di Federico Vanetti e Lorenzo Ugolini
I procedimenti amministrativi previsti dal d.lgs. 152/2006 e dalla normativa ambientale in generale ricorrono molto spesso all’istituto della conferenza di servizi al duplice fine di semplificare l’iter autorizzativo di piani e progetti e di valutare i diversi interessi preposti alla tutela dell’ambiente.
Ne sono un esempio i procedimenti di bonifica, la valutazione di impatto ambientale e l’autorizzazione integrata ambientale, nell’ambito dei quali il modulo procedimentale concertato tra enti è espressamente previsto dal citato d.lgs. n. 152/2006, in combinato disposto con la disciplina generale prevista dalla l. 241/1990 all’art. 14 e seguenti.
Come evidenziato da autorevole dottrina[i], la disciplina della Conferenza di Servizi declinata dalla l. 241/1990 è nata “come modulo procedimentale volto a favorire l’accordo tra amministrazioni in ragione del principio dell’unanimità dei consensi” per poi trasformarsi nello “strumento ordinario per l’assunzione di provvedimenti pluristrutturati”.
Molto spesso, infatti, il provvedimento conclusivo del procedimento – anche sotto forma di provvedimento unico – è assunto proprio a valle di tale conferenza.
Nel corso degli anni, tuttavia, non sono mancati conflitti interpretativi e giurisprudenziali sulla natura e sugli effetti della Conferenza di Servizi, che hanno poi determinato numerosi correttivi normativi, tra cui il più rilevante è stata la c.d. riforma “Madia” (D.lgs n. 127 del 2016).
In particolare, il tema più dibattuto ha riguardato la conclusione della conferenza di servizi e, quindi, quella del procedimento alla stessa afferente.
1) Il dibattitto dottrinale e giurisprudenziale fino alla riforma “Madia”
L’art. 14-ter l. 241/1990 (al tempo intitolato “Lavori della conferenza di servizi”), nella formulazione antecedente all’entrata in vigore della c.d. riforma “Madia” (D.lgs n. 127 del 2016) affermava, da un lato, che l’amministrazione procedente – a valle della valutazione circa “le specifiche risultanze della conferenza” e considerando le “posizioni prevalenti espresse in quella sede”- era tenuta ad adottare “la determinazione motivata di conclusione del procedimento[ii]” (si badi bene, conclusione del “procedimento” e non della Conferenza di Servizi) (comma 6-bis) e, dall’altro lato, che “i termini di validità di tutti i pareri, autorizzazioni, concessioni, nulla osta o atti di assenso comunque denominati acquisiti nell’ambito della Conferenza di Servizi” dovevano decorrere “a far data dall’adozione del provvedimento finale” (c.8-bis, aggiunto nel 2014).
Dunque, il legislatore ante 2016 non prevedeva espressamente una determinazione conclusiva della Conferenza di Servizi, adottando una terminologia piuttosto generale (i.e. “determinazione motivata di conclusione del procedimento” e “provvedimento finale”) che non chiariva se la Conferenza di Servizi rappresentasse unicamente un modulo (endo)procedimentale (senza che la stessa potesse in qualche modo produrre effetti pregiudizievoli nei confronti di terzi, con conseguenti riflessi sulla diretta impugnabilità) ovvero se, al contrario, l’esito della Conferenza potesse costituire un provvedimento vero e proprio avente rilevanza esterna e, pertanto, suscettibile di impugnazione.
Alla luce della non chiara previsione normativa, dunque, gli operatori del diritto sono stati sostanzialmente portati ad interrogarsi in merito a quale “provvedimento finale” il legislatore intendesse fare riferimento nonché a cosa corrispondesse “la determinazione motivata di conclusione del procedimento”.
Un primo indirizzo giurisprudenziale riteneva che il “provvedimento finale” idoneo a fare decorrere la validità di tutti gli atti di assenso espressi in sede di Conferenza di Servizi (e, dunque, idoneo a produrre effetti giuridici nei confronti di terzi) dovesse essere individuato nel mero verbale conclusivo della Conferenza di Servizi, qualificabile a tutti gli effetti come “atto con valenza esoprocedimentale immediatamente impugnabile” (ex multis, TAR Lazio n. 2338/2015). Pertanto, in capo al soggetto “leso” dai contenuti espressi in sede di Conferenza di Servizi vi sarebbe stato un onere di immediata impugnazione del verbale attestante la conclusione dei lavori, senza la possibilità di attendere l’atto successivo volto ad “includere” al suo interno le risultanze della stessa Conferenza di Servizi (si pensi, a titolo esemplificativo, ad un decreto ministeriale).
È indubbio che tale indirizzo rappresentasse il riflesso, in sede giurisprudenziale, di quella corrente dottrinale (che potrebbe riassumersi nel concetto di “tesi monofasica” della Conferenza di Servizi) volta ad inquadrare la medesima Conferenza di Servizi non come modulo procedimentale ma alla stregua di un vero e proprio organo collegiale, ovvero – in minor parte – di un accordo tra pubbliche amministrazioni. Se così fosse – seguendo il percorso argomentativo sostenuto dalla suddetta linea di pensiero – è allora evidente che un provvedimento ulteriore rispetto al mero verbale di conclusione dei lavori non avrebbe ragion d’essere, atteso che già la conclusione dei lavori finisce per rappresentare, in buona sostanza, la deliberazione finale dell’organo collegiale ovvero l’attestazione del raggiungimento dell’accordo tra le pubbliche amministrazioni interessate.
A tale tesi, già al tempo, se ne contrapponeva un’altra diretta, al contrario, ad inquadrare la Conferenza di Servizi all’interno di una struttura dicotomica composta da due fasi: una prima fase destinata a terminare con “la determinazione della conferenza (anche se di tipo c.d. decisorio), che ha valenza endoprocedimentale”, ed una seconda fase “che si conclude con l’adozione del provvedimento finale, che ha valenza esoprocedimentale ed esterna, effettivamente determinativa della fattispecie e incidente sulle situazioni degli interessati”[iii].
Ne consegue che sussisterebbe “uno iato sistematico” fra la conclusione della Conferenza di Servizi “e il successivo provvedimento finale”, il che finirebbe per confermare che “solo al secondo di tali atti possa essere riconosciuta una valenza effettivamente determinativa della fattispecie (con conseguente sorgere dell’onere di immediata impugnativa)”[iv].
Il suddetto dibattito giurisprudenziale, ad ogni buon conto, apparentemente poteva dirsi superato a fronte della nuova disciplina della Conferenza di Servizi introdotta dal d.lgs.127/2016.
In particolare, il nuovo art. 14-quater ha evitato di riproporre le generiche (e criticate) dizioni di “provvedimento conclusivo” e “determinazione motivata di conclusione del procedimento”, facendo invero riferimento – in maniera più specifica – alla “determinazione motivata di conclusione della conferenza” da adottarsi, da parte dell’amministrazione procedente, necessariamente “all’esito della stessa”.
La stessa l. 241/1990 chiarisce poi che “la determinazione motivata di conclusione della conferenza, adottata dall’amministrazione procedente all’esito della stessa, sostituisce a ogni effetto tutti gli atti di assenso, comunque denominati, di competenza delle amministrazioni e dei gestori di beni o servizi pubblici interessati” (c. 1), con il che “i termini di efficacia di tutti i pareri, autorizzazioni, concessioni, nulla osta o atti di assenso comunque denominati acquisiti nell’ambito della conferenza di servizi decorrono dalla data della comunicazione della determinazione motivata di conclusione della conferenza” (c. 4).
La nuova formulazione, dunque, richiede espressamente all’amministrazione procedente di adottare una vera e propria determinazione conclusiva a valle del termine dei lavori della Conferenza di Servizi destinata a sostituire tutti gli atti autorizzativi ed a produrre effetti nei confronti dei terzi, con conseguente decorrenza del termine decadenziale per esperire eventuali rimedi giudiziari[v].
Tale lettura del disposto normativo trova conferma all’interno dei lavori preparatori al medesimo d.lgs.127/2016 in cui si legge espressamente che la determinazione motivata di conclusione della conferenza “vale provvedimento”.
Alla luce di quanto sopra, dunque, parrebbe evidente il tentativo del legislatore del 2016 di chiarire – ancor di più rispetto alla disciplina previgente – la natura provvedimentale della determina conclusiva della Conferenza di Servizi la quale, pertanto – attenendosi al dato normativo vigente dettato dall’art. 14-quater L. 241/1990 – dovrebbe rappresentare il provvedimento finale destinato a concludere anche il relativo procedimento amministrativo, senza alcuna necessità di adottare un ulteriore atto finale.
2) Il nuovo orientamento giurisprudenziale relativo ai provvedimenti unici
Recentemente, il Consiglio di Stato, con la decisione n. 7021 del 19 ottobre 2021, ha inteso differenziare il provvedimento conclusivo della conferenza di servizi dal provvedimento conclusivo del procedimento, ritenendo questi due atti distinti.
La questione veniva in rilievo rispetto ad un provvedimento di autorizzazione unica ai sensi del Decreto Legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 relativa alla costruzione ed all’esercizio di un impianto di produzione di energia elettrica all’esito della chiusura dei lavori della Conferenza di Servizi.
Mentre quest’ultima si concludeva con formale determina assunta nel mese di gennaio 2021, l’autorizzazione unica era successivamente rilasciata ad aprile 2021 con successivo e distinto provvedimento.
Ebbene, proprio in ragione della mancata impugnazione del sopravvenuto provvedimento di autorizzazione unica, il Collegio ha dichiarato improcedibile l’appello in questione, specificando, “con specifico riguardo ai procedimenti di autorizzazione unica (ex art. 12, D.Lgs n. 387/2003) e autorizzazione integrata ambientale (ex art. 29 – quater e 29 – sexies del D.Lgs n. 152/2006)” che “sebbene [tali procedimenti] siano improntati, per motivi di speditezza, sul modello procedimentale della Conferenza di servizi, nondimeno gli stessi mantengono una propria specificità e struttura poiché l’autorizzazione unica costituisce il provvedimento finale di un procedimento, nel quale convergono tutti gli atti di autorizzazione, di valutazione e di assenso afferenti i campi dell’ambiente, di tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico, dell’urbanistica, dell’edilizia, delle attività produttive (art. 12, cit.)”, con il che “l’unico atto idoneo a definire la fattispecie, e quindi effettivamente lesivo, è pertanto il provvedimento finale che segue la determinazione conclusiva della Conferenza (id est, autorizzazione unica che, nella fattispecie, non è stato tempestivamente impugnato per far valere su di esso eventuali vizi di invalidità derivata)”.
Tuttavia, tale affermazione – ad avviso di chi scrive – pare porsi in contrasto con la disciplina generale che regola l’istituto della conferenza di servizi.
L’art. 14-quater L. 241/1990, infatti, afferma espressamente che la determinazione conclusiva della Conferenza di Servizi dovrebbe rappresentare ex se la conclusione del procedimento essendo, da un lato, atto “sostitutivo” di tutti gli atti di assenso espressi dalle amministrazioni interessate e rappresentando, dall’altro lato, il momento da cui decorre l’efficacia di questi ultimi.
Il Consiglio di Stato, invece, parrebbe suggerire una differente soluzione interpretativa laddove venga in rilievo un procedimento destinato a confluire in un provvedimento amministrativo “unico” idoneo ad includere più provvedimenti settoriali: si pensi, a titolo esemplificativo, al PAUR ai sensi dell’art. 27-bis d.lgs.152/2006, includente – oltre, naturalmente, alla VIA – anche l’AIA, la VAS ed eventuali varianti agli strumenti urbanistici; ovvero alla stessa AIA la quale, pur rappresentando una autorizzazione di natura ambientale, è destinata per definizione ad includere al suo interno diverse valutazioni correlate alla tutela di più interessi pubblici (ad esempio, l’AIA considera al suo interno anche i profili connessi alla c.d. normativa Seveso sugli incidenti rilevanti).
Ebbene, con riferimento ai procedimenti destinati a concludersi con tali provvedimenti “unici”, la decisione sopra richiamata porterebbe a ritenere che tali provvedimenti unici (es. l’AIA) non possano in alcun modo coincidere con la determinazione conclusiva della Conferenza di Servizi. Quest’ultima – sempre secondo il Collegio – deve invero essere collocata in una fase procedimentale antecedente al rilascio del provvedimento unico, costituendo quindi una fase endoprocedimentale.
Ad ogni buon conto, è bene rilevare che la tesi sostenuta dal Consiglio di Stato nella richiamata pronuncia n. 7021/2021, per quanto aderisca ad un filone giurisprudenziale formatosi antecedentemente l’entrata in vigore della riforma “Madia”, parrebbe essere – quantomeno per la nettezza con cui si esprime sulla questione – un unicum post riforma, con il che si ritiene opportuno muovere qualche riflessione generale.
3) Considerazioni e possibili letture
Alla luce di quanto esposto nei paragrafi che precedono, occorre domandarsi se le statuizioni declinate dal Consiglio di Stato all’interno della sentenza n. 7021/2021 – culminate, come anticipato, nell’affermazione secondo cui il provvedimento “unico” finale dovrebbe costituire “l’unico atto idoneo a definire la fattispecie, e quindi effettivamente lesivo” – possano essere condivise o meno.
In primo luogo, è evidente che le considerazioni espresse dal Collegio si pongano in contrasto con le previsioni di cui all’art. 14-quater L. 241/1990 vigente, secondo cui “la determinazione motivata di conclusione della conferenza, adottata dall’amministrazione procedente all’esito della stessa, sostituisce a ogni effetto tutti gli atti di assenso, comunque denominati, di competenza delle amministrazioni e dei gestori di beni o servizi pubblici interessati” (art. 14-quater, c. 1), con il che “i termini di efficacia di tutti i pareri, autorizzazioni, concessioni, nulla osta o atti di assenso comunque denominati acquisiti nell’ambito della conferenza di servizi decorrono dalla data della comunicazione della determinazione motivata di conclusione della conferenza” (c. 4).
L’assunzione di un ulteriore provvedimento conclusivo del medesimo procedimento caratterizzato da una valutazione espressa in sede di Conferenza dei Servizi sconfesserebbe l’obiettivo di razionalizzazione voluto dal legislatore.
Ad avviso di chi scrive, l’interpretazione opposta dal Consiglio di Stato potrebbe trovare una propria giustificazione laddove la Conferenza di Servizi assuma valenza istruttoria e non decisoria.
In tal caso, infatti, la determinazione conclusiva della conferenza assumerebbe sostanzialmente valore di relazione istruttoria del procedimento, ossia di un atto endoprocedimenale chiaramente distinto dal provvedimento conclusivo, con il che il responsabile del procedimento, pur dovendo considerare gli esiti istruttori, manterrebbe un residuo potere decisionale nell’assunzione del provvedimento finale del procedimento che, pertanto, resterebbe autonomo e distinto.
Di contro, nel caso in cui la Conferenza di Servizi assuma valore decisorio – come nel caso oggetto della recente decisione del Consiglio di Stato – il doppio provvedimento conclusivo non troverebbe giustificazione né nel dettato normativo, né nei principi di semplificazione ed efficienza del procedimento amministrativo.
Laddove, infatti, la natura della conferenza fosse decisoria, la relativa determina non potrebbe che includere ovvero confluire nel provvedimento unico autorizzativo.
La lettura che si offre è coerente con lo stesso dettato normativo che, in effetti, all’art. 14, comma 1, della l. 241/90 contempla espressamente l’ipotesi di una conferenza di servizi di natura istruttoria, che si svolge secondo le medesime modalità di quella decisoria ai sensi dell’art. 14 bis, il quale – come detto – rinvia a sua volta all’art. 14 quater per l’assunzione della relativa determinazione conclusiva della conferenza.
In alternativa, si potrebbe anche ammettere una conferenza di servizi decisoria endoprocedimentale qualora l’oggetto di tale conferenza non coincida esattamente con quello del procedimento.
Qualora, infatti, le amministrazioni chiamate ad esprimersi in seno alla conferenza valutino solo alcuni aspetti correlati ad uno specifico procedimento (es. solo gli impatti ambientali di un progetto, ma non anche gli aspetti più propriamente edilizi, urbanistici e/o operativi), il provvedimento conclusivo della conferenza non potrebbe sostituire il provvedimento unico finale il quale – a ben vedere – includerebbe ulteriori atti di assenso, nulla osta o simili esclusi dal vaglio della conferenza.
A ben vedere, però, è molto spesso la stessa norma procedimentale speciale a chiarire la natura della conferenza di servizi e, quindi, le modalità di conclusione del procedimento.
Si pensi, ad esempio, ai procedimenti di approvazione del piano della caratterizzazione e/o del progetto operativo di bonifica disciplinati dall’art. 242 del d.lgs. n. 152/2006: il comma 13 chiarisce che “la procedura di approvazione della caratterizzazione e del progetto di bonifica si svolge in Conferenza di servizi convocata dalla regione e costituita dalle amministrazioni ordinariamente competenti a rilasciare i permessi, autorizzazioni e concessioni per la realizzazione degli interventi compresi nel piano e nel progetto. La relativa documentazione è inviata ai componenti della conferenza di servizi almeno venti giorni prima della data fissata per la discussione e, in caso di decisione a maggioranza, la delibera di adozione deve fornire una adeguata ed analitica motivazione rispetto alle opinioni dissenzienti espresse nel corso della conferenza”.
In considerazione del tenore letterale della previsione, dovrebbe assumersi che la conferenza di servizi prevista da tale procedura abbia natura decisoria e sia deputata ad approvare il piano/progetto, con il che il provvedimento conclusivo della conferenza non può che coincidere con il provvedimento conclusivo del procedimento autorizzativo.
Di contro, l’art. 269 in materia di autorizzazione alle emissioni in atmosfera, al comma 3, parrebbe ammettere il ricorso alla conferenza di servizi come modulo istruttorio a cui segue l’emissione dell’autorizzazione vera e propria (“Per il rilascio dell’autorizzazione all’installazione di stabilimenti nuovi, l’autorità competente indice, entro trenta giorni dalla ricezione della richiesta, una conferenza di servizi ai sensi dell’articolo 14 della legge 7 agosto 1990, n. 241, nel corso della quale si procede anche, in via istruttoria, ad un contestuale esame degli interessi coinvolti in altri procedimenti amministrativi e, in particolare, nei procedimenti svolti dal comune ai sensi del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, e del regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265”).
Con riferimento alla disciplina dell’AIA, invece, l’art. 29-quater d.lgs.152/2006, nel prevedere che la Conferenza di servizi è convocata “ai fini del rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale”, parrebbe fare intendere – contrariamente a quanto sostiene il Consiglio di Stato – che l’AIA possa certamente coincidere con la “determinazione motivata di conclusione della conferenza” atteso che quest’ultima è convocata proprio in funzione del rilascio dell’autorizzazione. A medesime conclusioni si potrebbe giungere anche in relazione alla disciplina del PAUR atteso che, ai sensi dell’art. 27-bis, c. 7, d.lgs.152/2006, “la determinazione motivata di conclusione della conferenza di servizi costituisce il provvedimento autorizzatorio unico regionale”.
Resta comunque fermo il principio che le norme speciali (d.lgs. n. 152/2006) debbano comunque essere interpretate e applicate coerentemente con quelle generali (l. 241/90), salvo sia chiaro e pacifico l’effetto derogatorio delle prime sulle seconde.
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Conferenza di Servizi_commento Vanetti Ugolini_20220111
[i] F. SCALIA, Prospettive e profili problematici della nuova Conferenza di Servizi, in Rivista Giuridica dell’Edilizia, 6, 2016.
[ii] “All’esito dei lavori della conferenza, e in ogni caso scaduto il termine di cui ai commi 3 e 4, l’amministrazione procedente, in caso di VIA statale, può adire direttamente il consiglio dei ministri ai sensi dell’articolo 26, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 2006, n. 152; in tutti gli altri casi, valutate le specifiche risultanze della conferenza e tenendo conto delle posizioni prevalenti espresse in quella sede, adotta la determinazione motivata di conclusione del procedimento che sostituisce a tutti gli effetti, ogni autorizzazione, concessione, nulla osta o atto di assenso comunque denominato di competenza delle amministrazioni partecipanti, o comunque invitate a partecipare ma risultate assenti, alla predetta conferenza. La mancata partecipazione alla conferenza di servizi ovvero la ritardata o mancata adozione della determinazione motivata di conclusione del procedimento sono valutate ai fini della responsabilita’ dirigenziale o disciplinare e amministrativa, nonche’ ai fini dell’attribuzione della retribuzione di risultato. Resta salvo il diritto del privato di dimostrare il danno derivante dalla mancata osservanza del termine di conclusione del procedimento ai sensi degli articoli 2 e 2-bis”.
[iii] Ex multis, Cons.Stato, Sez. VI, 2378/2011.
[iv] G. SORICELLI, Profili problematici e ricostruttivi della natura giuridica della Conferenza di Servizi dopo la riforma Madia, in Federalismi.it, 20 dicembre 2017.
[v] Cfr. Cons.Stato n. 6044/2020: “L’articolo 14-quater della L. 241/1990 ribadisce il contenuto decisorio ed il valore provvedimentale della determinazione motivata di conclusione del procedimento, indicando, al primo comma, che quest’ultima sostituisce ad ogni effetto tutti gli atti di assenso, comunque denominati, di competenza delle amministrazioni, nonché dei gestori di beni o servizi pubblici interessati. La normativa de quibus, in ragione delle novelle legislative succedutesi nel tempo, ha superato la dicotomia tra conclusione del procedimento ed adozione del provvedimento, sancendo che la determinazione motivata di conclusione della Conferenza ha natura provvedimentale. La determinazione motivata della conclusione del procedimento, pertanto, avendo carattere provvedimentale, è autonomamente ed immediatamente impugnabile, mentre eventuali altri atti adottati per reiterarne il contenuto precettivo hanno valore meramente confermativo”.