Servizio idrico e tariffa del servizio di depurazione

24 Lug 2020 | giurisprudenza, civile

Di Letizia Frigerio

CORTE DI CASSAZIONE CIVILE, Sez. III, 20 Aprile 2020 (Ud. 11/09/2019), n. 7947 – Pres. Amendola, Est. Moscarini – Ricorso 2652-2018: IRETI S.P.A., IREN ACQUA TIGULLIO S.P.A., ACQUE POTABILI S.P.A. (Avv.ti  Salvatore Mileto,  Ronnie Rodino, Luca Alfredo Lanzalone e Luciano Costantini c. Condominio La Caravella (Avv. Vittorio Petrocco);

In tema di trattamento delle acque e prestazione del servizio, va esclusa la debenza del corrispettivo in tutti i casi di impossibilità materiale di fruizione del servizio di depurazione o di mancato funzionamento dello stesso per fatto non imputabile all’utente, stante l’assenza della controprestazione.

In tema di canone di depurazione acque e prestazione del servizio, l’onere della prova dell’esistenza di un impianto funzionante è posto, pacificamente, a carico del soggetto erogatore del servizio. Configurandosi la tariffa del servizio idrico integrato, in tutte le sue componenti, come il corrispettivo di una prestazione commerciale complessa, è il soggetto esercente detto servizio, il quale pretenda il pagamento anche degli oneri relativi al servizio di depurazione delle acque reflue domestiche, ad essere tenuto a dimostrare l’esistenza di un impianto funzionante nel periodo oggetto della fatturazione, in relazione al quale pretende la riscossione.

Con la sentenza in esame, la Suprema Corte risolve la disputa fra un utente del “servizio idrico integrato”, nella fattispecie avendo riguardo al servizio di depurazione, e il soggetto deputato alla riscossione delle tariffe del menzionato servizio a favore del primo, accogliendo la tesi per cui va esclusa la debenza del corrispettivo nel caso in cui il servizio di depurazione non sia reso per impossibilità materiale di fruizione dello stesso ovvero per mancato funzionamento per fatto non imputabile all’utente.

In particolare, l’utente ha convenuto dinnanzi al giudice di prima istanza la società deputata alla riscossione della tariffa per l’erogazione del “servizio idrico integrato”, chiedendone la condanna alla restituzione della somma corrisposta per il servizio di depurazione, non prestato, in ragione dei principi statuiti dalla sentenza della Corte costituzionale n. 335 del 2008.

Detta sentenza ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 14, co. 1 L. n. 36 del 1994, nonché dell’art. 155, co. 1 , del D.Igs. 3 aprile 2006 n. 152, nella parte in cui prevedevano che la quota del servizio idrico fosse dovuta dagli utenti “anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi”.

A causa di una questione di improcedibilità sollevata da un terzo intervenuto nel giudizio di primo grado, tuttavia, a pronunciarsi sul merito della questione tariffaria non è stato il Tribunale, bensì la Corte di Appello adita in seconda istanza, la quale ha accertato che l’impianto depurativo non compiva un ciclo completo di depurazione, con la conseguenza che, non essendo configurabile una controprestazione, l’utente aveva diritto alla ripetizione delle somme.

Avverso la sentenza della Corte di Appello è stato proposto ricorso per Cassazione da parte del convenuto in primo grado, oltre che del terzo chiamato (società che gestisce il “servizio idrico integrato”) e del terzo volontariamente intervenuto (società che gestisce, fra l’altro, la distribuzione dell’acqua), mentre l’utente del servizio che ci occupa ha proposto controricorso.

Nel decidere sui motivi di ricorso presentati, la Suprema Corte ha confermato l’impianto della pronuncia del giudice di secondo grado, ribadendone la conformità alla giurisprudenza di legittimità secondo la quale la portata della sentenza della Corte costituzionale n. 335 del 2008 è tale da escludere la debenza del corrispettivo in tutti i casi di impossibilità materiale di fruizione del servizio di depurazione o di mancato funzionamento dello stesso per fatto non imputabile all’utente, stante l’assenza della controprestazionei; la Suprema Corte chiarisce inoltre che alla fattispecie sotto giudizio non può che assimilarsi il caso di un impianto di depurazione che, pur esistente, non realizzi il servizio per qualsivoglia motivo facendo venire meno il sinallagma previsto dalla legge.

In sostanza, secondo il ragionamento fatto proprio dalla Corte costituzionale, a cui la sentenza in commento aderisce, la tariffa del servizio idrico integrato si configura, in tutte le sue componenti, come corrispettivo di una prestazione commerciale complessa che, seppur determinato nel suo ammontare in base alla legge, trova la propria fonte nel contratto di utenza, non già in un atto autoritativo direttamente incidente sul patrimonio dell’utente; ne consegue che è da considerarsi irragionevole l’imposizione all’utente dell’obbligo del pagamento della quota, riferita alla componente della tariffa per la depurazione, anche in mancanza della controprestazione.

Da quanto precede deriva incontrovertibilmente che, per legge e per statuizione della Consulta, la tariffa di depurazione ha natura di corrispettivo ed è pacifico che la corrispettività coincida con la nozione di sinallagmaticità, la quale si sostanzia nel nesso di interdipendenza tra le prestazioniii: in altre parole, il pagamento del corrispettivo trova la sua ragione fondante nel servizio di depurazione ricevuto.

E’ quindi pacifico che la tariffa non si sostanzi più in un tributo. Invero, la natura di tributo è stata infatti persa dal 3 ottobre 2000, data a partire dalla quale il canone per i menzionati servizi è divenuto un corrispettivoiii, continuando ciò malgrado ad essere dovuto in ragione dell’art. 14, comma 1 della legge 5.1.1994, n. 36 (legge Galli) prima e dell’art. 155 del D.Lgs. 152/2006 poi (entrambi nel testo vigente prima della declaratoria di incostituzionalità del 2008), secondo cui il pagamento del corrispettivo in parola doveva effettuarsi pur in assenza di connessione con impianti di depurazione o in presenza di impianti temporaneamente inattivi.

Norme, quelle da ultimo citate, dichiarate costituzionalmente illegittime proprio dalla sentenza della Corte costituzionale n. 335 del 2008 la quale peraltro, da un lato, ha ritenuto autonomamente rilevante la quota di depurazioneiv, confermando tuttavia dall’altro che, stante l’unitarietà della tariffa, le sue singole componenti (fognatura, depurazione) hanno natura omogenea, con la conseguenza che anche solo una di tali componenti non può avere natura di tributo anziché di corrispettivo. Inoltre, a sostegno della natura non tributaria della quota di tariffa erano intervenute, già prima della sentenza della Corte costituzionale che ci occupa, le sezioni unite della Corte di Cassazione, “che hanno costantemente riconosciuto, nelle controversie relative alla quota riferita al servizio di depurazione, la giurisdizione del giudice ordinario, nel presupposto che, con il passaggio della disciplina previgente a quella della legge 36/1994 ‹canoni› di depurazione delle acque reflue si sono trasformati ‹da tributo a corrispettivo di diritto privato›”v.

La Consulta ha altresì aggiunto che, nella fattispecie sottoposta al suo esame, non avrebbe potuto in contrario qualificarsi come controprestazione il fatto che le somme pagate dagli utenti in mancanza del servizio sarebbero state destinate, attraverso un apposito fondo vincolato, all’attuazione del piano d’ambito, comprendente anche la realizzazione dei depuratorivi.

Al riguardo, la sentenza in commento si pone nel solco di quella dei giudici costituzionali e di precedenti pronunce della Corte di Cassazionevii e del Consiglio di Statoviii, secondo cui la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione, in quanto componente della complessiva tariffa del servizio idrico integrato, ne ripete necessariamente la natura di corrispettivo contrattuale, il cui ammontare è inserito automaticamente nel contratto (L. n. 36 del 1994, art. 13), con la conseguenza che è irragionevole l’imposizione all’utente dell’obbligo del pagamento della quota riferita al servizio di depurazione anche in mancanza della controprestazione dal momento che, appunto, l’eventuale destinazione delle somme versate dagli utenti all’attuazione di un piano che includa anche l’implementazione di depuratori non potrebbe in ogni caso considerarsi come controprestazione.

Con riguardo alla mancanza della controprestazione, deve ulteriormente precisarsi che a rendere indebita la richiesta di pagamento della tariffa per la depurazione delle acque, nell’ambito del contratto di utenza per la fruizione del servizio idrico, è, indifferentemente, la mancanza dell’impianto di depurazione, ovvero la sua inattività, seppur temporanea. Quest’ultima fattispecie, peraltro, include sia il “fermo” volontariamente disposto per qualsivoglia ragione, sia l’assoluta inefficienza dell’impianto, ovvero la sua inidoneità al funzionamento. Diversamente, infatti, ci si porrebbe in contrasto con la “ratio” stessa della pronuncia della Corte Costituzionale (la già citata sentenza n. 335 del 2008) “che è quella di rimarcare il carattere indebito del pagamento in caso di mancata fruizione, da parte dell’utente, del servizio di depurazione, per fatto a lui non imputabile qualunque esso sia, essendo, in tal caso irragionevole, per mancanza della controprestazione, l’imposizione dell’obbligo del pagamento della quota riferita a detto servizio”ix.

Da quanto sopra si evince pertanto che, in assenza di impianto di depurazione, ovvero in presenza di impianto di depurazione non funzionante, la tariffa per il servizio connesso non può essere richiesta. In ogni caso, spetterebbe al soggetto erogatore del servizio dare prova del funzionamento dell’impianto, come rileva la sentenza in commento, precisando che “configurandosi la tariffa del servizio idrico integrato, in tutte le sue componenti, come il corrispettivo di una prestazione commerciale complessa, è il soggetto esercente detto servizio, il quale pretenda il pagamento anche degli oneri relativi al servizio di depurazione delle acque reflue domestiche, ad essere tenuto a dimostrare l’esistenza di un impianto funzionante nel periodo oggetto della fatturazione, in relazione al quale pretende la riscossionex.

Il pagamento di un servizio non reso si porrebbe peraltro in contrasto con il principio “chi inquina paga”.

Invero, l’art. 154 del D. Lgs. 152/2006 stabilisce che la tariffa per il servizio idrico integrato ne costituisce il corrispettivo parametrato alla qualità dei reflui in modo che sia garantita “la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio secondo il principio del recupero dei costi e secondo il principio <chi inquina paga>”xi.

Ne consegue che, il pagamento del corrispettivo per la depurazione in assenza di impianto dedicato ovvero in presenza di impianto non funzionante, pregiudicherebbe l’utente in spregio al principio fatto proprio dalla normativa vigente.

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