di Stefano Nespor
L’espressione smart city, città intelligenza secondo una traduzione che non rende però appieno l’impalpabile ampiezza del termine inglese, nasce ufficialmente nel 2009 a Rio de Janeiro ed è riferita a un piano che utilizza l’innovazione tecnologica per la gestione dei rifiuti e degli sprechi. È stata però subito riferita, più in generale, al livello di sviluppo tecnologico raggiunto da una città.
Poi l’espressione si è gradualmente arricchita di significati. Nell’ottobre 2014 a New York, durante l’Intelligent community forum l’ampio obiettivo delle smart city è stato il miglioramento della qualità della vita dell’uomo in un contesto urbano sostenibile.
Qualche anno dopo, allorché l’Unione europea ha lanciato il programma Europa 2020, nell’ambito di una strategia inserita nel settore delle tecnologie per l’energia, molti erano divenuti gli indicatori per definire smart una città: l’ambiente, la salute, la qualità della vita, la partecipazione dei cittadini alle decisioni riguardanti il futuro assetto della collettività urbana. Altri indicatori ancora si sono aggiunti da allora: la gestione del territorio, le pratiche di inclusione, la sicurezza, l’accesso alle informazioni.
Riferisce Giuseppe Rossi nel saggio Certificazioni e smart city che nel rapporto annuale ICity Rate (ICR) del Gruppo Digital 360 sono previsti cinque ambiti per analizzare il livello di smartness delle città italiane: ambiente, servizi, economia, società, governance; sono poi utilizzati 15 indici, distribuiti nei vari ambiti. Di questi, sei sono direttamente riconducibili allo stato dell’ambiente: acqua e aria, verde urbano, suolo e territorio, rifiuti, energia e mobilità sostenibile.
Il saggio di Rossi è incluso nel volume Smart City: l’evoluzione di un’idea, un volume curato da Giuseppe Franco Ferrari e pubblicato da Mimesis che si pone come un seguito di La prossima città, uscito nel 2017.
In effetti, nel corso di meno di due anni, sulle smart city sono apparsi centinaia di interventi, tra volumi, saggi, articoli di approfondimento: una proliferazione comprensibile, trattandosi di una categoria che, come si è visto, è priva di una definizione ufficiale e in continua evoluzione, estendendosi a ricomprendere nuove aree, nuovi interventi e nuove modalità di misurazione e di classificazione, con un processo di moltiplicazione e estensione che ricorda quello verificatosi con il concetto di bene comune.
Un aggiornamento e un approfondimento è quindi assai utile, soprattutto con le modalità interdisciplinari che caratterizzano anche questo volume come quello che lo ha preceduto.
Uno dei temi centrali in questo processo di evoluzione è l’ambiente urbano in tutte le sue multiformi applicazioni: ne sono il segnale più evidente l’accrescersi degli indicatori indicati nell’articolo di Giuseppe Rossi. All’ambiente e alla gestione del territorio urbano il libro dedica un folto numero di saggi suddivisi in due capitoli: La gestione del territorio e I servizi nella smart city.
In quest’ultimo capitolo sono esaminati i servizi pubblici che possono subire radicali miglioramenti in termini di efficienza, utilizzando adeguati strumenti tecnologici: il ciclo dei rifiuti e l’economia circolare, il social housing, il rapporto tra rigenerazione urbana e salute, la gestione dell’acqua e i servizi sociali. Con riferimento a quest’ultimo osserva Silvio Bolognini che per evitare un collasso del welfare state, molti paesi dell’Unione europea stanno rivedendo i propri programmi nell’ambito di un progetto dell’Unione europea, il Social Investment Package, fondato su innovazione e nuove tecnologie per rendere più efficiente l’erogazione delle prestazioni offerte dalla città nel settore sociale
Nel capitolo dedicato alla gestione del territorio il saggio di Gian Francesco Cartei La dimensione Smart dello spazio urbano: Smart city e rigenerazione urbana si sofferma sui più recenti sviluppi di integrazione tra tecnologie dell’informazione, pianificazione urbanistica e gestione degli spazi della città. È una tematica che ha avuto il suo punto di partenza ufficiale nel 2007 con la Carta di Lipsia sulle città europee sostenibili, dove sono evidenziati due elementi, la gestione sostenibile degli spazi urbani e l’inclusione sociale che, da allora, hanno acquisito progressivamente importanza.
In effetti, come ricorda Luisa Marin nel saggio Il patto globale per l’ambiente e le smart cities, la sostenibilità della città dovrà confrontarsi con difficili prove poste dall’accentuarsi degli effetti del cambiamento climatico e dall’inarrestabile intensificarsi del processo di inurbamento. Una delle finalità più qualificanti della smartness sarà quindi nell’indirizzare l’uso delle tecnologie digitali e della capacità di innovazione. Questo del resto, è l’obiettivo del Patto globale per l’ambiente proposto dall’Unione europea nel 2018: un patto che, come ha spiegato il Commissario per l’ambiente, rappresenta una grande opportunità per consolidare i principi ambientali fondamentali in un unico testo internazionale.
Tutti questi sviluppi del concetto di smart city e le ricadute positive che si verificheranno sulla gestione dell’ambiente non debbono però far dimenticare due aspetti che Giuseppe Franco Ferrari pone in evidenza nel saggio introduttivo.
Il primo è costituito dalla necessità di individuare forme di contenimento dell’espandersi al di fuori di regole e controlli delle tecnologie che si occupano della gestione della città. Bisogna evitare che, come è accaduto con l’affermarsi della globalizzazione, a un insieme di regole non più adeguate alle esigenze del mercato ma definite in modo chiaro nell’ambito di accordi e trattati stipulati tra Stati o Agenzie internazionali si sostituiscano meccanismi informali frutto di scelte non trasparenti e non dichiarate tra esponenti del potere pubblico e privati. È quindi necessario, osserva Ferrari, prevedere strumenti di irrobustimento della democrazia locale e di tutela dei diritti civili, politici e sociali dei cittadini e di garanzia delle espressioni di dissenso.
Il secondo è costituito dalle zone d’ombra che tuttora avvolgono sia la scelta dei criteri da utilizzare per classificare le smart cities (e sono attualmente un discreto numero, da quelli polarizzati sugli aspetti tecnologici a quelli che si basano sugli aspetti ambientali e sull’uso delle energie rinnovabili, a quelli, infine, che tengono conto degli aspetti di integrazione e inclusione sociali) sia l’individuazione di coloro che hanno il compito di effettuare le valutazioni sulla base di quei criteri.
Non è questione puramente accademica. Ingenti finanziamenti saranno sempre più indirizzati sulla base dei criteri adottati e dei conseguenti giudizi formulati, che si presentano come neutrali e scientificamente fondati. Proprio al tema degli investimenti è dedicato un capitolo del libro composto di vari saggi. Tra questi, quello di Mario Abbadessa su Investimenti privati e Smart cities ricorda che secondo recenti stime la spesa per progetti di smart cities potrebbe arrivare a 237 miliardi di dollari entro il 2025.
È quindi necessario regolare al più presto le modalità di individuazione dei criteri e di scelta degli organismi preposti alla loro valutazione.