VIA e aeroporti: l’opzione zero come inconciliabilità radicale

VIA e aeroporti: l’opzione zero come inconciliabilità radicale

di Paola Brambilla

CONSIGLIO DI STATO, Sez. IIV – 22 marzo 2021, n. 20202– Pres. Lamberti, Est. De Carlo– G.C. (avv.ti Vignolo e Massa) c. ENAC (avv. Stato) Regione Sardegna (n.c.), So.G.Aer. s.p.a. (avv.to Mura)

L’opzione zero da valutare all’interno della VIA a cui è sottoposto il Masterplan aeroportuale è legittimamente scartata come scelta non praticabile quando l’opera è giudicata strategica e non vi sono controindicazioni ambientali nel senso di una radicale inconciliabilità con la tutela delle aree in esso ricomprese.

Ancora una volta l’”interessenjurisprudenz” lascia il segno, relativizzando il senso dell’opzione zero nell’ambito dell’analisi di una tipologia progettuale – quella degli aeroporti – che presenta, nella disciplina della valutazione degli impatti, una serie di peculiarità approfondite dai giudici amministrativi chiamati ad occuparsi dei nutriti contenziosi che sollevano queste opere.

Masterplan aeroportuali: VAS o VIA?

Il primo interrogativo sorto sulla valutazione ambientale degli scali ha riguardato il fatto se il Masterplan aeroportuale, o in altre parole il piano di sviluppo, debba essere sottoposto a VAS oppure a VIA.

Lo strumento del Masterplan aeroportuale, che individua le principali caratteristiche di adeguamento e potenziamento di ciascuno scalo, tenendo conto delle prospettive di sviluppo dell’aeroporto, delle infrastrutture, delle condizioni di accessibilità e dei vincoli sul territorio è regolato espressamente nel suo iter dall’art. 1, comma 6, del d.l. n. 251 del 28 giugno 1995 convertito in legge 3 agosto 1995, n. 352, nonché nella circolare del Ministero dei Trasporti e dei Lavori Pubblici 23 febbraio 1996, n. 1408 preesistenti alla trasposizione nazionale delle direttive VAS e VIA.

Quando la giurisprudenza è stata chiamata a valutare l’impatto delle nuove valutazioni sul Masterplan, è stato ben presto chiarito come, a dispetto del nome, esso consti in un progetto (nel caso in esame di ampliamento di una singola struttura esistente) con “natura puntiforme”, tale da escludere la VAS: a nulla rilevando il dato quantitativo dell’ampiezza delle aree coinvolte dal progetto, dovendosi basare sul puro dato giuridico della natura chiaramente progettuale dell’atto.

Certo, come già osservato in altre sentenze, diversamente dai consueti progetti esaminati in sede di VIA i Master Plan aeroportuali sono connotati – stante la posizione intermedia tra la pianificazione e la progettazione di singole opere – da indicazioni di larga massima che, pur dovendo essere idonee a consentire la valutazione dei singoli impatti, ai sensi dell’art. 5, lett. g) del d.lgs. n. 152/2006, prevedono la realizzazione cadenzata negli anni di una serie di interventi, con un approccio programmatico e prospettico correlato allo sviluppo futuro (ed incerto) del traffico aeroportuale, sena però assumere natura di pianificazione.

Ciò non toglie però che occorre sempre, a monte, un quadro pianificatorio localizzativo coerente con la progettazione dello sviluppo aeroportuale, che si tratti del Piano aeroportuale nazionale che pare finalmente in moto, dopo decenni, oppure della pianificazione territoriale regionale, con la correlata VAS.

Questa relazione è stata ben chiarita nel caso dell’aeroporto fiorentino di Peretole, la cui VIA è stata travolta per l’avvenuto annullamento, a monte, del piano territoriale regionale e della sua VAS. In questo caso il Consiglio di Stato, nella sentenza 1170/2020, ha chiarito che neppure la VIA potrebbe operare modifiche che introducono attività non considerate, in assenza di VAS.

In altre parole, l’esenzione dalla VAS prevista dall’art. 6, comma 12, del d.lgs. n. 152/2006 per i casi di piccole modifiche localizzative ha ragion d’essere solo “laddove il singolo progetto importi varianti relative alla sola ubicazione dell’impianto potenzialmente pregiudizievole per l’ambiente nell’ambito territoriale considerato dallo strumento pianificatorio di settore”, non essendo, per contro, “consentito apportare alla pianificazione settoriale alcuna modifica della destinazione di un sito in esso compreso, attraverso il rilascio in sede di esame di singoli progetti di autorizzazioni concernenti attività antropiche estranee al novero di quelle considerate nella prodromica attività di pianificazione” (Consiglio di Stato, sentenza 263/2015). Dunque, l’assenza di una valutazione strategica del piano territoriale che costituisce il “quadro di riferimento” per la relativa approvazione (ai sensi dell’art. 6 della l. n. 152 del 2016), va logicamente considerata non già un fattore neutro, ma fattore obiettivamente critico, se non ostativo, ai fini della possibilità di valutare favorevolmente la compatibilità ambientale del progetto in sede di VIA.

Condizioni e prescrizioni in numero elevato.

Altra caratteristica dei provvedimenti di VIA che riguardano gli aeroporti è l’elevato numero di condizioni e prescrizioni, che spesso nascono dall’assemblaggio di quelle introdotte dai diversi soggetti che partecipano alla procedura, istituzioni territoriali (in primis la Regione che concorre all’intesa) ma anche enti con compiti ambientali (ARPA, Enti gestori di aree protette, si pensi da ultimo al “sentito” degli enti gestori di Rete Natura 2000): la presenza di condizioni e prescrizioni ambientali (“condizionalità”) è connaturata al procedimento di valutazione ambientale che incorpora quelle cautele che contribuiscono a rendere il progetto rispondente ai canoni di precauzione e prevenzione, e contribuisce a conciliare progetto e contesto ambientale. Significativa al riguardo la sentenza 1392/2017 con cui il Consiglio di Stato, nel caso del TAP, altro progetto con un numero quasi mostruoso di condizioni, ha considerato legittimo il giudizio positivo di compatibilità ambientale subordinato all’ottemperanza di prescrizioni perché “una valutazione condizionata di impatto costituisce un giudizio, allo stato degli atti, integrato dall’indicazione preventiva degli elementi capaci di superare le ragioni del possibile dissenso, in ossequio ai principi di economicità dell’azione amministrativa e di collaborazione tra i soggetti del procedimento”.

Inoltre, proprio la natura di progetto in evoluzione progressiva che riveste il Masterplan evidenzia la necessità di un’attività di monitoraggio e controllo ambientale, successiva al rilascio del provvedimento di VIA, che il considerando 35 della direttiva 2011/92/UE come modificata dalla direttiva 2014/52/UE del 16 aprile 2014, ricorda abbia il fine di identificare effetti negativi significativi imprevisti, così da poter adottare opportune misure correttive.

Dunque la condizionalità è lo strumento che proprio sulla base della valutazione delle alternative orienta alla corretta progettazione dell’opera e a raggiungere il minor sacrificio ambientale: non è un caso che la nozione di condizione ambientale dettata dall’art. 5 lett. o-quater) del codice dell’ambiente si sia sempre più affinata, con il correttivo del 2017 e da ultimo con il decreto semplificazioni 2020, sino ad assumere la seguente formulazione: “prescrizione vincolante eventualmente associata al provvedimento di VIA che definisce le linee di indirizzo da seguire nelle successive fasi di sviluppo progettuale delle opere per garantire l’applicazione di criteri ambientali atti a contenere e limitare gli impatti ambientali significativi e negativi o incrementare le prestazioni ambientali del progetto, nonché i requisiti per la realizzazione del progetto o l’esercizio delle relative attività, ovvero le misure previste per evitare, prevenire, ridurre e, se possibile, compensare gli impatti ambientali significativi e negativi nonché, ove opportuno, le misure di monitoraggio”.

Nella sentenza in commento si afferma a chiare lettere che proprio la natura del Masterplan impone un elevato numero di prescrizioni; l’area è vasta, ci sono attività che possono essere compiute a stadi successivi, con eventuali modifiche progettuali, per cui l’equazione: tante prescrizioni uguale progetto lacunoso è da respingere ed al contrario sono segno di attenzione per un monitoraggio successivo attento da parte della stessa autorità competente, che conserva poteri di controllo.

Opzione zero.

Proprio la condizionalità esalta la lettura delle alternative progettuali che deve operare il proponente, e detta i limiti dell’estensione di questa verifica che possono pretendere i ricorrenti, o in genere il pubblico interessato.

Ebbene, da subito dobbiamo ricordare come il progetto debba prendere in considerazione le sole alternative “ragionevoli”; le ultimissime Linee Guida della Commissione UE sulla redazione del SIA[i]

ovvero quelle che il contesto specifico può suggerire, anche attraverso le consultazioni; l’Allegato IV della direttiva le identifica come relative al disegno progettuale, alla tecnologia, alla localizzazione puntuale, alla taglia e alla scala, mentre le Linee Guida spiegano come si debbano prendere in considerazione solo quelle economicamente sostenibili in relazione all’investimento progettuale, e pure come non si possano rimettere in discussione le macro scelte localizzative già compiute a monte, anche all’interno di strategie di natura politica o in genere pianificatoria.

Questo chiarimento della Commissione, specificamente diretto a chiarire la portata dell’opzione zero è molto rilevante: “The ‘do-nothing’ scenario or ‘no Project’ Alternative describes what would happen should the Project not be implemented at all. In some cases, however, the ‘do-nothing’ scenario cannot be considered a feasible policy option, as a Project is very clearly needed: for example, if another policy dictates an action, such as a waste management plan, which requires improved waste management, then a new plant must be built”.

In altre parole, dove la realizzazione dell’opera sia strategica, sia una necessità, l’opzione zero si traduce nella mera verifica di come realizzare il progetto con il minor sacrificio ambientale possibile: in questo caso l’opzione zero verifica se l’ampliamento dello scalo considerato una priorità da ENAC sia o meno irrimediabilmente incompatibile con lo scenario ambientale interessato.

Ove il parere della Commissione VIA ritenga non praticabile l’opzione zero, da un lato perché significherebbe travolgere il giudizio già reso sulla necessità dell’opera, dall’altro perché la realizzazione del progetto, per come subordinato a prescrizioni e condizioni, non si ritiene inconciliabile con la tutela ambientale, ed il sacrificio ambientale è sostenibile, allora la verifica sull’opzione si ritiene legittimamente assolta e altrettanto legittimamente motivata.

Lo sviluppo sostenibile diviene protezione sostenibile, termine coniato efficacemente già dieci anni or sono dai giudici amministrativi, “intendendosi con tale terminologia evocare i vantaggi economici che la protezione in sé assicura senza compromissione di equilibri economici essenziali per la collettività, ed ammettere il coordinamento fra interesse alla protezione integrale ed altri interessi solo negli stretti limiti in cui l’utilizzazione del territorio non alteri in modo significativo il complesso dei beni compresi nell’area protetta; si deve ammettere l’alterazione dei valori ambientali solo in quanto non vi siano alternative possibili da individuarsi proprio grazie alla procedura di VIA” (Cons. Stato 4246/2010).

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Brambilla – via zero

Per il testo della sentenza (estratto dal sito istituzionale della Giustizia Amministrativa) cliccare sul pdf allegato.

Consiglio di Stato 3062-2022

NOTE

[i] Environmental Impact Assessment of Projects – Guidance on the preparation of the Environmental Impact Assessment Report, 2017, PDF ISBN 978-92-7974374-0 KH-04-17-939-EN-N doi:10.2779/41362.