Storia di pianoforti, biliardi, elefanti e plastica

Storia di pianoforti, biliardi, elefanti e plastica

di Stefano Nespor

Il pianoforte e il biliardo hanno molto in comune.

Entrambi si sono diffusi a partire dai primi decenni dell’Ottocento, come conseguenza del miglioramento delle condizioni di vita e della maggiore disponibilità di tempo libero.

Nel 1840 c’erano in Gran Bretagna 200 imprese che producevano oltre 23000 pianoforti all’anno.

Negli stessi anni a Parigi c’erano 60.000 pianoforti: “non c’è casa, anche della più piccola borghesia, dove non si senta il suono di un piano” scrisse il musicologo Édouard Fétis nel 1847.

In questo stesso periodo si moltiplicavano, in Francia e in Inghilterra e soprattutto negli Stati Uniti, i caffe e i pub dove, in una apposita sala, era collocato un biliardo, un gioco inventato in Francia molti secoli prima (si racconta che Luigi XI ne avesse commissionato uno).

Sia il pianoforte che il biliardo utilizzavano un materiale pregiato, l’avorio: il pianoforte per i tasti, il biliardo per le palle che i giocatori dovevano colpire con apposite stecche. L’avorio adatto era tratto dalle zanne degli elefanti di Ceylon, più denso ed elastico delle zanne degli elefanti africani.

Come spesso accade, necessità e piaceri degli esseri umani non fanno bene all’ambiente: il successo del pianoforte e del biliardo nel giro di pochi anni portò i piccoli elefanti di Ceylon sulla soglia dell’estinzione. Di conseguenza, l’avorio era sempre più scarso e più costoso. Così Michael Phelan, uno dei più importanti produttori di biliardi statunitensi, offrì nel 1866 un premio di 10.000 dollari a chi avesse trovato un materiale valido per le palle di biliardo sostitutivo dell’avorio.

Un giovane chimico, John Wesley Hyatt, fu attratto dall’offerta e, nel 1868, dopo molti esperimenti, ottenne la celluloide e fondò la Hyatt Manufacturing Company, la prima azienda al mondo a produrre materie plastiche. In pochi anni il nuovo materiale sostituì l’avorio nelle palle da biliardo e nei tasti del pianoforte, con soddisfazione non solo di Hyatt ma anche di giocatori e pianisti che potevano ottenere lo strumento di cui si servivano a un prezzo ridotto.  E con indubbio gradimento anche dei residui elefanti di Ceylon.

L’invenzione della celluloide è un esempio dei benefici all’ambiente indirettamente provocati da scoperte o innovazioni tecnologiche rivolte a soddisfare richieste dal mercato. Proprio come, nei decenni successivi, la scoperta di prodotti ottenuti perfezionando la scoperta originaria sostituirà i gusci delle tartarughe e i coralli e come la scoperta del petrolio salverà le balene, spietatamente cacciate per ottenere l’olio per l’illuminare e case e i luoghi pubblici (come racconta Melville in Moby Dick, pubblicato nel 1851).

Ma la storia non finisce qui.

Alla celluloide seguono nel volgere di pochi decenni la bakelite, il polietilene, il poliestere, il polipropilene, il plexiglas il mylar, il teflon, il PET e molti altri ancora, tutti indicati con il generico termine di plastica. La produzione mondiale annuale è attualmente di circa 360 miliardi di kg. Oggi, la plastica è ovunque e mette in pericolo la sopravvivenza di molti animali. Tra questi, ci sono proprio i coralli e le tartarughe e anche gli elefanti di Ceylon: negli ultimi tre anni, venti sono morti per aver ingerito rifiuti di plastica in una discarica vicino a Pallakkadu.

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