Novel foods e tecnologia alimentare come strumenti di salvaguardia ambientale

EDOARDO FERRERO

1. L’impatto ambientale dell’industria dei cibi animali.
2. Gli insetti: potenzialità e limiti.
3. La carne sintetica come alternativa all’industria zoo- tecnica: una suggestione o qualcosa di più?
4. Tecnologie alimentari e partecipazione ai processi decisionali.
5. Organismi geneticamente modificati, alimenti speciali e nuovi alimenti.
6. L’immissione in commercio degli alimenti.
7. L’immissione in commercio dei nuovi alimenti: la normativa previgente.
8. Le novità più rilevanti introdotte dal Regolamento (UE) n. 2283/2015.
9. La nuova procedura centralizzata.
10. La procedura di notifica per gli alimenti tradizionali da Paesi terzi.

1. L’impatto ambientale dell’industria dei cibi animali

L’immissione in commercio di prodotti alimentari derivanti dall’impiego di tecnologie alimentari costituisce una tematica relativamente recente, in ordine alla quale non si è ancora formata una dottrina consolidata1.
Si tratta, in altre parole, di uno spazio in parte inesplorato, la cui analisi non può però più essere procrastinata, in quanto le istanze del mondo economico, volte ad ottenere una regolazione del settore, si stanno facendo sempre più pressanti.
In questa sede, si procederà quindi a compiere una preliminare disamina del quadro fattuale, soffermandosi in particolare sulle scoperte e sugli investimenti realizzati nell’ambito delle tecnologie alimentari impiegate ai fini della produzione di alimenti.
Solo a questo punto potranno evidenziarsi i punti critici del sistema, rilevandone le eventuali inadeguatezze e carenze, cui porre rimedio a li- vello normativo attraverso l’introduzione di prescrizioni e limiti all’accesso di questi prodotti al mercato europeo.
Occorre partire dal dibattito che si è aperto sull’impatto ambientale provocato dall’industria dei cibi animali, ovvero sul complesso di effetti che la zootecnia e la pesca commerciale determinano sull’ambiente na- turale. I metodi di produzione di carne industriale sono infatti al centro di feroci critiche da parte di studiosi ed associazioni, in ragione della sua insostenibilità in termini di costi economici ma soprattutto ambientali2.
A tale proposito viene richiamata la statistica per cui, nella seconda metà del XX secolo, il consumo globale di carne è aumentato di 5 volte, passando da 45 milioni di tonnellate all’anno nel 1950 a 233 milioni di tonnellate all’anno nel 2000. Entro l’anno 2050, è stato stimato che il consumo globale di carne, se non sarà oggetto di limitazioni all’accesso, arriverà a 465 milioni di tonnellate3.
La conseguenza evidente ed inevitabile di questo aumento di consumi è stata, ovviamente, una crescita esponenziale degli animali allevati, che però nel lungo termine si è rivelata incompatibile con i ritmi naturali terrestri, incidendo così in modo negativo sull’ambiente. In particolare, gli effetti negativi consistono in un consumo eccessivo delle risorse idriche e del suolo, nella deforestazione e nell’ulteriore incremento delle emissioni di gas serra.
A questi rilievi di sostenibilità ambientale se ne aggiungono altri, tra cui quelli relativi alla salute pubblica, che, stando alle ricerche più recenti4, risulterebbe minata da abitudini di vita che prevedono un consumo sfrenato di carne rossa.
Altre questioni sorgono con riferimento ai temi etici, quali, ad esempio, le preoccupazioni connesse al benessere degli animali5, che nel corso degli anni hanno condotto ad una sempre più pervasiva regolamentazione delle modalità di trattamento degli animali da allevamento, al fine di proteggerli da inutili sofferenze o lesioni6.
Ciò posto, in un pianeta in cui la domanda di carne è destinata ad aumentare nei prossimi decenni in conseguenza anche dell’incremento della popolazione, destinata a raggiungere i nove miliardi di individui nel 20507, è possibile ipotizzare tre soluzioni: mantenere inalterato l’attuale modello industriale, tentare di convertire al vegetarianesimo e veganesimo l’intera popolazione oppure trovare fonti di sostentamento alternative.
Se la prima soluzione non è più sostenibile, per la serie di ragioni che sono state appena esplicitate, e la seconda soluzione appare allo stato so- stanzialmente impossibile, poiché comporterebbe un mutamento troppo drastico delle abitudini alimentari della popolazione, con probabili conseguenze negative anche sotto il profilo economico, l’unica soluzione percorribile appare la terza, sia pure con le precisazioni che si andranno a sviluppare.
Fonti di sostentamento alternative alle attuali fonti di proteine ani- mali paiono essere, essenzialmente, di due tipi: da un lato, gli insetti e le alghe; dall’altro lato, la carne prodotta in laboratorio attraverso l’impiego delle tecnologie alimentari.
Si tratta, in entrambi i casi, di prodotti alimentari che rientrano sotto l’etichetta di novel foods, che – come meglio si vedrà nel prosieguo, allorquando si esaminerà il Regolamento (UE) n. 2283/20158 – sta ad in- dicare tutti quei prodotti non consumati in maniera significativa in Europa prima dell’entrata in vigore delle norme attuali. Nel concreto, la casistica si divide in due categorie: la prima è formata dai prodotti consumati da più di 25 anni al di fuori dai confini dell’Unione Europea (come le alghe e gli insetti nei Paesi orientali, per l’appunto), mentre la seconda è composta dai prodotti sviluppati attraverso l’utilizzo delle nuove tecnologie.

1 Si rinvengono, essenzialmente, i contributi di I. CANFORA, Alimenti, nuovi ali- menti e alimenti tradizionali nel mercato dell’Unione Europea dopo il regolamento 2015/2283, in Diritto Agroalimentare, 2016, pp. 29-46 e G. BONORA, I Novel Foods nel Reg. (UE) n. 2015/2283 e gli insetti: una possibile evoluzione dei costumi alimentari?, in Rivista di diritto alimentare, 2016, X, 1, pp. 42-54.
2 Tra gli studi più citati vi è senz’altro quello di A.J. MCMICHAEL, J.W. POWLES, C.D. BUTLER, R. UAUY, Food, livestock production, energy, climate change, and health, in The Lancet, 2007, Vol. 370, 9594, pp. 1253-1263, ove si mostra quanto il cibo, gli allevamenti, l’energia, i cambiamenti climatici e la salute siano correlati tra loro e quanto sia urgente una diminuzione drastica del consumo di carne per evitare il disastro ambientale. Nell’articolo si fa notare come le emissioni di gas serra causate dal settore zootecnico siano pari al 18% del totale (si tenga conto che questa percentuale è superiore rispetto a quella dovuta al settore dei trasporti, stimata in misura pari al 13,5% dal dos- sier predisposto nel 2006 dal FAO dal titolo “Livestock’s long shadow: environmental issues and options”, disponibile alla pagina www.fao.org/docrep).
3 Questi dati sono stati estrapolati dal rapporto della FAO citato alla nota prece- dente.
4 È appena il caso di ricordare come, di recente, l’International Agency for Research on Cancer (IARC), ramo dell’Organizzazione Mondiale per la Sanità (OMS), abbia in- cluso hamburger, bacon e salsicce nella lista degli alimenti potenzialmente cancerogeni, ribadendo quali sono i danni che una dieta prevalentemente a base animale può pro- vocare sulla salute umana nel lungo periodo. Per ulteriori dettagli si rinvia direttamente al rapporto predisposto a nome dello IARC, di cui si richiamano gli estremi: V. BOU- VARD – D. LOOMIS – K.Z. GUYTON – Y. GROSSE – F. EL GHISSASSI – ML. BENBRAHIM TAL- LAA – N. GUHA, H. MATTOCK, K. STRAIF (Monograph Working Group), Carcinogenicity of consumption of red and processed meat, in The Lancet, 2015, XVI, 16, pp. 1599-1600.
5 Questi problemi di natura etica hanno trovato ampia diffusione, come dimostrano alcuni documentari, tra tutti Cowspiracy: the sustainability secret (2014), e scritti, come il fenomeno letterario di J.S. FOER, Se niente importa. Perché mangiamo gli ani- mali?, Milano, 2010, ove si afferma che “Non dovrebbe essere responsabilità del consumatore capire che cos’è crudele e che cos’è benevolo, che cos’è distruttivo per l’ambiente e che cos’è sostenibile. I prodotti alimentari crudeli e distruttivi dovrebbero essere illegali. Non ci serve l’opzione di comprare giocattoli per bambini colorati con vernici al piombo, o spray con clorofluorocarburi o farmaci con effetti collaterali non indicati. E non ci serve l’opzione di comprare animali provenienti da allevamenti industriali. Per quanto oscuriamo o ignoriamo questo fatto, sappiamo che l’allevamento intensivo è inumano nel senso più profondo del termine. E sappiamo che la vita che creiamo per gli esseri viventi più in nostro potere ha un’importanza profonda. La nostra reazione all’allevamento intensivo è in definitiva un test su come reagiamo all’inerme, al più remoto, al senza voce; è un test su come ci comportiamo quando nessuno ci costringe ad agire in un modo o nell’altro. Essere coerenti non è obbligatorio, ma confrontarsi con il problema sì” (p. 285).
6 La legge capostipite nell’ordinamento italiano è la legge 14 ottobre 1985, n. 623, di ratifica ed esecuzione delle convenzioni sulla protezione degli animali negli alleva- menti e sulla protezione degli animali da macello, adottate a Strasburgo rispettivamente il 10 marzo 1976 e il 10 maggio 1979.
7 La previsione è contenuta nel documento predisposto dall’OCSE dal titolo Environmental Outlook to 2050. The Consequences of Inaction, che richiama sul punto il rapporto denominato World Population Prospects – The 2008 Revision redatto dall’ONU e disponibile alla pagina www.un.org/esa/population/publications.
8 Regolamento (UE) 2015/2283 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2015, relativo ai nuovi alimenti e che modifica il regolamento (UE) n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio e abroga il regolamento (CE) n. 258/97 del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 1852/2001 della Commissione.

 

2. Gli insetti: potenzialità e limiti

La tematica del consumo di insetti, pur esulando dall’ambito delle tecnologie alimentari, merita alcune osservazioni particolari, in quanto è stata al centro di un dibattito scientifico, sfociato in un parere dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare9.
Occorre anzitutto precisare che l’entomofagia10, ossia il consumo di insetti come cibo, è stato a lungo sprovvisto di disciplina normativa. Soltanto col nuovo regolamento in materia di novel foods, emanato nel 2015 e con entrata in vigore nel 2018, la tematica è stata regolamentata espressamente11.
Prima di questa normativa, l’immissione in commercio degli insetti in alcuni dei Paesi europei12 è avvenuta in assenza di alcuna valutazione circa la loro sicurezza, che dunque si è desunta in considerazione della sola circostanza che tali alimenti sono stati oggetto di consumo da parte di numerose altre popolazioni, specie orientali.
L’inclusione degli insetti nel novero dei novel foods, e quindi degli alimenti che necessitano di una preventiva autorizzazione alla loro immissione in commercio, è stata preceduta da una serie di studi, che ne hanno evidenziato le potenzialità ma anche i limiti.
L’organizzazione indubbiamente più attiva su questo versante è stata la FAO, che ha riassunto e divulgato gli aspetti benefici dell’entomofagia nell’ambito del programma Edible insects13.
L’assunto di partenza è quello per cui gli insetti rappresentano una fonte di proteine e amminoacidi più efficiente rispetto agli altri animali tradizionalmente allevati per l’alimentazione umana. A parità di proteine prodotte, infatti, gli insetti consumerebbero quantità infinitamente più piccole di mangimi, di acqua potabile, di energia, producendo minori emissioni di gas serra e potendo essere utilizzati per decomporre i rifiuti, senza entrare in competizione alimentare con gli stessi esseri umani.
A ciò si aggiunge la circostanza che gli insetti integrano la dieta di circa due miliardi di persone, ovvero poco meno di un terzo dell’intera popolazione mondiale. Al contrario che le altre categorie di novel foods, dunque, gli insetti non costituiscono una novità per l’uomo ma hanno sempre fatto parte dell’alimentazione umana, sia pure di una determinata fetta e non dell’intera popolazione mondiale.
Oltre a costituire una fonte di proteine e di altri nutrienti per l’uomo, la FAO ha evidenziato come gli insetti possano costituire anche una valida alternativa per integrare i mangimi tradizionali, come peraltro avviene in altre parti del pianeta14.
In questa prospettiva si inseriscono le risultanze del documento, risa- lente al giugno 2015, redatto per conto del Parlamento britannico ed in- titolato Novel Food Production15. Questo report, nel suddividere l’innovazione alimentare in tre distinti filoni di studio16, si sofferma sull’incidenza della produzione e del consumo di insetti, giungendo alla conclusione che sono necessarie ulteriori ricerche per ottimizzare i sistemi di allevamento e verificare gli eventuali rischi per la salute e il benessere degli esseri umani e degli animali.
Viene inoltre avvertita l’esigenza di approvare norme per la produzione e la trasformazione di prodotti alimentari a base di insetti per con- sentire di sviluppare allevamenti su larga scala e il loro impiego nell’industria alimentare e dei mangimi.
Un ulteriore aspetto, che non viene trattato nel report inglese ma che costituisce comunque un punto delicato, forse il più delicato, è quello concernente la percezione dei consumatori. Sono infatti necessarie ulteriori ricerche di valutazione socio-economiche per fornire una corretta ed efficace informazione ai diversi soggetti coinvolti, così che il consumo di insetti possa essere accettato e condiviso in modo diffuso.
Al riguardo è stato correttamente evidenziato che “il cambiamento delle abitudini alimentari passa sicuramente attraverso un processo molto lento e l’accettazione di una simile metamorfosi nei costumi dell’Europa non può, evidentemente, essere imposta dall’alto”17.
Un ruolo certamente fondamentale potrà essere giocato dalla psicologia sociale, e precisamente da quella branca di studi conosciuta con il nome di psicologia ambientale, interessata ai problemi di assetto, cambiamento e gestione dell’ambiente.
Questa disciplina concerne lo studio degli atteggiamenti ambientali, ossia delle “variazioni emergenti nel comportamento individuale, a fronte di circostanza tra loro simili”18.
In altre parole, l’obiettivo centrale consiste nel rilevare le tendenze a rispondere in maniera favorevole oppure sfavorevole alle caratteristiche dell’ambiente, accertando “l’incidenza che può essere esercitata, su tali gerarchie valutative, da variabili sociodemografiche (quali il sesso e l’età) e/o relative ad alcune condizioni che contribuiscono a specificare il rapporto più complessivo che intercorre tra le persone e l’ambiente”19.
Ebbene, come dimostrato da molteplici studi in proposito, esiste una più alta probabilità che le persone assumano comportamenti responsabili quando vengono informate sulle conseguenze che possono derivare dall’assunzione di un determinato comportamento20.
Applicando queste teorie al consumo di insetti (ma non solo: il discorso può essere esteso anche e soprattutto a quegli alimenti che sono il frutto delle scoperte della tecnologia alimentare), ne consegue la necessità di informare e sensibilizzare la popolazione sugli effetti positivi che possono ricadere sull’ambiente, onde contrastare il sentimento di repulsione e disgusto che il loro consumo suscita nella maggior parte dei Paesi occidentali.
In questa ottica di divulgazione e comunicazione deve quindi essere inquadrata la prima degustazione autorizzata di insetti in Italia organizzata nell’ambito di Expo 201521, che ha contribuito ad attirare intorno a questa tematica l’attenzione mediatica e dell’opinione pubblica, unita- mente alla presentazione, sempre nell’ambito della medesima manifestazione, del Libro bianco sugli insetti edibili, predisposto da un ente privato senza scopi di lucro22.
Di poco successiva a questi avvenimenti è la pubblicazione del citato parere scientifico dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare, cui si era rivolta la Commissione in vista dell’adozione del Regolamento (UE) n. 2283/201523.
In questo parere, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, pur manifestando la necessità di svolgere ulteriori indagini, ha confermato l’esistenza di potenziali benefici e vantaggi legati al consumo di insetti come cibo per l’uomo e come mangime per gli animali.
Inoltre, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare ha appurato una sostanziale equivalenza sia dei pericoli sulla salute umana connessi al consumo di insetti non trattati con quelli associati alle altre fonti di proteine animali, sia dei rischi ambientali legati alla produzione di insetti rispetto a quelli associati con altri tipi di allevamento.
Se a livello sovranazionale emerge questa consapevolezza circa le potenzialità ma anche i limiti del consumo di insetti, così non può dirsi a livello nazionale, ove residuano ancora sentimenti di diffidenza e paura, specie da parte delle comunità locali.
L’esempio più eclatante è quello del Comune di Andrate, nella Città metropolitana di Torino, la cui Giunta Comunale, in vista dell’entrata in vigore della nuova normativa europea, ha adottato una chiara posizione di ostracismo nei confronti della nuova normativa, come si desume, peraltro, dall’oggetto attribuito alla deliberazione: “No agli insetti nell’alimentazione italiana!!!”
Dopo aver rimarcato che “i prodotti agricoli e dell’allevamento in Italia garantiscono standard di qualità e di sicurezza alimentare per il consumatore, essendo altresì una garanzia per l’ambiente”, il Comune di Andrate giunge ad affermare, in modo apodittico, che “al contrario la carne di insetti non assicura adeguati standard di sicurezza essendo questi ani- mali portatori di malattie molto gravi come salmonellosi, infezioni dell’apparato digerente e lebbra”.
Al fine di corroborare questa tesi, l’Amministrazione comunale non contesta le risultanze cui è addivenuta l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, né tantomeno gli studi scientifici in materia, ma si limita a richiamare laconicamente l’inestimabile “valore della gastronomia italiana, ricca di gusto e di tradizioni millenarie, capacità e know-how, frutto del lavoro dei padri dei nostri padri, che hanno consentito ai prodotti italiani di distinguersi nel mondo in termini di eccellenza e qualità”.

9 I riferimenti della Scientific Opinion, resa ai sensi dell’art. 22, par. 2 del Regola- mento (CE) n. 178/2002 e pubblicata l’8 ottobre 2015, sono i seguenti: Risk profile related to production and consumption of insects as food and feed, in EFSA Journal, 2015, 13(10), pp. 4257 e ss.
10 In argomento si richiama il recente contributo di V. PAGANIZZA, Eating Insects: Crunching Legal Clues on Entomophagy, in Rivista di diritto alimentare, 2016, 1, pp. 1641.
11 In particolare, si richiama il considerando n. 9 del Regolamento (UE) n. 2283/2015, che, oltre a stabilire la necessità di rivedere, chiarire e aggiornare le categorie di cibi che costituiscono nuovi alimenti, afferma espressamente che le suddette categorie “dovrebbero includere gli insetti interi e le loro parti”. Sul punto si tenga però conto che il successivo considerando n. 36 stabilisce che gli alimenti non rientranti nel previgente regolamento dovrebbero “in linea di principio poter continuare ad essere immess[i] sul mercato fino al completamento delle procedure di valutazione del rischio e di autorizzazione a norma del presente regolamento”. Dunque, con l’entrata in vigore del nuovo regolamento, gli insetti potrebbero continuare ad essere commercializzati nelle more dell’espletamento della relativa procedura autorizzatoria.
12 Come riportato da G. BONORA, cit., p. 49, gli Stati europei più curiosi ed aperti alle sperimentazioni sono stati “il Belgio e l’Olanda, dove si possono trovare delle catene di supermercato che vendono hamburger composti da vermi tritati, e il Regno Unito, in cui vengono venduti sacchetti di grilli e cavallette”.
13 Il programma, reperibile all’indirizzo www.fao.org/edible-insects/en, è stato avviato nel 2003 sulla scorta dell’impegno assunto da 189 Stati con la sottoscrizione della United Nations Millennium Declaration a New York nell’anno 2000. Con questo documento, i rappresentanti degli Stati hanno affermato la loro responsabilità verso l’intero Pianeta, ponendosi l’ambizioso obiettivo di ridurre in modo consistente la percentuale della popolazione mondiale che soffre la fame. Di converso, la sfida per la comunità scientifica internazionale è rendere possibile l’aumento della produttività alimentare per mezzo di sistemi alimentari sostenibili, per garantire un’alimentazione sana, sicura e sufficiente per ogni essere umano.

14 Come ad esempio in Cina, Sudafrica e Stati Uniti; in Europa, invece, tale possibilità risulta, allo stato attuale, preclusa dalla normativa predisposta a seguito dello scandalo della “mucca pazza”, e segnatamente del Regolamento (CE) n. 999/2001, che ha proibito l’utilizzo di proteine animali trattate come mangime per gli animali. Pertanto, l’utilizzo degli insetti come mangime per il bestiame negli Stati membri dell’Unione europea necessiterebbe di una previa revisione e modifica della legislazione vigente.
15 Il documento è opera del Parliamentary Office of Science and Technology ed è reperibile al seguente indirizzo www.parliament.uk/post.

16 I tre filoni sono: tecniche di allevamento ecosostenibili, mangimi alternativi rispetto a quelli convenzionali e fonti di proteine alternative per l’uomo.
17 La citazione è tratta da G. BONORA, cit., p. 53, la quale parla enfaticamente di una “positiva (ma ancora lontana) “evoluzione” alimentare”.
18 Così M. BONNES – G. SECCHIAROLI, Psicologia ambientale. Introduzione alla psicologia sociale dell’ambiente, Roma-Urbino, 1992, p. 150, cui si rimanda anche per la esaustiva ricostruzione della nascita e delle radici teoriche della psicologia ambientale (pp. 13-81).
19 Cfr. Ibidem.
20 Lo studio capostipite, citato varie volte nei manuali di psicologia ambientale, è quello di T.A. HEBERLEIN – J.S. BLACK, Attitudinal Specificity and the Prediction of Behavior in a Field Setting, in Journal of Personality and Social Psychology. 1976, 33, pp. 474-479, cui è seguito, dei medesimi Autori, Cognitive Consistency and Environmental Action, in Environment and Behavior, 1981, 13, pp. 717-751.
21 Si rimanda all’articolo, comparso sul sito dell’Agenzia Ansa, dal titolo “Ad Expo i primi insetti mai degustati “ufficialmente” in Italia”.
22 Il documento, scaricabile dal sito www.edibleinsect.it, raccoglie i contributi tecnici del network di ricercatori provenienti da università, centri di ricerca e società private che hanno aderito al progetto “Edible insects: il cibo del futuro” sviluppato da Società Umanitaria con il Salone Internazionale della Ricerca, Innovazione e Sicurezza Alimentare, presente all’interno di Expo 2015. Tale documento, muovendo dalla considerazione che il consumo e l’allevamento d’insetti commestibili rappresenta una delle vie da percorrere necessariamente per aumentare la produzione mondiale di cibo in modo sostenibile, giunge ad affermare che “Se riusciremo ad arrivare ad un progetto condiviso, faremo un salto di venti anni nel futuro dell’alimentazione sostenibile” (p. 56).
23 Tale parere è stato utilizzato come base scientifica per l’elaborazione e l’adozione del nuovo regolamento in conformità a quanto stabilito dall’art. 22, par. 6 del Regolamento (CE) n. 178/2002.

 

3. La carne sintetica come alternativa all’industria zootecnica: una suggestione o qualcosa di più?

Senza voler sottovalutare gli effetti che potrebbero derivare dalla diffusione di una dieta entomofaga anche nei Paesi europei, la sfida più significativa, perlomeno da un punto di vista delle ricadute economiche sul sistema alimentare, pare essere quella della produzione di carne, latte e uova in laboratorio senza animali.
Sebbene la sfida sia solo agli albori – il primo hamburger da carne “in provetta” è stato cucinato nel 2013 dinanzi a giornalisti e studiosi24 – sono stati compiuti sensibili progressi, al punto che gli operatori del mercato prevedono di poter immettere sul mercato questi prodotti entro l’anno 202225 ad un prezzo sensibilmente inferiore rispetto a quelli preventivati inizialmente.
Il meccanismo consiste nel prelevare cellule staminali da un muscolo animale per poi inserirle in apposite piastre immerse in un siero che ne favorisca la moltiplicazione attraverso l’elettrostimolazione. Successiva- mente, le fibre vengono congelate e assemblate, sino a creare il prodotto desiderato. Alla carne bovina si sono poi aggiunti ulteriori prodotti, quali la carne di pollo26 e anatra. Ma non solo: si pensi anche al latte vaccino, creato senza ricorrere alle vacche ma solo sintetizzando una miscela di zuccheri, proteine, grassi e acqua27.
Studi recenti hanno provato a quantificare il possibile impatto ambientale della carne sintetica, valutando il suo potenziale nel ridurre l’eutrofizzazione provocata dai liquami degli allevamenti, l’emissione dei gas serra e lo sfruttamento del suolo. Secondo una prima ricerca, concentratasi sulla realtà statunitense, le tecnologie necessarie per la crescita di carne in vitro richiedono un elevato fabbisogno energetico, dunque non possono essere considerate semplicisticamente come un’alternativa migliore all’industria zootecnica28. Un’altra indagine, invece, confortata anche dalle risultanze scientifiche di altri team di ricerca29, è arrivata a risultati più ottimisti, concludendo che, sempre a fronte di grosse incertezze, l’impatto ambientale sarebbe di gran lunga inferiore30.
Il contesto è quindi connotato da un’estrema polarizzazione delle posizioni e delle opinioni in merito alle implicazioni di tali tecnologie, spaziando da coloro che intravedono un possibile fattore di rischio per la sa- lute umana, nonché fonte di spinose questioni etiche31, a coloro che ne giudicano la portata in termini positivi, evidenziandone i vantaggi di ordine ambientale, oltre che economico e commerciale.
Nonostante gli svariati interrogativi suscitati da questa embrionale branca dell’industria alimentare, gli investimenti sono in costante crescita, come dimostrano i consistenti finanziamenti provenienti dal mondo dell’informatica32.
Si avverte pertanto, in maniera sempre più pressante, l’esigenza di regolamentare questo settore33, che intercetta i molteplici e svariati profili relativi al mercato interno, alla politica industriale, alla ricerca e allo sviluppo tecnologico, alla politica agricola, alimentare, ambientale ed al commercio internazionale.
Nelle pagine seguenti si tenterà, dunque, di individuare le linee direttrici dell’edificando sistema normativo, che indubbiamente risente dell’origine recente della tematica e della rapidità con cui si evolvono queste tecnologie. In particolare, dopo una sintetica descrizione del rapporto tra diritto e scienza, si passerà ad esaminare nello specifico la disciplina susseguitesi in materia di immissione in mercato degli alimenti e dei novel food.

24 L’hamburger, costato circa 250.000 dollari, è stato creato dal team guidato dal fisiologo Mark Post e cucinato dallo chef Richard McGowan. Un video dell’esibizione, avvenuta a Londra nell’agosto 2013, è disponibile alla pagina www.youtube.com/watch?v=FxU8kDU3sxg.
25 Ad annunciarlo è Memphis Meats, una startup californiana attiva nel settore delle biotecnologie alimentari, per il tramite della testata di approfondimento scientifico Repubblica Scienze, disponibile alla pagina www.repubblica.it/scienze/2017/03/16/news/carne_sintetica_pollo_anatra-160697717/.
26 Realizzando, così, la profezia di W. CHURCHILL, Fifty Years Hence, in Strand Magazine, 1931, 12, secondo il quale “We shall escape the absurdity of growing a whole chicken in order to eat the breast or wing, by growing these parts separately under a suitable medium. Synthetic food will, of course, also be used in the future. Nor need the pleasures of the table be banished. That gloomy Utopia of tabloid meals need never be invaded. The new foods will from the outset be practically indistinguishable from the natural products, and any changes will be so gradual as to escape observation”.
27 Per ulteriori informazioni si vedano gli studi effettuali da due biologi indiani, Ryan Pandya e Perumal Gandhi, al sito www.muufri.com.
28 Molto scettico si è mostrato J.F. HOCQUETTE, Is in vitro meat the solution for the future?, in Meat Science, 2016, 120, pp. 167-176.
29 Come riportato dal supplemento giornalistico Dissapore, consultabile alla pagina www.dissapore.it, il fisiologo Mark Post ha dichiarato che dalle cellule staminali di un solo animale si possono creare 175 milioni di hamburger: oggi, per produrne la stessa quantità, ci vogliono otre 400.000 bovini.
30 Si veda H.L. TUOMISTO – M.J. TEIXEIRA DE MATTOS, Environmental Impacts of Cultured Meat Production, in Environmental Science & Technology, 2011, 45 (14), pp. 6117-6123.
31 Riuscirà il consumatore occidentale, che peraltro si nutre quotidianamente di prodotti derivanti dalla chimica, a sormontare l’ostacolo mentale di ingerire un cibo che non considera naturale oppure si ricreeranno le medesime dinamiche già verificatesi in relazione agli OGM?
32 Come è riportato dal giornale Daily Mail, la start up Impossible Foods ha rifiutato un’offerta di acquisizione da parte di Google di oltre 300 milioni di dollari nel 2015 (l’articolo è disponibile alla pagina www.dailymail.co.uk/sciencetech/article-3177026/Google-wants-world-meat-free-Search-giant-tried-buy-veggie-burger-start-300-MILLION.html). Altre start-up del settore, come Beyond Meat, sono invece sostenute da Bill Gates, così come gli esperimenti del già citato Mark Post sono da tempo sovvenzionati da Sergey Brin, fondatore di Google.
33 Questa preoccupazione per le conseguenze legali derivanti dall’immissione in commercio della carne sintetica è stata manifestata anche da E. DEVITT, Artificial chicken grown from cells gets a taste test – but who will regulate it?, in Science (blog), 15/03/2017, reperibile alla pagina www.sciencemag.org/news/2016/08/lab-grown-meat-inches-closer-us-market-industry-wonders-who-will-regulate, che fa riferimento ad un articolo del 23/08/2016 pubblicato sempre sulla medesima Rivista. In particolare, vengono delineati due approcci: l’uno che guarda ai processi di produzione dell’alimento e l’altro che si riferisce al prodotto finale, onde testarne la sicurezza igienico sanitaria e consentirne la commerciabilità, senza pregiudizio per i consumatori, i quali non possono essere tratti in inganno dalla formale denominazione del prodotto. L’articolo si sofferma inoltre sulla questione, tutta di interesse statunitense, relativa al riparto di competenze tra U.S. Department of Agriculture (USDA) e Food and Drug Administration (FDA).

 

4. Tecnologie alimentari e partecipazione ai processi decisionali

Gli studi storici e di antropologia hanno contribuito all’elaborazione dell’immagine del cibo come cultura34, che, in quanto tale, è oggetto di considerazione e protezione da parte della collettività. A tale proposito è stato affermato che il cibo e la cucina costituiscono un linguaggio nel quale la società trasferisce le proprie credenze ed istituzioni, rivelando così le strutture fondamentali del pensiero umano35.
Questa immagine si è però offuscata nel corso degli ultimi decenni36, in corrispondenza con il progresso delle tecnologie alimentari, che hanno consentito di sviluppare metodi alternativi di produzione rispetto a quelli tradizionali, collegati al patrimonio identitario e di conoscenze di determinate comunità.
Così come in altri settori, anche in quello alimentare la società con- temporanea si trova costantemente di fronte ad un crescente numero di scoperte scientifiche ed innovazioni tecnologiche, che pongono una serie di problemi.
In primo luogo, la tecnoscienza37 pone un problema di gestione giuridica delle conseguenze che possono derivare dall’immissione in commercio di un prodotto realizzato secondo le nuove tecniche di produzione.
Secondariamente, viene in rilievo un problema di gestione politica, strettamente connesso all’aumento dei soggetti, sociali oltre che istituzionali, legittimati ad intervenire nella negoziazione degli interessi coinvolti nel processo politico decisionale. In questi casi, la funzione regolatoria è quindi ripartita tra soggetti sempre più numerosi e diversi da quelli istituzionali38.
In un contesto come quello europeo, caratterizzato da una forte avversione ai rischi ingenerati dall’impiego delle nuove tecnologie, specie in seguito alle crisi alimentari verificatesi negli ultimi decenni, si è passati dal tradizionale modello di regolazione del rischio, fondato sulla presa di decisioni a porte chiuse da parte di esperti, a nuovi paradigmi decisionali, che rispondono ad obiettivi di maggiore trasparenza e partecipazione della cittadinanza.
Attraverso l’introduzione di istituti di partecipazione attiva nell’ambito dei procedimenti che si svolgono in seno alle autorità, si intende infatti porre rimedio ai problemi innanzi prospettati.
A tale proposito occorre poi sottolineare come il settore alimentare sia fortemente caratterizzato da una commistione tra ricerca scientifica e mondo produttivo, essendo la ricerca nel settore delle biotecnologie condotta in grande misura dalle imprese che producono e commercializzano tali prodotti. Come evidente, questa circostanza contribuisce ad alimentare lo scetticismo e l’ostilità dei consumatori nei confronti delle nuove tecnologie alimentari, e ciò nonostante i benefici che potrebbero derivargli39.
L’obiettivo è duplice: da un lato, implementare il deficit di democraticità sottostante all’impianto europeo; dall’altro, rafforzare la legittimazione tecnica delle autorità medesime40.
Ma non solo: la previsione di questi meccanismi si inscrive nella tendenza, già avvertita nell’ordinamento europeo41, di configurare un vero e proprio diritto del cittadino-consumatore ad essere consultato ed informato nell’ambito dei processi di regolamentazione in materia alimentare42.
Più in generale, l’emersione di istanze di partecipazione ai processi decisionali collegati alle implicazioni dello sviluppo tecnologico deve essere ricollegata alla condizione di intrinseca incertezza che connota il sa- pere scientifico.
In ambito giuridico, questa situazione ha condotto all’affermazione di un approccio precauzionale-cautelare, volto a legittimare l’intervento pubblico dinanzi a rischi incerti o potenziali43.
In questa ottica, dunque, la partecipazione al procedimento assolve ad una funzione prettamente conoscitiva e istruttoria, strumentale cioè a colmare le asimmetrie informative dell’autorità pubblica attraverso l’apporto informativo fornito dai privati, siano questi operatori economici o consumatori.

5. Organismi geneticamente modificati, alimenti speciali e nuovi alimenti

Le innovazioni tecnologiche in ambito alimentare sono state oggetto di attenzione da parte del legislatore europeo allorquando si è trattato di disciplinare la messa in coltura degli organismi geneticamente modificati e l’immissione in commercio di alimenti e mangimi non riconducibili ai paradigmi tradizionali, e perciò definiti genericamente come alimenti nuovi o novel foods.
Si tratta di una definizione ampia, che non concerne soltanto quei prodotti che costituiscono il risultato dell’applicazione di tali tecnologie, ma ricomprende altresì tutti quegli alimenti che non appartengono alle abitudini alimentari dei cittadini europei.
Gli interessi sottesi alla tematica della circolazione di queste merci all’interno dello spazio europeo sono i più vari.
Da una parte si collocano gli interessi alla salvaguardia ambientale ed alla crescita economica. Alcuni di questi prodotti possono infatti comportare dei benefici sotto l’aspetto ambientale, ad esempio attraverso un minor dispendio delle risorse naturali. Sotto l’aspetto economico, invece, i vantaggi si ricavano dall’incremento della competitività delle imprese connesso allo sviluppo tecnico e scientifico ed agli investimenti in ricerca ed innovazione.
A questi interessi si contrappone, talvolta, quello relativo alla protezione della salute dei consumatori. Come noto, l’intero impianto normativo sulla sicurezza alimentare è volto a scongiurare il verificarsi di effetti (potenzialmente) pregiudizievoli sulla salute umana dei consumatori. Pertanto, in assenza di dati scientifici consolidati, la circolazione di questi prodotti deve essere sottoposta a valutazioni specifiche da parte dell’autorità pubblica sul grado di sicurezza igienico sanitaria, da effettuare tendenzialmente nell’ambito di un procedimento di autorizzazione preventiva.
Lo sviluppo delle moderne tecnologie impone però degli interrogativi ulteriori, soprattutto sotto il profilo etico: alcune tecniche, infatti, possono collidere con le convinzioni religiose e con le abitudini di vita di determinate categorie di individui, oltre che suscitare paure nella gran massa dei consumatori.
Si tratta del paradosso del progresso scientifico, che, nel creare nuove opportunità, introduce anche nuovi fattori di rischio, che necessitano di essere governati in funzione della tutela della salute dei cittadini44.
Nello scenario appena descritto si inserisce la normativa europea in materia di novel foods, che rinviene il suo primo antecedente nel Regolamento n. 258/199745, in seguito abrogato e sostituito dal Regolamento n. 2283/201546.
In origine, i novel food erano formati da un insieme, vasto ed eterogeneo, di prodotti alimentari accomunati dal fatto di essere il frutto del progresso della scienza molecolare o, comunque, di pratiche di trasformazione sconosciute alla tradizione alimentare europea47.
Con riferimento a questi nuovi alimenti, l’atteggiamento di cautela del legislatore europeo si è tramutato nella previsione di una procedura di autorizzazione preventiva48, nell’ambito della quale l’operatore economico deve dimostrare la sicurezza igienico sanitaria, informativa e nutrizionale dell’alimento che intende immettere sul mercato. Appare evidente come la specialità di questa disciplina sia imposta da un’applicazione rigorosa del principio di precauzione49, intorno al quale è costruito l’impianto normativo europeo50, al contrario del modello giuridico statunitense, che, in linea di principio, non effettua distinzioni ed ammette limitazioni alla circolazione degli alimenti soltanto a fronte di rischi conclamati.
Nel tempo, però, il legislatore europeo ha intercettato questa varietà di prodotti, dedicando una disciplina specifica per molte delle sottocategorie ricadenti nell’insieme dei novel foods, prevedendo anche differenti regimi autorizzatori51.
Di fronte all’impossibilità di compiere una tipizzazione esaustiva di tutte le categorie dei novel foods, continuamente variabili, il legislatore europeo ha comunque mantenuto una disciplina generale, in grado di adattarsi al mutare delle scoperte scientifiche e delle esigenze avvertite dal mercato comune.
Tale disciplina, il cui ambito di applicazione si rivela residuale rispetto alle normative speciali che sono andate affastellandosi nel tempo, ha trovato espressione nel citato Regolamento n. 258/199752, sostituito dal successivo Regolamento 2283/201553.
Con specifico riguardo a questi alimenti speciali, siano citate, a titolo meramente esemplificativo, la normativa in materia di integratori alimentari e quella relativa agli alimenti destinati a fini medici speciali.
Su un piano definitorio, per integratori alimentari si intendono quei “prodotti alimentari destinati ad integrare la dieta normale e che costituiscono una fonte concentrata di sostanze nutritive o di altre sostanze aventi un effetto nutritivo o fisiologico, sia monocomposti che pluricomposti, in forme di dosaggio, vale a dire in forme di commercializzazione quali capsule, pastiglie, compresse, pillole e simili, polveri in bustina, liquidi contenuti in fiale, flaconi a contagocce e altre forme simili, di liquidi e polveri destinati ad essere assunti in piccoli quantitativi unitari”54.
Una prima definizione di alimenti dietetici destinati a fini medici speciali si rinveniva invece nella Direttiva CE 21/199955, oggi abrogata dal Regolamento UE 609/2013, che ha accorpato una serie di discipline speciali, tra cui quella degli alimenti destinati ai lattanti e ai bambini nella prima infanzia, quella degli alimenti a fini medici speciali e quella dei sostituti dell’intera razione alimentare giornaliera per il controllo del peso. Questo regolamento si conforma al nuovo quadro normativo in materia di sicurezza alimentare, ponendosi in continuità con i progressi tecnologici e con la parallela evoluzione della normativa. Pertanto, costituisce oggi “alimento a fini medici speciali” ogni “prodotto alimentare espressamente elaborato o formulato e destinato alla gestione dietetica di pazienti, compresi i lattanti, da utilizzare sotto controllo medico”. Tale prodotto deve poi essere “destinato all’alimentazione completa o parziale di pazienti con capacità limitata, disturbata o alterata di assumere, digerire, assorbire, metabolizzare o eliminare alimenti comuni o determinate sostanze nutrienti in essi contenute o metaboliti, oppure con altre esigenze nutrizionali determinate da condizioni cliniche e la cui gestione dietetica non può essere effettuata esclusivamente con la modifica della normale dieta”56.
Sempre nell’ambito degli alimenti speciali – ovvero dei nuovi alimenti che, nel tempo, sono divenuti oggetto di una normativa ad hoc si annoverano anche gli alimenti geneticamente modificati, ovvero quegli alimenti contenenti organismi geneticamente modificati, costituiti da organismi geneticamente modificati o da essi ottenuti. Questi alimenti sono infatti disciplinati dal Regolamento (CE) n. 1829/200357, che pre- vede una procedura centralizzata a livello europeo per l’autorizzazione all’immissione in commercio di siffatti prodotti.
Per una definizione di organismo geneticamente modificato occorre però fare riferimento alla Direttiva 2001/18/CE58, in base alla quale per organismo geneticamente modificato deve intendersi “un organismo, diverso da un essere umano, il cui materiale genetico è stato modificato in modo diverso da quanto avviene in natura con l’accoppiamento e/o la ricombinazione genetica naturale”.
Dovendo trattarsi di un entità biologica, diversa da un essere umano, in grado di riprodursi e di trasferire materiale genetico, ne consegue come all’interno di questa definizione non siano riconducibili gli alimenti di carne animale prodotti in laboratorio (c.d. carne in provetta), per i quali, dunque, nell’incertezza normativa ed in assenza di un divieto espresso alla loro circolazione, parrebbe applicabile la generale normativa in materia di novel foods.
Un ulteriore distinguo deve essere effettuato con riferimento ai prodotti alimentari ottenuti da cloni animali, per i quali, come meglio si vedrà nel prosieguo, si applica temporaneamente la disciplina in materia di novel foods, perlomeno fino a quando non verrà adottata una normativa ad hoc59.

44 Il paradosso è messo in evidenza da R.J. NEUWIRTH, Novel Food for Thought on Law and Policymaking in the Global Creative Economy, in European Hournal of Law and Economics, 2014, p. 44, richiamato da A. VOLPATO, La riforma del regolamento sui Novel Food: alla ricerca di un impossibile equilibrio?, in Rivista di diritto alimentare, 2015, IV, p. 26.
45 Regolamento (CE) n. 258/97 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 27 gennaio 1997 sui nuovi prodotti e i nuovi ingredienti alimentari.
46 Regolamento (UE) 2015/2283 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2015, relativo ai nuovi alimenti e che modifica il regolamento (UE) n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio e abroga il regolamento (CE) n. 258/97 del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 1852/2001 della Commissione.
47 L’elenco è vasto: dagli integratori alimentari alle vitamine, dai sali minerali agli estratti vegetali.
48 La disamina del previgente regime normativo, oltre che di quello attuale, verrà effettuata nei paragrafi seguenti.
49 In tal senso è emblematico il richiamo espresso all’art. 7 del Regolamento CE 178/2002 da parte dell’art. 12 del Regolamento UE 2283/2015, rubricato “Autorizzazione di un nuovo alimento e aggiornamenti dell’elenco dell’Unione”.
50 Significativa è l’enunciazione racchiusa nel Considerando n. 21 del Regolamento CE 178/02, secondo cui “Nei casi specifici in cui vi è un rischio per la vita o per la salute, ma permane una situazione di incertezza sul piano scientifico, il principio di precauzione costituisce un meccanismo per determinare misure di gestione del rischio o altri interventi volti a garantire il livello elevato di tutela della salute perseguito nella Comunità”.
51 A livello di ordinamento dell’Unione europea, si richiamano, a titolo meramente semplificativo, i regolamenti 1331, 1332, 1333 e 1334 del 2008 per quel che riguarda la disciplina degli additivi alimentari, enzimi e aromi alimentari; la Direttiva CE 46/2002 ed il Regolamento CE 1925/06 per quanto concerne gli integratori alimentari e aggiunta di vitamine e minerali.

52 A tale proposito va sottolineato che il Regolamento CE 258/1997 sui nuovi prodotti e i nuovi ingredienti alimentari trovava seguito nella Raccomandazione CE 618/1997, relativa agli aspetti scientifici delle informazioni a sostegno delle domande di autorizzazione all’immissione sul mercato di questi nuovi prodotti.
53 Più precisamente, il Regolamento UE 2283/2015 è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea dell’11 dicembre 2015, con entrata in vigore a partire dal “ventesimo giorno successivo alla pubblicazione” (art. 36). L’applicazione del nuovo impianto normativo, nondimeno, è stata posticipata al 1° gennaio 2018, eccezion fatta per talune specifiche disposizioni.
54 Art. 2, lett. a) della Direttiva CE 46/2002, che è stata recepita con decreto legislativo 21 maggio 2004, n. 169, la cui definizione di “integratori alimentari” ricalca essenzialmente quella europea, posto che ricomprende i “prodotti alimentari destinati ad integrare la comune dieta e che costituiscono una fonte concentrata di sostanze nutritive, quali le vitamine e i minerali, o di altre sostanze aventi un effetto nutritivo o fisiologico, in particolare ma non in via esclusiva, aminoacidi, acidi grassi essenziali, fibre ed estratti di origine vegetale, sia monocomposti che pluricomposti, in forme predosate”.

55 Tale direttiva è stata attuata a livello nazionale con il D.P.R. 20 marzo 2002, n. 57 e trova un antecedente storico nella Direttiva CE 398/1989, avente ad oggetto i “prodotti alimentari destinati ad un’alimentazione particolare”, definiti come “prodotti alimentari che, per la loro particolare composizione o per il particolare processo di fabbricazione, si distinguono nettamente dai prodotti alimentari di consumo corrente, sono adatti all’obiettivo nutrizionale indicato e sono commercializzati in modo da indicare che sono conformi a tale obiettivo”.
56 Art. 2, lett. g) del Regolamento UE 609/2013.
57 Regolamento (CE) n. 1829/2003 del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 settembre 2003 relativo agli alimenti e ai mangimi geneticamente modificati.

58 Direttiva 2001/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 marzo 2001 sull’emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente modificati e che abroga la direttiva 90/220/CEE del Consiglio.
59 Occorre segnalare, a tale riguardo, come siano già state avanzate alcune proposte, che nondimeno non hanno ancora dato luogo ad una normativa cogente a causa delle difficoltà che, inevitabilmente, emergono nel corso delle trattative tra le parti istituzionali. L’argomento sulla clonazione animale si rivela infatti estremamente divisivo, al punto da essere stata la ragione principale per cui è naufragata la riforma avviata nel 2008. Sul punto si segnala l’intensa attività svolta dal Comitato economico e sociale europeo, cui è seguito il Parere sulla Proposta di Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai nuovi prodotti alimentari del 18 dicembre 2013. Si vedano anche la Proposta di Direttiva del Consiglio relativa all’immissione sul mercato di prodotti alimentari ottenuti da cloni animali e la Proposta di Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio sulla clonazione di animali delle specie bovina, suina, ovina, caprina ed equina allevati e fatti riprodurre a fini agricoli del 30 aprile 2014.

 

6. L’immissione in commercio degli alimenti

Prima di addentrarsi nella disamina del procedimento autorizzatorio dei novel foods, occorre svolgere alcune precisazioni di carattere generale con riferimento all’immissione in commercio degli alimenti.
Il principio di precauzione riveste un ruolo fondamentale, incidendo in modo significativo sulla disciplina degli oneri procedimentali, tanto più gravosi quanto maggiore si presenta l’esigenza preminente di tutela della salute.
Viceversa, laddove il coefficiente di rischio risulti minimo60, l’imposizione di un controllo preventivo all’immissione sul mercato non trova giustificazione, rivelandosi anzi pregiudizievole per la libertà di iniziativa economica privata (e, in prospettiva europea, per il mercato interno), fermo restando l’esercizio dei poteri d’emergenza in ipotesi di verificazione di rischi o pericoli.
La maggior parte degli alimenti rientra in questa seconda casistica, per la quale non è prevista alcuna autorizzazione preventiva all’immissione in commercio, ferme restando le discipline conformative a tutela dei consumatori (ad esempio, in materia di etichettatura61).
Ebbene, questo elemento appare, da solo, sufficientemente indicativo del fatto che l’ordinamento62 non considera pericoloso il commercio ed il consumo degli alimenti tradizionali63.
Per le altre categorie di alimenti è invece apprestata una disciplina che denota un’attenzione maggiore, imponendo restrizioni e controlli che attengono sia alla fase precedente l’immissione in commercio sia a quella successiva.
Al riguardo sono ravvisabili, in linea di principio, due generi di procedimenti: il primo, più snello, si risolve nella trasmissione all’autorità competente della documentazione necessaria e nel successivo, eventuale, esercizio del potere inibitorio da parte della medesima autorità; il secondo procedimento, invece, è quello più tipicamente autorizzatorio, che si snoda secondo i consolidati meccanismi del command and control.
Al pari di quanto stabilito per i medicinali64, dunque, la commercializzazione di alcuni alimenti può avvenire soltanto a seguito del rilascio di un’autorizzazione preventiva, da intendersi nell’accezione, meno rigo- rosa, imposta dal principio di precauzione, ovvero come semplice “misura di cautela” anziché come certificazione della piena sicurezza del prodotto65.
L’imposizione di un regime autorizzatorio, sia pure nelle forme anzidette, è indicativo della considerazione riposta dal legislatore su quei prodotti alimentari in relazione ai quali non si conoscono, con certezza, gli effetti che potrebbero avere sulla salute umana.
Si innalza, pertanto, la soglia di tutela, attraverso la previsione di oneri amministrativi nella fase preventiva all’immissione in commercio. In particolare, viene a delinearsi un apposito procedimento nel quale gli interessi economici pubblici e privati si scontrano per bilanciarsi in vista del perseguimento dell’interesse pubblico primario, ovvero la diffusione (recte, commercializzazione) di un alimento non dannoso per la salute dei cittadini.
Emergono quindi delle analogie con la normativa in materia di medicinali, ove gli interessi economici delle imprese possono trovare riconoscimento e protezione solamente allorquando non pregiudichino l’esigenza preminente di tutela della salute, che nel settore farmaceutico risulta avvertita in misura senz’altro maggiore, in considerazione soprattutto della gravità delle conseguenze che potrebbero derivare.
Le maggiori somiglianze s’intravedono con la procedura autorizzatoria prevista dal citato Regolamento n. 2283/2015 per i novel foods, che prevede una serie di oneri procedimentali indubbiamente più gravosi rispetto a quelli stabiliti con riferimento alla procedura di notifica, vigente ad esempio in materia di integratori alimentari66.

60 Poiché, ad esempio, il prodotto affonda le proprie origini in un passato risalente, vantando così una storia di uso sicuro.
61 Sul punto si rinvia a A. SANTINI, Etichettatura di origine dei prodotti alimentari e regole del commercio internazionale, in Diritto del commercio internazionale, 2015, III, pp. 685 e ss.
62 In primis, l’ordinamento europeo, dal momento che il Regolamento CE 178/2002 non contempla minimamente una procedura autorizzatoria per gli alimenti tradizionali, limitandosi a prevedere l’adozione di “misure provvisorie di gestione del rischio necessarie per garantire il livello elevato di tutela della salute” qualora si individui la “possibilità di effetti dannosi per la salute ma permanga una situazione d’incertezza sul piano scientifico” (cfr. art. 7).
63 Occorre precisare l’ordinamento nazionale sottopone comunque “a vigilanza per la tutela della pubblica salute la produzione ed il commercio delle sostanze destinate alla alimentazione” a far tempo dalla citata legge 283/62 (cfr. art. 1). Tale vigilanza si esercita, essenzialmente, sotto forma di controlli da parte dell’autorità sanitaria presso gli stabilimenti di produzione e gli esercizi di rivendita; controlli che, in caso di accertamento positivo, possono dare luogo alle diverse conseguenze previste dall’ordinamento.
64 Ai fini dell’ingresso di un medicinale nel mercato dell’Unione Europea, la Direttiva (CE) n. 83/2001 ed il Regolamento (CE) n. 726/2004 hanno istituito una specifica procedura di autorizzazione, nell’ambito della quale deve dimostrarsi la prevalenza dell’apporto benefico di un medicinale sui potenziali rischi, oltre che la sicurezza, l’efficacia e la qualità del prodotto medesimo.
65 Significativo è l’esempio degli organismi geneticamente modificati, disciplinati dal Regolamento CE 1829/2003, la cui autorizzazione preventiva non esime il produttore da responsabilità nemmeno nell’ipotesi in cui l’alimento si riveli dannoso solo dopo la sua immissione sul mercato (in argomento, cfr. G. GALASSO, op. cit., p. 97).
66 La procedura di notifica in materia di integratori alimentari è prevista dall’art. 10 della Direttiva (CE) n. 46/2002, che è stata recepita nell’ordinamento interno tramite il citato decreto legislativo 169/2004; si tenga inoltre presente che la disposizione successiva, l’art. 11, dispone che “gli Stati membri si astengono dal vietare o dall’introdurre restrizioni, per ragioni connesse a composizione, specifiche di fabbricazione, presentazione o etichettatura, agli scambi di prodotti di cui all’articolo 1 che siano conformi alla presente Direttiva e, se del caso, alle disposizioni comunitarie di esecuzione della stessa”.

 

7. L’immissione in commercio dei nuovi alimenti: la normativa previgente

Nel corso degli anni ’90, al fine di dettare una disciplina uniforme e specifica sull’intero territorio europeo per gli alimenti non utilizzati, fino a quel momento, in modo significativo per il consumo umano nel mercato comunitario, il legislatore europeo è intervenuto mediante l’adozione del Regolamento (CE) n. 258/199767.
In origine, l’ambito di applicazione del suddetto regolamento era esteso ad una serie di prodotti rientranti in determinate categorie, che successivamente si sono ridotte in conseguenza dell’affastellarsi di discipline specifiche in relazione a determinati alimenti.
Il sistema originario subordinava l’immissione in commercio dei novel foods all’espletamento di una procedura di autorizzazione68 oppure, con specifico riferimento ai nuovi prodotti alimentari sostanzialmente equivalenti a quelli già esistenti, all’espletamento di una procedura semplificata di notifica69.
La procedura di autorizzazione, che prevedeva il coinvolgimento degli Stati membri e della Commissione, era strutturata nel seguente modo: il richiedente formulava al domanda di autorizzazione, composta di una serie di informazioni, tassativamente indicate, dalle quali poter desumere la sicurezza del prodotto. Tale domanda doveva esser rivolta sia alla Commissione (che la trasmetteva agli altri Stati membri) sia allo Stato membro nel quale si intendeva immettere, per la prima volta, il prodotto sul mercato.
Ricevuta la domanda, lo Stato membro doveva farsene carico, assicurando che l’organismo scientifico nazionale competente effettuasse una valutazione tecnica iniziale entro un termine di tre mesi. La relativa relazione tecnica veniva quindi trasmessa alla Commissione, che procedeva a diffonderla agli altri Stati membri. Entro un termine breve, di appena 60 giorni, questi avevano la facoltà di formulare le proprie osservazioni ed obiezioni motivate all’immissione sul mercato del prodotto esaminando.
In assenza di ciò, lo Stato membro presso il quale era stata presentata la domanda comunicava al richiedente l’autorizzazione all’immissione sul mercato del novel food.
In caso contrario, laddove cioè la Commissione o gli altri Stati membri avessero formulato obiezioni o osservazioni alla relazione tecnica, si rendeva necessaria una valutazione complementare, da rendersi ad opera del Comitato permanente per la catena alimentare e la salute degli animali70, incaricato di assistere la Commissione in questa fase delicata. A sua volta, la Commissione poteva adottare una decisione di autorizzazione, nella quale definire la portata dell’autorizzazione e stabilire, se necessarie, le condizioni di utilizzo del prodotto nonché i requisiti supplementari specifici in materia di etichettatura.
Rimaneva comunque salva la possibilità, per gli Stati membri, di adottare misure di salvaguardia con riferimento ai nuovi alimenti immessi sul mercato a seguito di autorizzazione da parte della Commissione.
In relazione a questi prodotti, infatti, gli Stati membri potevano sospenderne temporaneamente o comunque limitarne la commercializzazione e l’utilizzo qualora, in seguito a nuove informazioni scientifiche o a una nuova valutazione delle informazioni già esistenti, fossero emersi rischi per la salute umana o per l’ambiente71.
Occorre precisare che già nel 2008 c’era stata una proposta72 di riforma del precedente regolamento, che mirava a chiarire la nozione di “nuovo prodotto alimentare” e a razionalizzare la procedura di autorizzazione, con particolare riferimento ai prodotti derivanti da Paesi terzi, garantendo allo stesso tempo un alto livello di protezione per i consumatori.
Tale proposta è però naufragata soprattutto a causa della questione relativa agli alimenti derivanti dalla clonazione73, che ha provocato una forte opposizione tra Parlamento e Consiglio. Sin dal primo voto in seno alla Commissione parlamentare, i membri del Parlamento europeo si erano mostrati assolutamente contrari alla possibilità di commercializzare qualsiasi alimento derivante da questi animali o dalla loro progenie74. Oggi, questi prodotti sono invece inclusi, sia pure in via temporanea, ovvero sino all’adozione di normative specifiche sul punto, nell’ambito di applicazione del nuovo regolamento75.
Così ricostruito il percorso normativo che ha condotto all’emanazione del nuovo regolamento, si passa ad esaminare nello specifico la nuova disciplina, a partire dal quadro definitorio e dall’ambito di applicazione della medesima.

66 La procedura di notifica in materia di integratori alimentari è prevista dall’art. 10 della Direttiva (CE) n. 46/2002, che è stata recepita nell’ordinamento interno tramite il citato decreto legislativo 169/2004; si tenga inoltre presente che la disposizione successiva, l’art. 11, dispone che “gli Stati membri si astengono dal vietare o dall’introdurre restrizioni, per ragioni connesse a composizione, specifiche di fabbricazione, presentazione o etichettatura, agli scambi di prodotti di cui all’articolo 1 che siano conformi alla presente Direttiva e, se del caso, alle disposizioni comunitarie di esecuzione della stessa”.
67 Regolamento (CE) n. 258/97 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 gennaio 1997 sui nuovi prodotti e i nuovi ingredienti alimentari.
68 Art. 3, par. 2 del Regolamento (CE) n. 258/1997.
69 Art. 3, par. 4 del Regolamento (CE) n. 258/1997.
70 Questo Comitato è stato istituito per effetto dell’art. 58 del Regolamento (CE) n. 178/2002.
71 Con specifico riferimento alle misure nazionali di salvaguardia, la Corte di Giustizia, 9 settembre 2003, C-263/01, Monsanto Agricoltura Italia, ha affermato che trattasi di una chiara espressione del principio di precauzione.
72 Proposta di regolamento del 14 gennaio 2008 del Parlamento Europeo e del Consiglio relativo ai nuovi prodotti alimentari e recante modifica del regolamento (CE) n. XXX/XXXX, COM(2007) 872 def. Come ricordato da A. VOLPATO, cit., “nel corso della prima lettura, i dibattiti in seno al Parlamento hanno messo in luce alcune lacune del testo iniziale, che ha quindi subito 76 emendamenti. Il Consiglio, in seguito, ha espresso la propria posizione comune, riprendendo in parte gli emendamenti del Parlamento, ma opponendosi duramente su alcuni punti importanti della disciplina. In seconda lettura, il Parlamento ha ribadito la propria posizione, che è stata rifiutata dal Consiglio il 6 dicembre 2010. Di conseguenza, è stato convocato il Comitato di conciliazione, ma, nonostante le intense discussioni protrattesi fino all’alba, il fallimento delle negoziazioni è stato annunciato il 29 marzo 2011”.
73 La questione non verteva tanto sul consumo di carne di animali clonati quanto sul consumo di alimenti derivati e dei discendenti dei cloni.
74 La ragione di questa contrarietà è duplice. In primo luogo, il benessere degli animali: come esposto dal Gruppo europeo di etica delle scienze e delle nuove tecnologie nel suo parere del 16 gennaio 2008, la clonazione pone dei dubbi, non solo etici, in considerazione delle malattie, delle malformazioni e la forte mortalità degli stessi cloni, nonché le conseguenze negative sulle femmine surrogate. Pertanto, la clonazione degli animali si porrebbe in contrasto col divieto di metodi di allevamento che provochino sofferenze o danni agli animali, come stabilito dalla direttiva 98/58/CE del Consiglio del 20 luglio 1998 relativa alla protezione degli animali. La seconda ragione giustificatrice è invece da rinvenirsi nella forte diffidenza dei consumatori europei nei confronti della clonazione, come dimostrato storicamente dalla vicenda OGM.
75 Il tema della clonazione di animali è affrontato al considerando n. 14 del Regolamento (UE) n. 2015/2283 nel modo che segue: “Gli alimenti derivanti da animali clonati sono disciplinati dal regolamento (CE) n. 258/97. È essenziale che non emerga alcuna ambiguità giuridica per quanto riguarda l’immissione sul mercato di alimenti derivanti da animali clonati durante il periodo di transizione successivo alla fine dell’applicazione del regolamento (CE) n. 258/97. Pertanto, finché non siano entrate in vigore normative specifiche sugli alimenti derivati da animali clonati, è opportuno che tali alimenti rientrino nell’ambito di applicazione del presente regolamento come alimenti ottenuti mediante pratiche non tradizionali di riproduzione e che siano provvisti di un’etichettatura adeguata per il consumatore finale conformemente alla legislazione dell’Unione in vigore”.

 

8. Le novità più rilevanti introdotte dal Regolamento (UE) n. 2283/2015

Molte delle novità contenute nella proposta di regolamento del 2008 sono state trasfuse nel Regolamento (UE) n. 2283/2015, che dunque si pone in linea di tendenziale continuità col precedente iter legislativo.
Le principali novità rispetto al regime previgente sono essenzialmente quattro.
In primo luogo, è stata modificata la definizione di nuovo alimento. Pur non aderendo alla proposta iniziale, che prevedeva l’eliminazione dell’esplicito riferimento ad alcune categorie di nuovi alimenti, elevando la mancanza di consumo significativo nell’Unione prima del 15 maggio 1997 come unico criterio applicabile, la nuova disciplina ha aggiornato l’elenco delle categorie di nuovi alimenti76, prevedendone di nuove77.
Secondariamente, è stata semplificata la procedura di autorizzazione attraverso la centralizzazione della medesima a livello europeo e la previsione di termini certi per ciascuna fase. Tale soluzione si è resa necessaria in conseguenza dei ritardi che costantemente si verificavano nel corso della procedura autorizzatoria, producendo un duplice effetto: da una parte, la riduzione dei profitti dell’impresa interessata; dall’altro, la perdita di competitività per il sistema e, più in generale, la diminuzione in termini di attrattività dello spazio europeo per gli investitori esteri78. Ebbene, contrariamente alla precedente normativa, nella quale venivano coinvolte anche le autorità nazionali, le cui valutazioni iniziali potevano essere integrate successivamente da una valutazione complementare, il nuovo regolamento impone al richiedente di indirizzare la propria domanda direttamente ed esclusivamente alla Commissione, la quale potrà rivolgersi all’Autorità europea per la sicurezza alimentare al fine di ottenere l’unica valutazione tecnica, che dunque è stata sottratta alle autorità nazionali.
In terzo luogo, è stato istituito, in conformità ai principi di trasparenza e pubblicità, un elenco dei prodotti che possono legittimamente essere immessi sul mercato europeo79. Oltre a questo elenco, che deve essere facilmente accessibile dal pubblico, è prevista l’istituzione di un elenco delle domande rigettate, nel quale devono confluire una serie di informazioni, che possono essere oggetto di trattamento riservato allorquando venga formulata un’apposita istanza in tal senso da parte del richiedente. Tale istanza deve essere motivata, nel senso che deve dare evidenza del fatto che la divulgazione di tali informazioni sarebbe idonea a nuocere alla posizione concorrenziale dell’operatore economico80.
Infine, è stata attribuita portata generale, e non più individuale, alle autorizzazioni rilasciate in relazione all’immissione sul mercato di tali prodotti. Un tempo, infatti, il procedimento si concludeva con una decisione, mentre il sistema attuale prevede il rilascio di un’autorizzazione generica, costituita da un atto di esecuzione. È quindi sufficiente che venga rilasciata l’autorizzazione al primo richiedente per legittimare l’immissione in commercio dei novel foods ad esso assimilabili. È pur sempre fatta salva, in ipotesi specifiche, giustificate dalla necessità di tutelare la riservatezza delle scoperte scientifiche e quindi favorire l’innovazione nell’industria alimentare, la facoltà di richiedere un’autorizzazione individuale anziché generica. In questi casi, infatti, il richiedente inziale può domandare che le prove o i dati scientifici presentati a sostegno della richiesta di autorizzazione non possano essere utilizzati a vantaggio di altre domande, sia pure entro il termine massimo di cinque anni a decorrere dalla data di autorizzazione ed iscrizione del nuovo alimento nell’apposito elenco81.

76 Ai sensi dell’art. 3, par. 2, lett. a) del Regolamento (UE) n. 258/1997, per “nuovo alimento” deve intendersi “qualunque alimento non utilizzato in misura significativa per il consumo umano nell’Unione prima del 15 maggio 1997, a prescindere dalla data di adesione all’Unione degli Stati membri, che rientra in almeno una delle seguenti categorie: i) alimenti con una struttura molecolare nuova o volutamente modificata che non era utilizzata come alimento o in un alimento nell’Unione prima del 15 maggio 1997; ii) alimenti costituiti, isolati o prodotti da microorganismi, funghi o alghe; iii) alimenti costituiti, isolati o prodotti da materiali di origine minerale; iv) alimenti costituiti, isolati o prodotti da piante o da parti delle stesse, ad eccezione degli alimenti che vantano una storia di uso sicuro come alimento nell’Unione e sono costituiti, isolati o prodotti da una pianta o una varietà della stessa specie ottenuta mediante: v) pratiche tradizionali di riproduzione utilizzate per la produzione alimentare nell’Unione prima del 15 maggio 1997, oppure vi) pratiche non tradizionali di riproduzione non utilizzate per la produzione alimentare nell’Unione prima del 15 maggio 1997 qualora tali pratiche non comportino cambiamenti significativi nella composizione o nella struttura dell’alimento tali da incidere sul suo valore nutritivo, sul metabolismo o sul tenore di sostanze indesiderabili; vii) alimenti costituiti, isolati od ottenuti a partire da animali o da parti dei medesimi, ad eccezione degli animali ottenuti mediante pratiche tradizionali di riproduzione utilizzate per la produzione alimentare nell’Unione prima del 15 maggio 1997 qualora tali alimenti ottenuti da detti animali vantino una storia di uso sicuro come alimento nell’Unione; viii) gli alimenti costituiti, isolati o prodotti a partire da colture cellulari o di tessuti derivanti da animali, piante, microorganismi, funghi o alghe; ix) gli alimenti risultanti da un nuovo processo di produzione non usato per la produzione di alimenti nell’Unione prima del 15 maggio 1997, che comporti cambiamenti significativi nella composizione o nella struttura dell’alimento che incidono sul suo valore nutritivo, sul metabolismo o sul tenore di sostanze indesiderabili; x) gli alimenti costituiti da «nanomateriali ingegnerizzati», come definiti alla lettera f) del presente paragrafo; xi) le vitamine, i minerali e altre sostanze utilizzate in conformità della direttiva 2002/46/CE, del regolamento (CE) n. 1925/2006 o del regolamento (UE) n. 609/2013 risultanti da un processo di produzione non utilizzato per la produzione alimentare nell’Unione prima del 15 maggio 1997 di cui alla lettera a), punto vii), del presente paragrafo, oppure contenenti o costituiti da nanomateriali ingegnerizzati, come definiti alla lettera f) del presente paragrafo; xii) gli alimenti utilizzati esclusivamente in integratori alimentari nell’Unione prima del 15 maggio 1997, se destinati ad essere utilizzati in alimenti diversi dagli integratori alimentari come definiti all’articolo 2, lettera a), della direttiva 2002/46/CE”.
77 Già si è detto degli insetti, che, pur non essendo inclusi nell’art. 3 del Regolamento (UE) n. 2283/2015, sono citati espressamente dal Considerando n. 8.
78 L’analisi è opera di G. BONORA, cit., p. 45, la quale richiama a supporto una serie di dati statistici, il più eloquente dei quali, ricavato dal documento Speeding up authorisation of novel foods, preparato dal Parlamento europeo e disponibile alla pagina www.europarl.europa.eu, per cui “l’iter di approvazione di un nuovo prodotto alimentare sulla base del Regolamento (CE) n. 258/97 richiedeva mediamente tre anni e costava in media dai venti ai quarantacinque mila euro”.

79 Art. 6 del Regolamento (UE) n. 2283/2015. 80 Art. 23 del Regolamento (UE) n. 2283/2015.
80 Art. 23 del Regolamento (UE) n. 2283/2015.

81 Art. 26 del Regolamento (UE) n. 2283/2015; si precisa che il par. 2 della disposizione appena citata restringe la tutela dei dati ai soli casi nei quali le prove o i dati scientifici in relazione ai quali si chiede la protezione siano indispensabili e determinati per ottenere l’autorizzazione e siano oggetto di un diritto di proprietà industriale a beneficio del richiedente, che quindi deve dimostrare di godere di un diritto esclusivo di utilizzo di tali dati.

 

9. La nuova procedura centralizzata

La nuova procedura autorizzatoria è avviata su iniziativa della Commissione oppure a seguito di una domanda presentata alla Commissione da un richiedente82.
In conformità alle predette esigenze di trasparenza e partecipazione attiva, il Regolamento impone alla Commissione di pubblicare una sintesi della domanda sulla base di alcune informazioni rilevanti.
A sua volta, la domanda di autorizzazione deve essere composta da una specifica documentazione, dalla quale emerga la descrizione del processo di produzione, la composizione dettagliata del nuovo alimento, le prove scientifiche attestanti l’assenza di rischi per la salute umana e, se del caso, il metodo di analisi, nonché una proposta, laddove necessaria, in ordine alle condizioni d’uso ed ai requisiti specifici di etichettatura per non indurre in errore i consumatori83.
L’intervento dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare, in questo caso, è soltanto eventuale e consegue comunque ad una richiesta specifica della Commissione, che deve essere trasmessa entro un mese dalla verifica della validità della domanda.
L’Autorità è tenuta ad esprimersi entro nove mesi dalla data di ricezione della domanda recante la documentazione prescritta. Questo termine può essere esteso in casi debitamente motivati, qualora l’istruttoria imponga all’Autorità di ottenere informazioni aggiuntive dal richiedente. A tale proposito è prevista la possibilità, per la Commissione, di sollevare obiezioni alla proroga entro otto giorni dall’avvenuta ricezione della richiesta di integrazioni documentali da parte dell’Autorità84.
Nel valutare la sicurezza del nuovo alimento, l’Autorità è tenuta a prendere in considerazione taluni specifici aspetti85. In particolare, l’Autorità deve verificare se la sicurezza del nuovo alimento sia assimilabile a quella degli alimenti che rientrano in una categoria comparabile già presente sul mercato dell’Unione oppure se la composizione del nuovo alimento e le condizioni d’uso non presentino un rischio di sicurezza per la salute umana dell’Unione. Qualora il nuovo alimento sia destinato a sostituirne un altro, l’Autorità è invece tenuta a verificare che non ne differisca in maniera tale da rendere il suo normale consumo svantaggioso per il consumatore sul piano nutrizionale.
Dalla data di pubblicazione del parere rilasciato dall’Autorità decorrono poi i sette mesi entro i quali la Commissione deve presentare al Comitato permanente per le piante, gli animali, gli alimenti e i mangimi una proposta di atto di esecuzione, strumentale all’autorizzazione dell’immissione in commercio del novel food ed all’aggiornamento del relativo elenco.
L’atto conclusivo del procedimento costituisce il risultato di una valutazione discrezionale essenzialmente tecnica, che va compiuta, in primo luogo, in ossequio al principio di precauzione e, in secondo luogo, in osservanza dei parametri delineati dall’art. 12 del Regolamento UE 2283/15, ovvero: assenza di rischio di sicurezza per la salute umana, non ingannevolezza dell’uso previsto e assenza di pregiudizio sul piano nutrizionale.

82 Ai sensi dell’art. 3, par. 2, lett. d) del Regolamento (UE) n. 2283/2015, per “richiedente” deve intendersi “lo Stato membro, il paese terzo o la parte interessata, che può rappresentare più parti interessate e ha presentato una domanda alla Commissione a norma dell’articolo 10 o dell’articolo 16 o una notifica a norma dell’articolo 14”.
83 Cfr. art. 10, par. 2, lett. a)-g) del Regolamento (UE) n. 2283/2015; ancora più snella è la documentazione richiesta con riferimento agli “alimenti tradizionali da paesi terzi”, che ricalca essenzialmente la procedura di notifica, attesa la minore incertezza degli effetti connessi alla commercializzazione di tali prodotti.
84 Cfr. art. 11, parr. 1 e 4 del Regolamento (UE) n. 2283/2015.
85 Cfr. art. 11, par. 2 del Regolamento (UE) n. 2283/2015.

 

10. La procedura di notifica per gli alimenti tradizionali da Paesi terzi

Per evidenti ragioni di semplificazione è prevista la facoltà (e non l’obbligo86) per gli operatori del settore di avvalersi di una procedura più snella al fine di immettere sul mercato gli alimenti tradizionali da paesi terzi87.
La creazione di una procedura ad hoc per questi alimenti si giustifica in base ad una più proporzionata valutazione dei rischi concernenti questi nuovi alimenti, indubbiamente inferiori rispetto ad altre categorie di nuovi alimenti.
In questi casi si è dunque inteso abbattere i costi amministrativi connessi alla procedura autorizzatoria tout court, talvolta costituenti una vera e propria barriera al commercio europeo delle merci provenienti da paesi terzi, con ciò che consegue dal punto di vista delle violazioni degli accordi stipulati a livello internazionale dai Paesi membri e dall’Unione europea. Pertanto, il Regolamento agevola, rispetto ad altri nuovi alimenti, l’immissione sul mercato dell’Unione di quei nuovi alimenti che siano stati oggetto di consumo alimentare sicuro per almeno 25 anni nella dieta abituale di un numero significativo di persone del Paese terzo. Si presume, infatti, che la sicurezza di questo nuovo alimento sia compro- vata dai dati relativi alla sua composizione e dall’esperienza dell’uso con- tinuato in altre zone del pianeta.
Questi dati devono essere forniti dal richiedente nell’atto notificato alla Commissione in merito all’immissione sul mercato del prodotto alimentare88.
Entro un mese, la Commissione trasmette la notifica agli Stati membri e all’Autorità europea per la sicurezza alimentare, i quali, entro quattro mesi, potranno presentare delle obiezioni motivate all’immissione in commercio del prodotto in questione. Se tale termine decorre senza che siano avanzate riserve, il nuovo alimento viene autorizzato ed iscritto nel relativo elenco. Viceversa, se vengono formulate delle obiezioni, il richiedente può presentare una domanda alla Commissione comprensiva di ulteriori dati ed informazioni in merito alle obiezioni presentate. Entro il termine di sei mesi, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare valuta la sicurezza del prodotto da autorizzare, prendendo in considerazione il grado di attendibilità dei dati presentati dal richiedente volti a suffragare la composizione del prodotto nonché la storia di uso sicuro del medesimo al di fuori dell’Unione europea.
Entro tre mesi dalla pubblicazione del parere tecnico reso dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare, la Commissione, se l’esito è positivo, presenta al Comitato permanente per le piante, gli animali, gli alimenti e i mangimi una proposta di atto di esecuzione che autorizza l’immissione sul mercato dell’Unione di un alimento tradizionale da un paese terzo e aggiorna il relativo elenco89.

86 Ai sensi dell’art. 14 del Regolamento (UE) n. 2283/2015, infatti, “anziché seguire la procedura di cui all’articolo 10, un richiedente che intenda immettere sul mercato dell’Unione un alimento tradizionale da un paese terzo può scegliere di presentare una notifica di tale intenzione alla Commissione”.
87 L’art. 3, par. 2, lett. c) del Regolamento (UE) n. 2283/2015 offre la seguente definizione di “alimento tradizionale da un paese terzo”: “un nuovo alimento quale definito alla lettera a) del presente paragrafo, diverso dai nuovi alimenti di cui ai punti i), iii), vii), viii), ix) e x) della stessa lettera, derivato dalla produzione primaria quale definita all’articolo 3, punto 17, del regolamento (CE) n. 178/2002, che vanta una storia di uso sicuro come alimento in un paese terzo”. Ai sensi della lettera precedente, per “storia di uso sicuro come alimento in un paese terzo” deve intendersi “la sicurezza dell’alimento in questione è attestata dai dati relativi alla sua composizione e dall’esperienza dell’uso continuato, per un periodo di almeno 25 anni, nella dieta abituale di un numero significativo di persone in almeno un paese terzo, prima della notifica di cui all’articolo”.
88 Art. 14 del Regolamento (UE) n. 2283/2015.
89 Art. 18 del Regolamento (UE) n. 2283/2015.

 

EDOARDO FERRERO

Novel foods e tecnologia alimentare come strumenti di salvaguardia ambientale

Il presente contributo concerne l’immissione in commercio degli insetti e dei prodotti alimentari derivanti dall’impiego delle nuove tecnologie. Si tratta di un fe- nomeno in forte espansione, soprattutto a seguito dell’entrata in vigore del nuovo impianto normativo delineato a livello europeo. In particolare, la disamina si sof- ferma sugli effetti ambientali connessi all’ingresso sul mercato di tali alimenti nonché sulle procedure autorizzatorie previste al fine di contenere i rischi igienico-sanitari.

This paper concerns the entry on the market of so called “novel foods”, or rather insects and food products deriving from the use of new technologies. This is a rapidly expanding phenomenon, the result of the new regulatory system introduced at Euro- pean level. In particular, the examination focuses on the environmental effects related to the entry on the market of these foods as well as on the authorization procedures in order to limit the health and hygiene risks.

 

 

 

 

 

 

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