Autorizzazioni paesaggistiche e sindacato della Soprintendenza

14 Dic 2020 | giurisprudenza, amministrativo, in evidenza 3

di Lorenzo Spallino

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V, 5 ottobre 2020, n. 5831 – Pres. Santoro, Red. Lamberti – Comune di Tuoro sul Trasimeno (avv. Catia Mosconi) c. Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio dell’Umbria (Avv. Gen. Stato) e n.c. C.P., A.A., D.T. S.a.s., R.C., A.A., E. S.r.l., M.C., U.I. S.r.l. e L.P.

Con l’entrata in vigore dell’art. 146 del d.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42, la Soprintendenza esercita, non più un sindacato di mera legittimità (come previsto dall’art. 159 d.lgs. n. 42/04 nel regime transitorio vigente fino al 31 dicembre 2009) sull’atto autorizzatorio di base adottato dalla Regione o dall’ente subdelegato, con il correlativo potere di annullamento ad estrema difesa del vincolo, ma una valutazione di “merito amministrativo”, espressione dei nuovi poteri di cogestione del vincolo paesaggistico.

1. La fattispecie

Approvato nel 2003 un piano di lottizzazione in variante allo strumento urbanistico, l’amministrazione comunale, proprietaria dell’area, procede alla vendita mediante asta pubblica dei lotti dopo aver ottenuto nel 2005 una valutazione preliminare favorevole della Soprintendenza e della Provincia, trattandosi di area sottoposta a vincolo paesaggistico. Decaduta l’autorizzazione per il decorso del termine quinquennale, nel 2015 l’amministrazione ne richiede la rinnovazione ma la Soprintendenza si esprime negativamente. Il nuovo parere viene impugnato avanti il T.A.R. Umbria sia dall’amministrazione comunale che dai soggetti divenuti nel frattempo proprietari di alcuni lotti, in particolar modo deducendo la contraddittorietà del parere impugnato rispetto al precedente parere con cui la stessa Soprintendenza si era espressa favorevolmente. Nel 2016 T.A.R. rigetta il ricorso con sentenza n. 492 e nel 2020 la Sezione V del Consiglio di Stato conferma con sentenza n 5831.

2. La decisione di primo grado

Con sentenza n. 492 del 10 giugno 2016 il T.A.R. Umbria, Sezione I, respinge il ricorso premettendo che nel procedimento di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, a seguito della entrata in vigore, il  1° gennaio 2010, dell’art. 146 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, che attribuisce al previo parere della stessa Soprintendenza natura vincolante (articolo 146, comma 5), quest’ultima esercita non più un sindacato di mera legittimità sull’atto autorizzatorio di base adottato dalla Regione o dall’ente delegato, con il correlativo potere di annullamento ad estrema difesa del vincolo – come previsto dall’articolo 159 del Codice nel regime transitorio vigente fino al 31 dicembre 2009 – ma piuttosto una valutazione di merito amministrativo, espressione dei nuovi poteri di cogestione del vincolo paesaggistico.

Se da un lato il parere reso dalla Soprintendenza ai sensi dell’articolo 146 costituisce esercizio di ampia discrezionalità tecnica e dall’altro il sindacato del giudice amministrativo è di tipo intrinseco debole (o di attendibilità), limitato cioè alla verifica della sussistenza di vizi sintomatici dell’eccesso di potere, la conseguenza è la non sindacabilità del parere che dia conto, pur  sinteticamente, dell’esistenza di luoghi di notevole rilevanza paesaggistica e del pericolo della loro irrimediabile compromissione per effetto della loro alterazione quanto a essenze, visuali e morfologia.

  1. La decisione di secondo grado

Con sentenza n. 5831 depositata il 5 ottobre 2020, il Consiglio di Stato, Sezione V, conferma la decisione di primo grado.

Attraverso una tecnica espositiva meno sintetica e più argomentativa, ma che in nulla sposta l’architettura motivazionale della decisione del T.A.R. Umbria, il Consiglio di Stato affronta partitamente le argomentazioni degli appellanti, pur esaminandone congiuntamente i ricorsi.

In primo luogo, afferma il Consiglio di Stato, è legittimo il diniego opposto sulla scorta di una motivazione pur scarna e sintetica, purché idonea a rivelare “gli estremi logici dell’incompatibilità” (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 17 luglio 2013 n. 3878).

In secondo luogo, quanto al merito della valutazione, una volta appurata l’assenza di profili relativi a difetto di motivazione, illogicità manifesta o errore di fatto conclamato, la valutazione della Soprintendenza non può essere sindacata dal giudice amministrativo, trattandosi dell’espressione di un’ampia discrezionalità tecnico-specialistica il cui vaglio è limitato alla ragionevolezza e logicità della motivazione.

Residua infine, in terzo e ultimo luogo, un profilo motivazionale relativo alla eccepita contraddittorietà del parere negativo della Soprintendenza rispetto a quelli favorevoli precedentemente resi. Nessuna contraddittorietà, evidenzia il Consiglio di Stato, poiché gli apprezzamenti resi non potevano ritenersi vincolanti nei confronti della Sovrintendenza in sede di nuovo esame della domanda.

Vero è infatti che con l’entrata in vigore dell’articolo 146 del d.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42, la Soprintendenza esercita, non più un sindacato di mera legittimità sull’atto autorizzatorio di base adottato dalla Regione o dall’ente subdelegato, con il correlativo potere di annullamento ad estrema difesa del vincolo, ma una valutazione di “merito amministrativo”, espressione dei nuovi poteri di cogestione del vincolo.

  1. La valutazione della Soprintendenza nel regime transitorio art. 159 d.lgs. 42/2004

Come illustrato, la vicenda coinvolge un arco temporale compreso tra il 2005, anno in cui vengono resi i pareri paesaggistici favorevoli all’intervento, e il 2015, anno in cui la Soprintendenza denega l’intervento in sede di riesame della rinnovata istanza nel frattempo scaduta per decorso del termine di cui all’articolo 146, comma 4.

È in questo periodo che, il 31 dicembre 2009, cessa di avere efficacia il regime transitorio dettato dall’articolo 159 del Codice affinché le regioni provvedessero a verificare la sussistenza, nei soggetti delegati, dei requisiti di organizzazione e di competenza tecnico-scientifica stabiliti dall’articolo 146, comma 6, apportando se del caso le eventuali necessarie modificazioni all’assetto della funzione delegata.

In quest’arco di tempo il procedimento è transitoriamente regolato dalle disposizioni contenute nell’articolo 159 secondo cui (a) l’autorizzazione è rilasciata o negata entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla relativa richiesta, decorsi i quali è data facoltà agli interessati di richiedere l’autorizzazione stessa alla soprintendenza, che si pronuncia entro il termine di sessanta giorni dalla data di ricevimento, (b) l’amministrazione competente al rilascio dell’autorizzazione ne dà “immediata” comunicazione alla Soprintendenza e (c) la Soprintendenza, se ritiene l’autorizzazione non conforme alle prescrizioni di tutela del paesaggio, può motivatamente annullarla entro i sessanta giorni successivi alla ricezione della relativa documentazione.

Nell’interpretare e applicare la normativa transitoria la giurisprudenza ha avuto modo di affermare che il decreto di annullamento è illegittimo se la Soprintendenza va oltre il controllo di legittimità, essendo in presenza di un provvedimento di secondo grado che come tale è limitato “alla considerazione di quello che è l’atto da annullare, e non può intervenire su profili ad esso estranei” (Cons. Stato Sez. VI, 12/02/2019, n. 1015).

Nessun riesame complessivo delle valutazioni discrezionali compiute dalla regione o da un ente sub-delegato, dunque, né sostituzione di una propria valutazione di merito a quella compiuta in sede di rilascio dell’autorizzazione, ma una mera verifica di legittimità, pur estesa, come tale, “a tutte le figure sintomatiche del vizio di eccesso di potere” (Cons. Stato Sez. VI, 25/06/2018, n. 3913; Cons. Stato Sez. VI, 05/12/2002 n. 6652). 

  1. La valutazione della Soprintendenza nel regime definitivo ex art. 146 d.lgs. 42/2004

Tutto cambia con il 1° gennaio 2010.

Il nuovo regime, dettato dall’articolo 146 del Codice, prevede che (a) sull’istanza di autorizzazione paesaggistica si pronunci la regione o gli organismi da questa delegati, (b) entro quaranta giorni dalla ricezione dell’istanza, l’amministrazione competente, effettuati i necessari accertamenti, provveda a trasmettere al soprintendente la documentazione presentata dall’interessato, accompagnandola con una relazione tecnica illustrativa nonché con una proposta di provvedimento, (c) il soprintendente renda il proprio entro quarantacinque giorni dalla ricezione degli atti e (d) l’amministrazione provvede in conformità nei successivi venti giorni dalla ricezione del parere.

In questa scansione procedimentale la Soprintendenza esercita non più un sindacato di legittimità ex post sull’autorizzazione già rilasciata dalla Regione o dall’ente delegato, con il correlativo potere di annullamento, “ma un potere che consente di effettuare ex ante valutazioni di merito amministrativo, con poteri di cogestione del vincolo paesaggistico” (T.A.R. Puglia Lecce Sez. I, 19/06/2018, n. 1028).

Non vi è dubbio che in questo quadro la Soprintendenza operi con amplissima discrezionalità tecnica (per tutti, Cons. Stato Sez. VI, 13/2/2018 n. 899), ma proprio per questo si afferma che, specialmente là dove il parere sia negativo, debbano essere esplicitate le ragioni che in concreto spiegano la decisione (T.A.R. Friuli-V. Giulia Trieste Sez. I Sent., 08/05/2017, n. 159), non trattandosi di un giudizio soggettivo e assertivo ma di una valutazione ancorata a precisi parametri, obbiettivi e verificabili (T.A.R. Sicilia Palermo Sez. II, 4/5/2007 n. 1252 in Riv. Giur. Ed. 2007 con nota di P. Lombardi).

Nel tempo i giudici amministrativi hanno variamente declinato la profondità di tale supporto motivazionale: a volte ancorandolo al principio di proporzionalità (tra gli altri T.A.R. Veneto Sez. II, 11.12.2017 n. 1126), a volte individuando la necessità che da esso emerga l’adeguato apprezzamento di tutte le circostanze di fatto e di diritto che hanno condotto alla prevalenza di un valore in conflitto con quello tutelato in via primaria (Cons. Stato Sez. VI, 21.11.2016 n. 4843; id. 23.11.2016 n. 4925).

In quest’ottica non sono ammesse pseudo-motivazioni consistenti su una generica incompatibilità dell’intervento con i valori tutelati attraverso il ricorso a espressioni vaghe e formule stereotipate (Cons. Stato Sez. II, 28/02/2020, n. 1457), dovendo la motivazione “contemplare la descrizione dell’edificio e del progetto, del contesto paesaggistico in cui esso si colloca e del rapporto tra edificio e contesto, teso a stabilire se esso si inserisca in maniera armonica nel paesaggio” (Cons. Stato Sez. VI, 20/08/2019, n. 5757).

  1. Sinteticità versus comprensibilità della motivazione offerta in sede di diniego della autorizzazione paesaggistica

La sentenza della Sezione V del Consiglio di Stato muove dalla unanime considerazione secondo cui la Soprintendenza oggi esercita non più un sindacato di mera legittimità ma una valutazione di merito amministrativo, per derivarne, tuttavia, una forte limitazione al sindacato giurisdizionale, confinato alla ragionevolezza e logicità della motivazione.

Tutto si gioca, dunque, se l’espressione è permessa, sulla valutazione operata in ordine alla motivazione esposta non tanto sul contenuto, non sindacabile, quanto sulla sua idoneità a rivelare – pur nella sua sinteticità – gli estremi logici dell’incompatibilità (Cons. Stato Sez. VI Sent., 14/10/2015, n. 4750; id. 15/09/2015, n. 4278).

Il rischio, ovviamente, è che, una volta legittimata a priori, la sinteticità venga veicolata tramite il ricorso a moduli linguistici obsoleti attenti più alla lingua dell’operatore che non alla comprensione (non alla lingua) del destinatario, il quale deve essere posto in grado di discernere se, e in che misura, il diniego oppostogli dia conto – per l’appunto, “in modo comprensibile” (T.A.R. Lazio Roma Sez. II quater Sent., 25/09/2012, n. 8121) – dei motivi per i quali l’intervento viene giudicato pregiudizievole dell’integrità del contesto ambientale in cui si inserisce e degli specifici interessi pubblici alla cui tutela il vincolo è posto, nel solco dei principi cui si è ispirata la Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della Funzione Pubblica, nelle due direttive sulla semplificazione del linguaggio dei testi amministrativi rilasciata l’8 maggio 2002 e del linguaggio delle pubbliche amministrazioni del 24 ottobre 2005.

Semplificare non vuol dire, infatti, impoverire, bensì sottrarre complicazione e aggiungere senso ad un linguaggio per sua natura diretto ai cittadini, prima che alle amministrazioni stesse.

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RGA Online dicembre 2020 Spallino letto rt

Per il testo della sentenza (estratto dal sito istituzionale della Giustizia Amministrativa) cliccare sul pdf allegato

Cons. Stato 5831 2020

 

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