di Andrea Ranghino
CASSAZIONE PENALE, Sez. III – 18 settembre 2020 (dep. 25 novembre 2020), n. 33033 – Pres. Andreazza, Est. Corbo – ric. Schiaffino
Risponde del reato di cui all’art. 29 quattuordecies, comma 3, let. b), D.Lgs. n. 152/2006 il titolare dell’autorizzazione integrata ambientale che viola prescrizioni previste dal provvedimento anche se le stesse si riferiscono agli obblighi di segnalazione nelle zone di stoccaggio, poiché detta attività di segnalazione attiene alla gestione dei rifiuti.
La Corte di Cassazione si è pronunciata sul perimetro applicativo dell’art. 29 quattuordecies, comma 3, D.Lgs. n. 152/2006 nell’ambito di un giudizio in cui l’imputato era stato condannato per non aver rispettato le prescrizioni dell’autorizzazione integrata ambientale (di seguito solo A.I.A.) concernenti gli obblighi di segnalazione nelle aree di stoccaggio dei rifiuti[1]. La contestazione, in estrema sintesi, era di non aver adempiuto all’obbligo di predisporre etichette e segnali idonei a distinguere i prodotti e le diverse tipologie di rifiuti depositati in alcune specifiche zone di stoccaggio.
Secondo la prospettazione difensiva, all’esatto contrario, la condotta omissiva ascritta all’imputato non poteva essere ricondotta alla fattispecie di cui al citato art. 29 quattuordecies in quanto, nel caso concreto, non si era verificata la situazione sanzionata dalla fattispecie penale, ossia il comportamento impeditivo del controllo della movimentazione dei rifiuti. A sostegno di quanto affermato il ricorrente citava una pronuncia di legittimità del 2014, in cui si era ritenuto che l’omessa regolare tenuta del registro di distribuzione della pollina fosse penalmente rilevante, ai sensi dell’art. 29 quattuordecies, D.Lgs. n. 152/2006, in quanto attività strumentale al controllo della movimentazione dei rifiuti prodotti[2].
La Corte di Cassazione, tuttavia, non condividendo la tesi difensiva, ha concluso per l’infondatezza del ricorso anche sotto il profilo in esame, che è l’unico rilevante in questa sede.
L’iter logico – argomentativo seguito dalla Corte prende spunto da una pronuncia di legittimità risalente al 2013[3], in cui, a quanto consta per la prima volta, si era ritenuto che la violazione delle prescrizioni dell’A.I.A. avesse rilevanza penale, ai sensi dell’art. 29 quattuordecies più volte citato, anche quando le stesse si riferivano agli obblighi di segnalazione nelle zone di stoccaggio. E ciò in quanto la valutazione dell’offensività della condotta era già stata compiuta preventivamente dal legislatore nel senso di ritenere rilevanti tutte le violazioni alle prescrizioni previste dal provvedimento autorizzativo, senza compiere alcuna distinzione.
L’affermazione della responsabilità penale, inoltre, come sottolineato nella sentenza in commento, era stata giustificata anche osservando che l’imputato, seppur parzialmente, non aveva adempiuto all’obbligo di etichettatura di alcuni serbatoi, attività funzionale alla corretta informazione sulla natura e tipologia del rifiuto a tutti i soggetti che avrebbero potuto venirvi a contatto.
Il principio di diritto sancito nel 2013, a giudizio della Corte di Cassazione, è tuttora condivisibile, in quanto il medesimo art. 29 quattuordecies, D.Lgs. n. 152/2006 opera una netta distinzione tra l’inosservanza generica di una qualsiasi delle prescrizioni dell’AIA, a cui consegue l’applicazione di una sanzione amministrativa, e le violazioni “qualificate”, tra cui quelle concernenti la gestione dei rifiuti, che sono sanzionate penalmente.
A quest’ultima categoria di violazioni la Corte di Cassazione riconduce, senza esitazioni, anche quelle attinenti agli obblighi di segnalazione nelle aree di stoccaggio dei rifiuti verificatesi nel caso concreto. Nella sentenza si legge, infatti, che l’apposizione di etichettatura sui contenitori o di segnaletica sulle aree destinate al deposito dei rifiuti è un’attività che attiene certamente alla gestione dei rifiuti in quanto è funzionale a una corretta informazione sulla natura e tipologia degli stessi per tutti coloro che con i medesimi vengono in contatto.
Si tratta di una conclusione che, secondo il Giudice di legittimità, non si pone in contrasto con il precedente citato nell’atto di impugnazione. In tale pronuncia, infatti, si era fatto riferimento al “controllo della movimentazione del rifiuto” non per indicare il fondamento della sanzione penale, bensì, per qualificare la violazione riscontrata in quello specifico caso come condotta attinente alla fase di gestione del rifiuto.
La Corte di Cassazione, apparentemente, sembra risolvere la questione giuridica relativa alla sussistenza del reato di cui all’art. 29 quattuordecies, D.Lgs. n. 152/06 condividendo e riaffermando il principio di diritto già espresso in una propria decisione del 2013, secondo cui non è possibile qualificare le violazioni delle prescrizioni dell’A.I.A. come mere irregolarità amministrative, in quanto il legislatore ha già compiuto preventivamente la valutazione dell’offensività della condotta senza prevedere alcuna eccezione e senza lasciare, dunque, alcun margine di discrezionalità.
Tuttavia, andando oltre il dato letterale, ci si accorge che la Corte non si limita ad aderire a un proprio precedente orientamento, ma, semmai, lo aggiorna.
A riguardo si consideri, anzitutto, che la decisione del 2013, i cui contenuti rappresentano il punto di partenza del ragionamento sviluppato nella sentenza in commento, è stata emessa quando era vigente la precedente versione dell’art. 29 quattuordecies, D.Lgs. n. 156/2006, ossia quando a ogni generica violazione delle prescrizioni dell’A.I.A. conseguiva la sanzione penale, mentre la responsabilità amministrativa era un’eccezione limitata ad alcune specifiche ipotesi residuali e di scarso rilievo. Nella sentenza del 2013, dunque, la Corte di Cassazione aveva potuto ritenere la rilevanza penale dell’inosservanza degli obblighi di segnalazione nelle aree di stoccaggio con un certo automatismo, in quanto era stato sufficiente rilevare che detta violazione non poteva configurare un’irregolarità formale di rilevanza meramente amministrativa.
Il contesto normativo di riferimento è però mutato radicalmente per effetto delle modifiche introdotte dall’art. 7, comma 13, D.Lgs. n. 46/2014, che ha riformato il citato art. 29 quattuordecies limitando l’applicazione della sanzione penale ad alcune specifiche situazioni. In altri termini, come osservato dalla giurisprudenza di legittimità, la novella del 2014 ha depenalizzato, riqualificandola in illecito amministrativo, la condotta di chi non osserva le prescrizioni dell’A.I.A., salvi i casi delle violazioni previste dai commi terzo e quarto dell’art. 29 quattuordecies, D.Lgs. n. 152/2006[4], che continuano a essere sanzionati penalmente.
Sebbene la sentenza in commento ignori gli effetti della riforma del 2014 è evidente come il cambiamento radicale del quadro normativo di riferimento non consenta di richiamare il principio di diritto elaborato ante riforma e di applicarlo meccanicamente nel caso concreto non essendo più idoneo, di per sé solo, a giustificare la rilevanza penale delle violazioni accertate.
Ai fini dell’integrazione del reato, infatti, non è più sufficiente una qualsiasi violazione delle prescrizioni dell’A.I.A., purché diversa da una mera irregolarità formale, ma occorre stabilire se si tratti di una delle violazioni “qualificate” di cui al terzo e al quarto comma del citato art. 29 quattuordecies.
In altri termini, la sentenza del 2013 non rappresenta un vero e proprio precedente, poiché, confrontandosi con un diverso art. 29 quattuordecies, D.Lgs. n. 152/2006, non riconduce all’attuale sfera di rilevanza penale le violazioni contestate nel caso di specie.
Ecco che allora, al fine di colmare tale “lacuna”, nella sentenza in commento la Corte di Cassazione deve compiere un passo ulteriore e affermare espressamente che anche le attività di segnalazione nelle zone di stoccaggio attengono alla “gestione dei rifiuti”. Si tratta di un concetto inedito, quantomeno nei termini in cui è stato definito nella decisione in esame, ma di cui non si può fare a meno per ritenere che il caso concreto integri la vigente fattispecie incriminatrice.
Così ricostruito un percorso logico che nelle motivazioni della sentenza è riportato solo implicitamente ci si accorge, allora, che il richiamo alla pronuncia del 2013 è condivisibile non tanto nell’ottica di applicare un principio di diritto ormai superato dalla riforma del 2014, quanto per valorizzare quella specifica parte della motivazione in cui si attribuisce all’attività di segnalazione una funzione di tutela della salute pubblica. È proprio grazie a questa affermazione, infatti, che la Corte di Cassazione prende può apportare il proprio contributo e qualificare l’apposizione di etichettatura e di segnaletica come attività di gestione dei rifiuti.
In definitiva, l’intervento della Corte di Cassazione, pur non introducendo radicali mutamenti di impostazione, offre comunque alcuni spunti di riflessione. Da un lato, va a definire la “gestione dei rifiuti” come un’attività senza dubbio attinente anche alla fase in cui gli stessi sono depositati nelle aree di stoccaggio, indipendentemente dal fatto che stiano, o meno, per essere movimentati.
Dall’altro, amplia il perimetro applicativo della norma incriminatrice escludendo la rilevanza di una sola tipologia di condotta e, sembra di poter dire, introducendo un criterio di selezione che valorizza la funzione informativa e di tutela della salute pubblica delle prescrizioni violate. Al giudice il compito, caso per caso, di applicarlo per verificare se si tratti di inosservanza di regole riguardanti la gestione dei rifiuti.
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Note
[1] L’imputato era il legale rappresentante di una società impegnata nell’attività di fonderia di seconda fusione di metalli non ferrosi.
[2] Il ricorrente ha citato a sostegno: Corte Cass. pen., Sez. III, 4 novembre 2014, n. 24680.
[3] Corte cass. pen., Sez. III, 17 dicembre 2013, n. 4346, in CED n. 259247.
[4] Senza alcuna presunzione di completezza si rinvia a: Corte Cass. pen., Sez. III, 13 dicembre 2018, n. 17056; Corte Cass. pen., Sez. III, 11 febbraio 2016, n. 14741; Corte Cass. pen., Sez. III, 11 giugno 2014, n. 40532. Si veda anche: E. Marini, Inosservanza delle prescrizioni dell’a.i.a. e rilevanza penale della gestione dei rifiuti, in questa Rivista, n. 7, 2019.