Necessaria l’autorizzazione alle emissioni per l’attività di verniciatura industriale

15 Ott 2019 | giurisprudenza, penale

di Alberto Nicòtina

CASSAZIONE PENALE, sez. III, 7 giugno 2019, n. 25324

L’attività di verniciatura industriale non è attività esercitabile in deroga e, pertanto, necessita di apposita autorizzazione ai sensi dell’art.269 D. Lgs. 152/2006, a nulla rilevando quanto stabilito da eventuali disposizioni regionali contrastanti, destinate in quanto tali ad essere disapplicate o diversamente interpretate.

Il mancato coordinamento tra fonti normative nazionali e regionali rischia spesso di minare la certezza del diritto, creando confusione in sede applicativa ai meno attenti tra gli operatori del settore.

È quanto accaduto nella decisione in commento, con la quale la Corte di Cassazione ha confermato la sentenza del Tribunale di Foggia che ha condannato un gestore di attività di autocarrozzeria con verniciatura industriale per il reato di cui agli articoli 269, primo comma e 279, primo comma D. Lgs. 152/2006 per aver svolto la propria attività in assenza della prescritta autorizzazione.

Nel corso del giudizio, l’imputato resisteva allegando la Deliberazione della Giunta Regionale pugliese n. 1497 del 11 ottobre 2002 – adottata quindi ante Testo Unico Ambientale – ai sensi della quale “la riparazione e la verniciatura delle carrozzerie di autoveicoli, mezzi e macchine agricole con utilizzo di impianti a ciclo aperto e utilizzo di prodotti vernicianti pronti all’uso non superiore a 20 kg/g” sarebbe esercitabile “in deroga”. Nel fissare tali limiti, la Regione Puglia replicava pedissequamente il punto 2 dell’Allegato 2 al D.P.R. 25 luglio 1991, abrogato dal D. Lgs. 152/2006.

Il DPR 25 luglio 1991 prevedeva, infatti, una serie di eccezioni rigorosamente tassative alla regola generale, a tenore della quale erano soggetti ad autorizzazione “tutti gli impianti che possono dar luogo ad emissioni in atmosfera” (art. 1, comma 2, lett. a), “ad esclusione di quelli destinati alla difesa nazionale” (art. 2, punto 9).

Tra le citate eccezioni, l’Allegato 2, punto 2 del DPR 25 luglio 1991 prevedeva anche “l’attività di verniciatura industriale con utilizzo di prodotto verniciante inferiore a 20 kg al giorno”, considerata “attività a ridotto inquinamento atmosferico”. Il regime autorizzativo relativo a tali attività era affidato, in via generale, alle Regioni, così abilitate a stabilire i limiti e le modalità applicative.

Nella vigenza dell’assetto delineato dal DPR 25 luglio 1991, la Suprema Corte si è pronunciata a più riprese, confermando la soggezione alla relativa disciplina delle attività di autocarrozzeria e di verniciatura industriale, in quanto “impianti” ai sensi dell’art. 1 dello stesso DPR[1] .

Dal 2006, tuttavia, il D. Lgs. 152/2006 (Testo Unico Ambientale), ancorché in parziale continuità con l’assetto previgente, non reca più alcun riferimento alle attività di verniciatura tra quelle esercitabili in deroga.

Ne consegue che, nel caso in commento, la norma regionale pugliese “non aggiornata” sia stata correttamente disapplicata, a nulla rilevando l’effettiva quantità di prodotto verniciante utilizzato ai fini dell’obbligo di autorizzazione.

Ed infatti, come precisato dalla Suprema Corte rifacendosi al proprio radicato orientamento, ove non diversamente stabilito dal Legislatore nazionale, “tutti gli stabilimenti, comprese le carrozzerie, per il loro alto contributo inquinante dovuto all’uso di vernici, devono possedere impianti, installazioni o dispositivi tali da contenere entro i più ristretti limiti che il progresso della tecnica consenta la emissione di fumi, gas o polveri o esalazioni, onde evitare danni all’ambiente, presunti per legge”[2].

Come è stato efficacemente notato, il meccanismo della presunzione dei danni all’ambiente connaturati allo svolgimento delle attività antropiche generatrici di emissioni, fonda e giustifica la ratio duplice dell’intervento autorizzativo della Pubblica Amministrazione in questo settore: valutare la compatibilità ambientale delle attività economiche potenzialmente dannose prima che esse possano dispiegare i propri effetti negativi e rimuovere qualsiasi ostacolo aprioristicamente posto allo svolgimento di attività produttive, la cui concreta portata inquinante dev’essere invece valutata caso per caso[3].

Comprensibile, quindi, ancorché non giustificabile sul piano giuridico, l’omissione dell’operatore nel caso in analisi. Essa, a ben vedere, è frutto a sua volta di un inopinato (ed evitabile) mancato coordinamento normativo, con notevole impatto negativo sulla intellegibilità delle regole e così, in ultima analisi, sull’iniziativa economica.

Per il testo della sentenza di Cassazione Penale, sez. III, 7 giugno 2019, n. 25324 (estratto dal sito istituzionale della Corte di Cassazione) cliccare sul PDF in allegato.

Nicotina_Cass. pen. 25324-2019

[1] Cassazione penale, sez. III, nn. 6153/1998, 3/1999, 34378/2001, 40557/2002.

[2] Cassazione penale, Sezione III, 8606/1987.

[3] In questo senso v. P. Dell’Anno, E. Picozza, Trattato di Diritto dell’Ambiente, vol. II, CEDAM, Padova, 2013, p. 39; P. Dell’Anno, Contributo allo studio dei procedimenti autorizzatori, Padova, 1989, p. 279.

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