di Enrico Fedrighini
In Italia ogni anno vengono prodotti 173,5 milioni /tonnellate/anno di rifiuti (fonte: ISPRA, 2019) dei quali l’82% (143,5 mln/t/anno) sono rifiuti speciali, prodotti dalle diverse attività economiche industriali, artigianali, commerciali e agricole.
Le attività legate al ciclo del cemento ed alle operazioni di trasformazione e rigenerazione urbana (costruzioni, attività di risanamento, trattamento rifiuti) originano da sole il 67% dei rifiuti speciali prodotti annualmente in Italia. Oltre il 60% del totale dei rifiuti speciali vengono prodotti nella macroarea costituita delle regioni del Nord Italia: di questi, oltre il 40% vengono prodotti nella sola Lombardia.
Analizzando la destinazione finale dei rifiuti speciali prodotti, emerge una significativa “circolarità economica” del ciclo del rifiuto: la quota di smaltimento in discarica si riduce progressivamente, ed il 76% – ovvero tre quarti dei rifiuti speciali prodotti annualmente – vengono recuperati e reimmessi nel circuito economico.
Fin qui le buone notizie.
Ma c’è il risvolto della medaglia: per avere un quadro reale della situazione, a questi dati statistici sul recupero di materia e sulla destinazione finale dei rifiuti speciali andrebbe sovrapposto un altro grafico, di natura profondamente diversa: è quello che emerge dalle relazioni semestrali della DIA riguardanti il numero e la quantità di operazioni di trattamento, smaltimento e recupero di materia sottoposte a indagini, dalle quali emergono la presenza e l’attività di “reti operative” che, in diverse forme e con diversi ruoli (trasporto, stoccaggio, trattamento e recupero), fanno degli ecoreati il proprio core-business attraverso smaltimenti illegali, trattamenti non conformi, conferimenti illeciti, riutilizzo e commercializzazione di prodotti non rispondenti ai requisiti previsti dalle norme ambientali. Queste reti sono ovviamente territorialmente concentrate dove maggiore è il circuito di produzione, smaltimento e recupero di rifiuti speciali; il Nord Italia; e spesso operano in collegamento con imprese ed operatori legati alla criminalità organizzata, soprattutto per lo smaltimento illegale di alcune tipologie di materiali (rifiuti speciali pericolosi, ad esempio metalli e scorie radioattive).
E’ un business che produce danni collettivi all’economia e all’ambiente: le inchieste comportano l’interruzione di opere e lavori, l’avvio di lunghi procedimenti giudiziari, il fallimento di imprese. Ma purtroppo l’ecoreato è un business ancora troppo conveniente: secondo l’ultimo rapporto di Legambiente, ammontano a 16,6 miliardi di euro/anno i profitti originati dalle molteplici attività legate agli ecoreati.
Il tema vero è proprio questo: i margini di guadagno legati agli ecoreati sono ancora troppo alti, rispetto ai rischi connessi all’attività illecita.
In Italia, nel corso del 2019, sono stati compiuti in media 4 ecoreati all’ora. Badate bene: stiamo parlando solo degli ecoreati effettivamente individuati, cioè formalmente accertati in seguito ad attività di indagine e di controllo da parte delle autorità competenti.
Ma un reato ambientale – come lo sversamento di sostanze inquinanti nella falda acquifera – non è un reato a “pronto effetto” come una rapina in banca: la reale dimensione economica, ambientale e sociale delle attività illecite legate al ciclo dei rifiuti speciali, emerge spesso – se emerge – a distanza di tempo, in modo casuale e con scarse possibilità di individuare i responsabili. Come nel caso, ad esempio, dei lavori per la realizzazione dell’autostrada Valdastico Sud A31: nel 2012 il cane di un contadino muore poche ore dopo avere bevuto da una pozzanghera accanto alla massicciata dell’A31: l’esame autoptico delle autorità sanitarie locali rivela che è stato avvelenato da cromo e nichel percolati da scorie di acciaieria mescolate e seppellite come conglomerato bituminoso sotto il manto autostradale. Dopo sette anni si è concluso il processo di primo grado che ha confermato la presenza, sotto il manto autostradale, di sostanze nocive che inquinano falda e campi agricoli fra Vicenza e Rovigo, senza però individuare i colpevoli. E oggi qualcuno, da qualche parte, si sta godendo a spese della collettività i profitti derivati dal ritiro di scorie da smaltire presso le acciaierie (smaltimento pagato profumatamente), dal loro mescolamento con il conglomerato bituminoso, e dalla rivendita del conglomerato contaminato a imprese di costruzioni stradali. L’economia circolare funziona bene, anche troppo, nel settore degli ecoreati.
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