Consumo di suolo: poteri regionali e attribuzioni degli enti locali

16 Set 2019 | giurisprudenza, corte costituzionale, in evidenza 3

di Lorenzo Spallino 

CORTE COSTITUZIONALE, 16 luglio 2019, n. 179Pres. Lattanzi, Red. Antonini

Intervenendo in tema di consumo di suolo, la Corte Costituzionale fissa alcuni principi di rilevanza nazionale in punto rapporti tra poteri delle Regioni e attribuzioni degli enti locali, definitivamente acclarando che la funzione di pianificazione comunale resta assegnata al livello dell’ente più vicino al cittadino. Il che non significa che le Regioni non possano disciplinarla o conformarla sulla scorta di esigenze generali, ma confligge con il principio costituzionale di sussidiarietà verticale comprimerla o paralizzarla come nel caso della disposizione contenuta nel testo originario dell’articolo 5, comma 4, della legge regionale della Lombardia n. 31 del 2014, nella parte in cui non consentiva ai Comuni di apportare varianti in riduzione delle previsioni e dei programmi edificatori dello strumento urbanistico vigente.

  1. La fattispecie

In seguito all’entrata in vigore della Legge Regionale della Lombardia 28 novembre 2014 n. 31 (Disposizioni per la riduzione del consumo di suolo e per la riqualificazione del suolo degradato), i proprietari di un’area collocata in Comune di Brescia presentano – nel rispetto del termine previsto dall’articolo 5, comma 6, della LR 31/2014 (trenta mesi dal 2 dicembre 2014, data di entrata in vigore della suddetta legge regionale) – un progetto di piano attuativo allo scopo di prevenire l’eventualità della cancellazione dei diritti edificatori in esito all’adeguamento dello strumento urbanistico alle previsioni del Piano Territoriale Regionale.

Nel luglio 2015 il Comune adotta una variante generale al PGT la quale elimina dal documento di piano la previsione dell’ambito di trasformazione al cui interno ricade il sub comparto degli interessati, ricollocato tra le aree di salvaguardia e mitigazione ambientale.

Gli interessati impugnano la delibera avanti il TAR Lombardia, sezione staccata di Brescia, in primo luogo contestando la violazione dell’articolo 5, comma 4, della LR 31/2014, a norma del quale i comuni possono (potevano), fino all’adeguamento dei PGT, approvare unicamente varianti del PGT e piani attuativi in variante al PGT che non comportino nuovo consumo di suolo, mantenendo in ogni caso «le previsioni e i programmi edificatori del documento di piano vigente».

Il Comune di Brescia si costituisce chiedendo che il ricorso venga respinto e, in via subordinata, che laddove l’interpretazione dell’art. 5 della legge 28 novembre 2014, n. 31, fosse coincidente con quella patrocinata nel ricorso, venga sollevata la questione di illegittimità costituzionale della norma medesima in quanto determinante una illegittima compressione delle potestà urbanistiche comunali.

  1. La sentenza del TAR Lombardia

Con sentenza n. 47 del 17 gennaio 2017, il TAR Lombardia, Brescia, accoglie parzialmente il ricorso, annullando la variante generale nella parte in cui non consente la piena tutela delle aspettative dei ricorrenti basate sul PGT previgente e dettando i criteri, anche temporali, attraverso i quali realizzare l’effetto conformativo della decisione, tenendo conto del fatto che, per effetto del parziale annullamento della variante impugnata, resta in vigore la particolare disciplina delle NTA del PGT previgente il quale filtra gli interventi edificatori contenuti nei piani attuativi attraverso il loro inserimento nel programma triennale degli interventi di trasformazione urbanistica.

Quanto al tema dello jus variandi nel periodo transitorio disegnato dalla LR 31/2014, il TAR afferma che la cancellazione dei piani attuativi previsti dal PGT «non costituisce propriamente applicazione della LR 31/2014, ma rappresenta piuttosto un ripensamento delle originarie scelte pianificatorie», ripensamento che può sì avvenire ma in modo incrementale, rivedendo ogni singolo progetto di piano attuativo ed esponendo per ciascuno le ragioni che inducono a ritenere non più conforme all’interesse pubblico l’equilibrio perequativo fatto proprio dal PGT.

Come sottolineerà il Consiglio di Stato, pur senza farsi carico di scrutinare la questione di legittimità costituzionale prospettata dal Comune di Brescia, il TAR ha implicitamente identificato il possibile fondamento logico della prescrizione interdittiva nella «necessità di salvaguardare il potere della Regione di uniformare la disciplina del consumo di suolo sull’intero territorio regionale, evitando che i proprietari siano esposti, lungo le linee di confine comunali, a vincoli eccessivamente differenziati».

  1. La sentenza non definitiva del Consiglio di Stato

Investito dell’appello principale proposto dal Comune di Brescia e dell’appello incidentale dei ricorrenti originari, con sentenza n. 28 del 4 dicembre 2017 il Consiglio di Stato, sezione quarta, solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 4, ultimo periodo, e comma 9, della legge della Regione Lombardia 28 novembre 2014, n. 31 (Disposizioni per la riduzione del consumo di suolo e per la riqualificazione del suolo degradato), in riferimento agli artt. 5, 117, secondo comma, lettera p), e 118 della Costituzione.

Confermata la vincolatività della prescrizione dell’ultimo periodo del comma 4 – laddove afferma che, fino al completamento dell’adeguamento prescritto, «sono comunque mantenute le previsioni e i programmi edificatori del documento di piano vigente» – il Consiglio di Stato ritiene rilevanti le questioni di legittimità costituzionale prospettate in via subordinata dall’amministrazione comunale, vertenti sulla legittimità del limite al potere comunale di modificare le previsioni del documento di piano vigente, anche senza che ciò comporti nuovo consumo di suolo, non potendo conformarsi in negativo il «quomodo di esercizio» di una funzione amministrativa urbanistica tradizionalmente spettante all’Ente comunale.

  1. La modifica dell’art. 5, comma 4, L.R. 31/2014

Nelle more del giudizio d’appello la Regione Lombardia modifica l’articolo 5 della LR 31/2014.

La legge regionale 26 maggio 2017, n. 16 (Modifiche all’articolo 5 della legge regionale 28 novembre 2014, n. 31), pubblicata sul BURL n. 22, suppl. del 30 maggio 2017, riscrive il comma 4 dell’articolo 5.

Il nuovo testo dispone che fino all’adeguamento dei PGT, e, comunque, fino alla definizione nel PGT della soglia comunale del consumo di suolo, i comuni possano sempre approvare  «varianti generali o parziali del documento di piano e piani attuativi in variante al documento di piano, assicurando un bilancio ecologico del suolo non superiore a zero, computato ai sensi dell’articolo 2, comma 1, e riferito alle previsioni del PGT vigente alla data di entrata in vigore della presente legge».

La disposizione elimina dunque le limitazioni contenute nella precedente formulazione relativamente alle caratteristiche delle varianti ammesse, preoccupandosi unicamente di assicurare che il bilancio ecologico del suolo non sia superiore a zero, computato ai sensi dell’articolo 2, comma 1, e riferito alle previsioni del PGT vigente al 2 dicembre 2014, data di entrata in vigore della LR 31/2014.

La novella non spiega tuttavia effetti sulla vicenda poiché, come evidenzia il Consiglio di Stato, la legittimità di un atto amministrativo va accertata con riguardo allo stato di fatto e di diritto esistente al momento della sua emanazione, secondo il principio del tempus regit actum, così che la legittimità della variante va vagliata alla stregua del testo di legge vigente al momento in cui la stessa venne emanata, non contenendo la LR n. 16/2017 alcuna prescrizione che ne sancisca espressamente la retroattività, né alcuna clausola che la definisca quale legge di natura «interpretativa».

D’altra parte, osserva acutamente l’estensore, se anche si volesse ritenere che la stessa abbia ampliato le potestà spettanti ai comuni (ed è questa, ad avviso del Consiglio di Stato, la portata della novella), laddove venisse confermata la statuizione demolitoria del Tribunale amministrativo regionale, la parte originaria ricorrente potrebbe agire in ottemperanza, e il comune non potrebbe determinare l’assetto urbanistico dell’area giovandosi delle prescrizioni legislative sopravvenute: il che concretizzerebbe un diniego di giustizia, in quanto l’eventuale declaratoria di improcedibilità per carenza di interesse della questione di legittimità costituzionale prospettata priverebbe il Comune di Brescia dell’unica possibilità di ottenere un giudizio di piena legittimità della variante adottata.

  1. La decisione della Corte costituzionale: il delicato rapporto tra poteri regionali e attribuzioni comunali in tema di pianificazione urbanistica

Con sentenza n. 179 del 16 luglio 2019, la Corte costituzionale dichiara l’illegittimità dell’ultimo periodo dell’articolo 5, comma 4, della LR 31/2014 Regione Lombardia 28 novembre 2014, n. 31 nel testo precedente alle modifiche apportate dalla LR 16/2017, «nella parte in cui non consente ai Comuni di apportare varianti che riducono le previsioni e i programmi edificatori nel documento di piano vigente».

Disattendendo le deboli argomentazioni della difesa di Regione Lombardia – secondo cui la «moratoria temporale» permetterebbe di verificare la effettiva realizzabilità delle trasformazioni territoriali già vigenti, «cercando di attuare un equo bilanciamento fra la tutela dell’affidamento del privato nella stabilità delle previsioni contenute nei documenti di piano […] e i nuovi criteri di pianificazione territoriale introdotti dalla nuova legge», mentre la limitazione temporale posta dalla norma censurata «sarebbe comunque limitata a un periodo ragionevole» – la Corte definisce la fattispecie sottopostale attraverso i canoni generali che regolano i rapporti tra poteri delle Regioni e attribuzioni degli enti locali in materia urbanistica.

Da un lato, la competenza concorrente delle Regioni in materia di governo del territorio, dall’altro, la tradizionale rimessione all’autonomia dei Comuni della funzione di pianificazione urbanistica, a far data dalla L. 2359/1865.

Questo «delicato rapporto», come lo definisce la Corte, vive della quotidiana tensione tra la riserva di funzioni regionali nata dalla riforma del Titolo V della Costituzione e il potere dei comuni di autodeterminarsi in ordine all’assetto e alla utilizzazione del proprio territorio.

È il principio di sussidiarietà verticale che provvede a regolarlo, facendo sì che si diano interventi della legislazione regionale nell’ambito della pianificazione urbanistica quando si tratti di realizzare interessi di livello sovracomunale (sentenza n. 378/2000; cfr. anche n. 198/2019), con il limite del divieto di vanificazione dell’autonomia comunale (sentenza n. 83/1997), come statuito dalla stessa Corte quantomeno dal 1991, quando dichiarò l’illegittimità costituzionale della legge della Regione Lombardia 4 luglio 1988, n. 39, finalizzata alla promozione e incentivazione della ricettività   turistica alberghiera ed extralberghiera in occasione dei campionati mondiali di calcio del 1990 (sentenza n. 212/1991).

Se questo è il quadro di riferimento, ne discende che cristallizzare, come fa (faceva) il comma 4 dell’articolo 5 della LR 31/2014, i contenuti edificatori del documento di piano equivale a sottrarre ai comuni un contenuto importante della propria funzione di pianificazione, «ritenendoli inidonei» (se non, come specificato poco più avanti in sentenza, inadeguati) «a svolgerla in nome di una esigenza di esercizio unitario rispondente a non ben definiti interessi generali», come d’altro canto rivela il fatto che non sia prevista alcuna possibilità di una motivata interlocuzione degli enti locali con gli organismi regionali, in contrasto con quanto la stessa Corte ha affermato in ordine alla necessità di «garantire agli stessi forme di partecipazione ai procedimenti che ne condizionano l’autonomia» (sentenza n. 126 del 2018).

  1. Ulteriori considerazioni in tema di “diritti pregressi”

Per quanto non strettamente necessario, la sentenza si preoccupa di dare risposta alle tesi delle difese di Regione Lombardia e dei privati, secondo cui la cristallizzazione delle previsioni volumetriche dello strumento urbanistico corrisponde all’esigenza di tutelare l’affidamento dei soggetti coinvolti al mantenimento di determinate previsioni urbanistiche.

La Corte ha tenuto a ricordare, nel solco di una giurisprudenza amministrativa definitivamente consolidata, che è solo in presenza di convenzioni già stipulate che l’amministrazione comunale è tenuta a tenere presente, all’interno del processo decisionale, l’affidamento dei privati al mantenimento di previsioni urbanistiche esistenti: affidamento che, in ogni caso, non si risolve nella intoccabilità delle previsioni in questione (ex multis, T.A.R. Lombardia Milano Sez. II, 6 settembre 2017, n. 1788) ma in un onere motivazionale più intenso (ex multis, TAR Sicilia, Palermo, 21 febbraio 2018 n. 449).

Affidamento che, nel caso di specie, la norma censurata verrebbe invece a garantire «in un momento molto anteriore rispetto a quello in cui matura un’aspettativa qualificata al mantenimento della destinazione urbanistica».

  1. Infine: la prassi delle varianti agli strumenti urbanistici nelle more del procedimento delineato dalla LR 31/2014

La decisione della Corte costituzionale si inserisce in quadro caratterizzato dal complesso procedimento delineato da Regione Lombardia con l’obiettivo di giungere entro il 2050 a una occupazione netta di terreno pari a zero (articolo 1, comma 4, L.R. 31/2014).

Il traguardo del consumo zero è raggiunto, nelle intenzioni del legislatore, attraverso strumenti tra loro coordinati, il primo dei quali è la fissazione nel Piano Territoriale Regionale (PTR) delle modalità di determinazione e quantificazione dei criteri (“indici”) necessari per misurare il consumo di suolo, il successivo adeguamento degli strumenti di pianificazione di area vasta (PTCP e città metropolitane) a quanto determinato dal PTR e, quindi, l’allineamento delle previsioni urbanistiche delle amministrazioni locali (PGT) (articolo 5, commi 1/3).

Come la stessa Corte costituzionale sottolinea, i termini di questa sequenza procedimentale hanno carattere «meramente ordinatorio», così che le amministrazioni locali non hanno alcuna certezza su quando procedere ad operare secondo i dettami della LR 31/2014.

Proprio l’assenza di certezze ha quindi spinto diverse amministrazioni lombarde, in particolar modo quelle alle prese con la scadenza del termine di quinquennale di validità del Documento di Piano (articolo 8, comma 4, LR 12/2005), a far ricorso alle prerogative ad esse attribuite in tema di pianificazione e non alla LR 31/2014, procedendo a varianti dei propri strumenti urbanistici con importanti riduzioni delle previsioni edificatorie originarie e minore consumo di suolo, senza attendere la conclusione del processo delineato dalla LR 31/2014 e senza che Regione Lombardia abbia mai rilevato alcunché a questo proposito in sede di esame del Documento di Piano.

La correttezza di tale approccio è stata più volte rimarcata dal TAR Lombardia, il quale ha affermato la legittimità di nuovi PGT o di varianti, anche tramite piani attuativi, «stante la possibilità del Comune di procedervi ancor prima della previa integrazione del P.T.R. (Piano territoriale regionale) e dell’adeguamento del P.T.C.P. (Piano territoriale di coordinamento provinciale)».

Così, da ultimo, il TAR Milano (sezione seconda, 21 agosto 2019 n. 1915) ricorda – sulla scorta delle numerose pronunce elencate in motivazione – che il tema della sopravvivenza delle facoltà edificatorie rimaste inattuate non si pone, atteso che tale ultrattività presuppone necessariamente la vigenza del Documento di piano.

Il che raccorda positivamente la pronuncia della Corte costituzionale qui commentata con l’orientamento del TAR Lombardia relativo non solo alla possibilità di approvare varianti in diminuzione delle volumetrie preesistenti, ma anche su un tema, quello delle così dette “aspettative volumetriche”, ancor oggi oggetto di discussioni.

Risolta la questione della legittimità del comportamento del Comune di Brescia relativamente all’applicazione del testo (non più vigente) dell’articolo 5, comma 4, LR 31/2014, resta infine la curiosità circa la decisione finale da parte del Consiglio di Stato sugli altri temi sottopostigli.

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Per il testo della sentenza (estratto dal sito istituzionale della Corte Costituzionale) cliccare sul pdf allegato

Spallino_Corte Cost 179_2019

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