[1] Il principio appare ormai consolidato nella giurisprudenza di legittimità (cfr. Corte Cass. pen., Sez. I, 6 maggio 2019, n. 18884; Corte Cass. pen., Sez. IV, 27 giugno 2016, n. 32525).

[2] In questi termini Corte Cass. pen., Sez. III, 18 dicembre 2008, n. 16286.

[3] In passato il tema è stato affrontato in dottrina da molti autori, tra i molti contributi si rimanda a L. Butti, Emissioni di odori e tutela ambientale, in Giurisprudenza di merito, 2002, 4-5, pp. 1180 ss.; F. Sabatini, Rapporti tra l’art. 674 cod. pen. e l’art. 844 c.c. un problema ancora aperto, in Cass. pen. 6/2006 p. 2116 ss.; E. Pomini, L’irrilevanza penale delle emissioni in atmosfera “fastidiose” ma “rispettose” in questa Rivista, 2012, 2, pp. 252 ss.

[4] Secondo un orientamento ormai risalente e non più seguito, la norma in realtà comprenderebbe due distinte ipotesi di reato: cfr. Corte Cass. pen., Sez. I, 17 novembre 1993 in Cassazione Penale, 1995, 2149 (s.m.).

[5] Per una ricostruzione più puntuale si rinvia a G. STEA, La tutela penale dell’aria in L. Cornacchia, N. Pisani (a cura di), Il nuovo diritto penale dell’ambiente, Bologna (2018), p. 424.

[6] Corte Cass. pen., Sez. I, 29/01/1991 in Riv. Pen. 1992, secondo cui “le esalazioni maleodoranti o comunque sgradevoli non rientrano nella tutela penalmente apprestata dall’art. 674 c.p. per le emissioni moleste di gas, vapori e fumo, ma possono esser fonte di responsabilità civile, ove eccedono i limiti posti dall’art. 844 c.c.”.

[7] In questi termini Corte Cass. pen., Sez. I, 14 dicembre 1999, n. 407, richiamata anche da Corte Cass. pen., Sez. III, 28 marzo 2012, n. 16670.

[8] Cfr. Corte Cass. pen., Sez. II, 4 novembre 2016, n. 49354.

[9] Si tratta di un orientamento pressoché univoco in giurisprudenza, nonostante esistano decisioni che, facendo leva sulla natura “gassosa”, sembrano ricondurre le emissioni olfattive esclusivamente alla seconda parte della norma. Cfr. Corte Cass. pen., Sez. III, 25 ottobre 2016, n. 798 secondo cui “tra le emissioni di gas, vapori o fumo atte ad offendere o imbrattare o molestare persone rientrano tutte le sostanze volatili che (…) emanano odori provocanti disturbo, disagio o fastidio alle persone”. Negli stessi termini Corte Cass. pen., Sez. III, 13 luglio 2016, n. 45149 e Corte Cass. pen., Sez. III, 4 novembre 2011, n. 2377.

[10] Corte Cass. pen., Sez. III, 13 luglio 2020, n. 2020.

[11] In questo senso Corte Cass. pen., Sez. III, 14 settembre 2015, n. 36905; Corte Cass. pen., Sez. III, 12 febbraio 2009, n. 15734; Corte Cass. pen., Sez. III, 9 ottobre 2007, n. 2475; Corte Cass. pen., Sez. III, 21 aprile 2005, n. 19898. In dottrina C. Ruga Riva, Diritto penale dell’ambiente, Torino, (2013), p. 177.

[12] Corte Cass. pen., Sez. III, 4 dicembre 2018, n 54209; Corte Cass. pen., Sez. III, 24 marzo 2017, n. 14467; Corte Cass. pen., Sez. III, 3 novembre 2014, n. 45230; Corte Cass. pen., Sez. III, 13 luglio 2011, n. 37495; Corte Cass. pen., Sez. III, 21 ottobre 2010, n. 40849; Corte Cass. pen., Sez. III, 21 giugno 2006.

[13] Ancora Corte Cass. pen., Sez. III, 13 luglio 2020, n. 2020.

[14] G. Amendola, Art. 674 c.p., emissioni moleste e inquinamenti. La cassazione ci ripensa? in www.lexambiente.it.

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