di Federico Peres
Corte di Cassazione Civile, III, 25 novembre 2021, n. 36651 – Pres. Scarano, Rel. Graziosi – ATC Mobilità e Parcheggi Spa c. Azienda Regionale Territoriale per l’Edilizia (ARTE) della Provincia della Spezia
In tema di bonifica, se per affermare l’obbligo di tutela dell’ambiente anteriore al decreto legislativo n. 22/1997 (cd. Decreto Ronchi) viene invocato l’art. 2043 c.c., si esce dal paradigma della responsabilità oggettiva ex lege introdotta con il richiamato decreto, non sostituibile con dati normativi antecedenti e non suscettibile di applicazione retroattiva.
IL CASO
Il caso deciso dalla Corte di Cassazione civile riguardava un’area concessa in locazione a fine anni Ottanta all’Azienda Trasporti Consortile (ATC) e successivamente alienata all’Agenzia Regionale Territoriale per l’Edilizia (ARTE) della Provincia de la Spezia. Dopo il rinvenimento di materiali inquinanti interrati e dopo aver proceduto spontaneamente alla bonifica, ARTE citava in giudizio sia i danti causa, responsabili per omessa vigilanza, sia la conduttrice ATC quale responsabile della contaminazione avendo utilizzato l’area come deposito mezzi di trasporto tra il 1987 ed il 1994.
Contro la sentenza del Tribunale, che aveva rigettato le domande attoree, ARTE proponeva appello. Con sentenza del 6.12.2018, la Corte accoglieva parzialmente il gravame e ravvisando una responsabilità oggettiva della conduttrice ATC per aver cagionato l’inquinamento, la condannava a rimborsare le spese di bonifica sostenute da ARTE.
ATC proponeva ricorso per Cassazione contestando, inter alia, l’applicazione retroattiva, da parte della Corte territoriale, dell’art. 17 del d.lgs. n. 22/1997 (c.d. Decreto Ronchi)[i]. La Corte Suprema, con la sentenza in esame, ha cassato la decisione di secondo grado per aver applicato l’art. 17 del citato Decreto senza soffermarsi sul profilo della irretroattività dedotto dalla ricorrente. Richiamate le principali pronunce della giurisprudenza sul punto, la Cassazione ha sostenuto la irretroattività della disciplina speciale in quanto, diversamente opinando, verrebbe svuotato il principio in forza del quale – come chiarito dalla Corte Costituzionale[ii] – «la condotta di un soggetto può essere assunta a fonte di responsabilità civile per il risarcimento dei danni solo se al momento in cui era stata posta in essere sussisteva un preciso obbligo giuridico sancito da una norma conoscibile all’agente». La Corte di Cassazione ha colto, inoltre, una contraddittorietà nella sentenza gravata che, da un lato aveva ravvisato, in capo alla conduttrice, una responsabilità oggettiva ex lege invocando il citato art. 17 del Decreto Ronchi, ma, al contempo, trattandosi di fatti antecedenti l’entrata in vigore del Decreto, aveva fondato la responsabilità sull’art. 2043 del codice civile che, come noto, prevede una responsabilità di tipo soggettivo, per colpa o dolo. Per tali motivi la Corte di Cassazione sul punto ha così concluso: «L’irretroattività in relazione a questa peculiare fattispecie di responsabilità oggettiva non appare superabile, il che assorbe gli altri motivi del ricorso principale […] conducendo all’accoglimento del ricorso e alla conseguente cassazione della sentenza impugnata con rinvio alla corte territoriale, in diversa composizione, affinché riesamini quanto le è stato devoluto alla luce del sopra affermato principio della irretroattività dell’art. 17 Decreto Ronchi».
I CONTRASTI DELLA GIURISPRUDENZA SULLA IRRETROATTIVITA’ DELLA DISCIPLINA
La prima pronuncia da richiamare è la sentenza n. 1783/2000 con la quale la Cassazione Sez. III Penale, intervenendo sul reato di omessa bonifica introdotto dall’art. 51-bis del d.lgs. n. 22/1997, lo qualificava come reato omissivo di pericolo presunto, identificando il momento consumativo nel mancato adempimento dell’obbligo di bonifica. Di conseguenza, posto che «l’inquinamento o il pericolo concreto di inquinamento debbono essere inquadrati nei “presupposti di fatto” e non negli elementi essenziali del reato; questo consente l’applicazione della predetta norma anche a situazioni verificatesi in epoca anteriore all’emanazione del regolamento (D.M. n. 471/1999 in vigore dal 16 dicembre 1999) e ciò non solo nell’ipotesi in cui il soggetto venga diffidato dal comune ai senti dell’art. 17»[iii].
Nel 2011 la Cassazione civile sosteneva, invece, la tesi opposta della irretroattività ponendo l’accento sulla novità della disciplina introdotta dall’art. 17 che aveva istituito «una misura ablatoria personale e comporta in capo al destinatario un obbligo di attivazione, consistente nel porre in essere determinati atti e comportamenti unitariamente finalizzati al recupero ambientale dei siti inquinati»[iv]. Osservava la Cassazione che, nel caso sottoposto al vaglio, la condotta si era consumata vigente il d.p.r. n. 915/1982 (la prima legge-quadro in materia di rifiuti) che tuttavia non poteva essere considerato un antecedente dell’art. 17 «non sussistendo alcun nesso di continuità fra dette norme succedutesi nel tempo», cosicchè parte della dottrina e della giurisprudenza già ne avevano escluso «l’applicazione retroattiva anche per il disposto del 1° comma che impone al Ministero dell’Ambiente in concerto con altri Ministeri “entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto” di determinare “a) i limiti di accettabilità della contaminazione dei suoli, delle acque superficiali e delle acque sotterranee in relazione alla specifica destinazione d’uso dei siti; … c) i criteri generali per la messa in sicurezza, la bonifica ed il ripristino ambientale dei siti inquinati, nonché per la redazione dei progetti di bonifica. E perché d’altra parte soltanto dopo la determinazione suddetta è possibile l’applicazione del comma 2, per il quale “Chiunque cagiona, anche in maniera accidentale, il superamento dei limiti di cui al comma 1, lett. a), ovvero determina un pericolo concreto ed attuale di superamento dei limiti medesimi, è tenuto a procedere a proprie spese agli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale delle aree inquinate e degli impianti dai quali deriva il pericolo di inquinamento”. Pertanto, sotto tale profilo la costruzione della responsabilità della Pirelli fondata sul menzionato art. 17, deve escludersi in radice».
Nel 2019 la Cassazione civile[v] – sul solco di una concezione che la sentenza qui in commento definisce penalistica – cambiava orientamento esprimendosi a favore della retroattività. Osservava, al riguardo, la Corte Suprema che l’obbligo di bonifica sussisteva non tanto in virtù di una applicazione retroattiva del Decreto Ronchi, ma «bensì in ragione della situazione di inquinamento perdurante alla loro entrata in vigore e suscettibile di essere interrotta solo con la bonifica» e dunque indipendentemente dal momento in cui si era verificata la contaminazione. In altre parole, ciò significa che «la ricorrenza di una situazione di inquinamento perdurante al momento dell’entrata in vigore della normativa imponente specifici obblighi di bonifica dei siti inquinati, indipendentemente dal momento in cui sono avvenuti i fatti che hanno provocato l’alterazione ambientale, imporrebbe un obbligo di intervento, in quanto l’evento in sé dà luogo ad una situazione destinata a restare permanente, ove le cause della compromissione ambientale non vengano rimosse. In questo modo non sarebbe in questione l’applicazione retroattiva della prescrizione degli obblighi di facere derivanti dall’inquinamento ambientale, ma verrebbe in gioco l’applicazione delle nuove disposizioni normative rispetto ad eventi ancora in corso suscettibili di essere interrotti solo con la bonifica»[vi].
Per completare il quadro si deve richiamare anche la sentenza n. 10/2019 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato[vii] (non citata dalla pronuncia qui in esame) secondo la quale l’obbligo di bonifica era già ricavabile da diverse norme antecedenti il Decreto Ronchi (in particolare, l’art. 18 della l. n. 349/1986 e l’art. 2043 del codice civile) con cui era stato attuato il principio comunitario “chi inquina paga” e il principio generale del neminem laedere di cui all’art. 2043 c.c. e ciò anche alla luce della giurisprudenza costituzionale relativa al bene ambiente[viii]. Quanto al rapporto tra la normativa speciale e quella generale ex art 2043 c.c., l’Adunanza Plenaria osservava che «le (pur innegabili) differenze strutturali tra le due norme sono conseguenti non già all’introduzione di un nuovo fatto illecito, offensivo di un bene in precedenza non ritenuto meritevole di protezione ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., ma all’esigenza di rafforzare la tutela del bene ambiente, già oggetto di protezione legislativa con il rimedio previsto da quest’ultima disposizione e con la specifica disposizione dell’art. 18 della legge istitutiva del ministero dell’Ambiente». Alla luce della predetta continuità, l’Adunanza Plenaria riteneva, in ultima analisi, che la bonifica del sito inquinato potesse essere ordinata anche «per condotte antecedenti a quando la bonifica è stata introdotta nell’ordinamento giuridico, i cui effetti dannosi permangano al momento dell’adozione del provvedimento». In questi termini si tratterebbe, dunque, di una retroattività “di fatto”, derivante dall’inquadramento della condotta di inquinamento ambientale in termini di illecito permanente, la cui forza lesiva resiste oltre la condotta di contaminazione, e sino alla rimozione delle conseguenze dannose. In tale ottica, non verrebbe sanzionato l’inquinamento prodotto in epoca precedente, bensì la mancata eliminazione degli effetti, i quali permangono nonostante lo scorrere del tempo.
È questo il quadro in cui si inserisce la sentenza in commento che sostiene l’irretroattività della disciplina introdotta nel 1997 e supera la posizione espressa nel 2019 con questa chiara motivazione: «Dal complessivo ragionamento di Cass. 32142/2019 (che si incentra sul facere, e quindi sull’obbligo, inadempiuto in quel caso, di bonifica) non può discendere un’applicazione retroattiva di una responsabilità oggettiva di causazione dell’inquinamento, sia perché sposta il baricentro sul non facere della bonifica – traendolo dalla figura penale, che attinge una retroattività di fatto dalla natura di reato permanente – mentre qui si tratta, al contrario, della condotta di inquinamento, sia perché, appunto, per affermare l’obbligo di tutela dell’ambiente anteriore al Decreto Ronchi richiama l’art. 2043 c.c., e quindi esce dal paradigma della responsabilità oggettiva ex lege che è proprio l’apporto, non sostituibile con dati normativi antecedenti, del Decreto Ronchi».
In ultima analisi, stando alla Cassazione 2021, non è possibile in ambito civile (ma si potrebbe aggiungere anche amministrativo, posto che il ragionamento dell’Adunanza Plenaria n. 10/2019 si fonda su norme e istituti di diritto civile) sposare la concezione penalistica che poggia su un presupposto diverso (ovvero la natura permanente del reato di omessa bonifica) e tralasciare la condotta omissiva o commissiva (rilevante in termini di responsabilità civile) che ha cagionato l’inquinamento.
La Corte non sembra negare la possibilità di riconoscere anche per fatti antecedenti l’entrata in vigore del decreto Ronchi una responsabilità per i danni arrecati all’ambiente e il conseguente obbligo di risarcirli se del caso in forma specifica attraverso la bonifica, ma tale responsabilità deve essere accertata e dimostrata in giudizio sulla base delle norme vigenti nel momento in cui la condotta si è consumata, secondo il principio tempus regit actum. In questo senso si era espresso, qualche anno addietro, anche il T.A.R. Brescia[ix] secondo il quale «è possibile individuare tre profili di analisi: (a) la qualificazione della situazione come inquinamento, attualmente da collegare ai valori delle CSC; (b) la definizione del contenuto degli interventi di messa in sicurezza e di bonifica; (c) l’individuazione del responsabile, tenuto a eseguire i predetti interventi o a subirne il costo. Per i primi due profili trovano necessaria applicazione le norme comunitarie e nazionali attualmente in vigore, come del resto è espressamente stabilito dall’art. 242 comma 1 del Dlgs. 152/2006, che dichiara applicabile la stessa disciplina alle contaminazioni nuove e a quelle storiche (v. anche C. Giust. Sez. III 4 marzo 2015 C-534/13, Ministero dell’Ambiente, punto 19). Per quanto riguarda la responsabilità, nel caso in esame, trattandosi di contaminazione storica, occorre applicare i principi generali in vigore all’epoca dei fatti, che possono essere individuati nella fattispecie ex art. 2050 c.c. (esercizio di attività pericolose)».
Ad ogni modo, anche se la motivazione addotta dalla Cassazione appare congrua e condivisibile, difficilmente si chiuderà il dibattito. Probabilmente non è tanto la complessità degli istituti a ostacolare il formarsi di un orientamento univoco, quanto piuttosto le interferenze che essi creano una volta vagliati dalle diverse prospettive dalle quali muovono i giudici civile, penale e amministrativo in coerenza con la funzione che esercitano nei diversi ambiti sostanziali e processuali in cui operano. Non è forse un caso che alcuni Paesi europei abbiano scelto di disciplinare gli obblighi di bonifica legati a contaminazioni storiche in modo diverso da quelli previsti in caso di inquinamenti recenti[x]. Peraltro, a ben vedere, anche il legislatore italiano deve avere avuto presente il tema quando, con il d.lgs. n. 152/2006, stabilì che il procedimento di bonifica descritto dell’art. 242 andava attivato non solo in caso di (nuovo) incidente che determini un inquinamento, ma anche quando viene rivenuta una contaminazione storica a rischio aggravamento. Purtroppo, non è chiaro quando una contaminazione possa dirsi storica[xi] e nemmeno in cosa consista l’aggravamento, e comunque, anche se avessimo chiari questi concetti, resterebbe la lacuna rispetto a una disciplina che nulla dice su chi debba intervenire e come in caso di contaminazioni storiche non produttive di aggravamento. I contrasti di giurisprudenza, le incertezze interpretative e le lacune della normativa impongono una rimeditazione della disciplina.
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2022.01.15 RGA Online_gennaio_Cass. Civ. 36651_2021. PERES
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[i] L’art. 17 d.lgs. n. 22/1997 ha introdotto nel nostro ordinamento una puntuale disciplina relativa alla bonifica e al ripristino dei siti inquinati, declinando, per la prima volta in modo puntuale, gli obblighi a carico del soggetto che cagiona l’inquinamento.
[ii] Corte Cost., sent. n. 202/1991.
[iii] Per inciso questa sentenza si riferiva ad un arco temporale che andava dall’entrata in vigore del decreto Ronchi alla successiva emanazione del d.m. 471/1999 che aveva fissato il Valori di concentrazione limite ammissibili, superati i quali sorgeva l’obbligo di bonifica previsto dall’art.17.
[iv] Cass. civ., sent. n. 21887/2011.
[v] Cass. civ., sent. n. 32142/2019.
[vi] Nota inoltre la Corte che «Una diversa conclusione finirebbe, da un lato, con il premiare il responsabile dell’inquinamento cui basterebbe rendersi irreperibile alienando la cosa inquinata e dall’altro con l’avvantaggiare il nuovo proprietario che troverebbe nella limitazione di responsabilità disposta a suo favore (essendo ammessa solo una responsabilità di tipo patrimoniale correlata al valore commerciale del cespite pervenutogli: cfr. infra) un commodus discessus per liberarsi dei ben più gravosi oneri economici connessi alla integrale bonifica del sito, abbandonata l’idea che il proprietario incolpevole, utilizzando il sito per l’esercizio della sua attività d’impresa, debba essere chiamato a compiere gli interventi di ripristino ambientale a titolo di responsabilità oggettiva, per la relazione speciale con la cosa immobile strumentale all’esercizio della sua attività, ed anche in ragione degli oneri di custodia e di particolare diligenza esigibili nei confronti del titolare di beni suscettibili di arrecare danno ad interessi particolarmente sensibili (Cons. Stato 25/01/2018, n. 502).»
[vii] Per un commento alla sentenza dell’Adunanza Plenaria v. a Vanetti F. e Ugolini L., Contaminazioni storiche e responsabilità di gruppo: l’evoluzione giurisprudenziale in relazione alla successione di imprese e agli obblighi di bonifica, in www.rgaonline.it.
[viii] Corte Cost., sent. n. 641/1987.
[ix] T.A.R. Brescia, sent. n. 802/2018.
[x] The impact of eu legislation, principles and case law on the national contaminated land regimes Parte I e Parte II di Luciano Butti, Silvia Campigotto e Beatrice Toniolo in Filodiritto 9 -16 Ottobre 2019.
[xi] La nota del ministero dell’Ambiente 14 maggio 2014, n. 13338, che qualifica come “storici” i riporti di materiale effettuati prima del 1982, anno dell’entrata in vigore della prima disciplina-quadro sulla gestione dei rifiuti (D.P.R. n. 915/1982).