di Elena Felici e Luca Montolivo
Cassazione Civile, Sez. III, 28 agosto 2019 n. 21757 – Pres. Amendola, Rel. Moscarini – A.I.R. (avv. Calcerano), S.C. (avv. Colarusso) c. Regione Puglia
Il criterio di imputazione della responsabilità per danni cagionati dalla fauna selvatica è posto al livello di governo al quale la legge delega le funzioni amministrative in tema di fauna selvatica. Il soggetto responsabile dei danni cagionati dalla fauna selvatica va individuato nell’Ente al quale siano affidati, con adeguato margine di autonomia, i poteri di gestione e controllo del territorio e della fauna ivi esistente.
Consiglio di Stato, Sez. III, 26 giugno 2019 n. 4411 – Pres. Frattini, Est. Ferrari – Azienda Agricola S.L., Azienda Agricola Ba.Pa. (avv. Discepolo) c. Regione Marche (avv. Del Vecchio), Ambito Territoriale di caccia Ancona 1, Ambito territoriale di caccia Ancona 2 (avv.ti Fattorini e Carmenati).
Nel caso di danni alle produzioni agricole o alle opere sui terreni coltivati, causati da animali selvatici il pregiudizio economico subito dal soggetto danneggiato non dà luogo al risarcimento del danno in senso stretto ma ad un indennizzo entro un tetto massimo e nei limiti stabiliti dai fondi regionali.
In tali casi non si è in presenza di un risarcimento del danno da fatto illecito ma di una misura indennitaria frutto del bilanciamento tra l’interesse della collettività al ripopolamento faunistico e quello dei coltivatori alla preservazione della loro attività.
Le due recenti pronunce in esame affrontano il tema dei diversi profili di tutela nel caso di danni alle attività agricole provocati dalla fauna selvatica.
Senza entrare nel merito della più complessa questione relativa alla possibile cumulabilità dei due rimedi in parola, le sentenze ribadiscono alcuni principi che sono andati consolidandosi nelle pronunce degli ultimi anni.
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Con la prima delle due sentenze qui commentate, la Corte di Cassazione si è pronunciata sul criterio di imputazione della responsabilità per i danni cagionati dalla fauna selvatica confermando l’orientamento secondo cui tale responsabilità deve essere imputata a quell’ente (Regione, Provincia, Ente Parco …) al quale siano “in concreto” affidati i poteri di amministrazione del territorio e di gestione della fauna.
Nel caso di specie, mentre il Tribunale di prime cure aveva ritenuto la Regione Puglia responsabile ai sensi dell’art. 1 della L. n. 157 del 1992, che attribuisce alle Regioni a statuto ordinario la gestione della fauna selvatica (attraverso la pianificazione faunistico venatoria e l’adozione di misure di controllo), la Corte d’Appello, uniformandosi ad un orientamento che è andato consolidandosi nel tempo, aveva statuito che l’ente responsabile fosse la Provincia quale ente che in concreto (in forza della L. Regionale 27/1998) esercitava le funzioni amministrative-gestionali in materia di caccia e di protezione della fauna.
Il tema della responsabilità per i danni causati dagli animali selvatici è stato più volte affrontato dalla giurisprudenza sia civile che amministrativa, e non sembra aver del tutto trovato univoca soluzione.
Sotto il profilo civilistico il dibattito giurisprudenziale si è negli anni concentrato essenzialmente sugli aspetti che seguono.
In primo luogo, ferma la natura extracontrattuale della responsabilità, la giurisprudenza ha affrontato il tema del criterio di imputazione della stessa, chiedendosi se tale fattispecie trovasse la sua fonte nell’art. 2052 c.c., o nell’art. 2043 c.c. Sotto questo profilo, l’orientamento ormai consolidato ritiene che al danno cagionato da fauna selvatica non possa applicarsi l’art. 2052 c.c., trattandosi di fattispecie che presuppone l’esistenza di un potere di controllo da parte del soggetto ritenuto responsabile, che ne ha la custodia, la disponibilità, o l’uso. Da questo punto di vista, pur costituendo la fauna selvatica, a seguito dell’entrata in vigore della L. 27 dicembre 1977 n. 968, patrimonio indisponibile dello Stato[i], non si ritiene configurabile rispetto ad essa quella potestà di governo che è il presupposto per l’applicazione dell’art. 2052 c.c.
Responsabilità sì, pertanto, a carico della P.A. ma con l’onere probatorio che l’applicazione dell’art. 2043 c.c. comporta in punto di condotta, nesso di causa, evento ed elemento soggettivo. Un onere che, da quest’ultimo punto di vista, è particolarmente stringente per il danneggiato che in sostanza dovrebbe andare a indagare, e provare, non solo la specifica condotta che la P.A. avrebbe dovuto tenere per evitare l’evento ma anche la prevedibilità ed evitabilità in concreto dell’evento. Una prova quasi diabolica, posto che la stessa implica la possibilità di accedere e di conoscere in concreto le effettive deleghe di funzioni tra enti (questione che rileva come vedremo ai fini della legittimazione passiva), i processi decisionali e le concrete modalità operative.
In secondo luogo, la giurisprudenza ha dovuto affrontare il tema dell’individuazione del soggetto responsabile per i danni, tema che è oggetto della pronuncia che qui si commenta.
A tale riguardo, a fronte di un orientamento più risalente che individuava tale soggetto nella Regione, quale titolare della funzione normativa, di programmazione e di controllo in detta materia, ai sensi della L. 11 febbraio 1992 n. 157, la giurisprudenza della Suprema Corte ha più recentemente e in più occasioni chiarito che la responsabilità per i danni debba essere posta in carico a quegli enti a cui spettano le relative competenze amministrative e gestionali ai fini dell’adozione delle misure di volta in volta idonee ad evitare i danni. In particolare, a quell’ ente “a cui siano affidati con adeguato margine di autonomia, i poteri di gestione e di controllo della fauna ivi esistente e che quindi sia meglio in grado di prevedere, prevenire ed evitare gli eventi dannosi del genere di quello del cui risarcimento si tratta.”[ii].
Tale orientamento richiede quindi che si debba stabilire a quale ente spettino tali poteri, innanzitutto in base alle leggi nazionali e regionali che regolano le competenze e la delega di funzioni, con la conseguenza che la questione è suscettibile di soluzioni diverse nell’ambito delle diverse regioni. In secondo luogo, ma non meno importante, che si debba indagare che la delega sia effettiva e che l’ente delegato sia posto concretamente in condizioni di esercitarla con la messa a disposizione di adeguate risorse economiche[iii].
Va peraltro precisato che tutto ciò non esclude la residua responsabilità della Regione quando a quest’ultima, pur in presenza della delega, siano imputabili specifiche omissioni o violazioni.
Per il testo della sentenza (estratto dal sito istituzionale della Corte di Cassazione) cliccare sul pdf allegato
Felici-Montolivo_Cass. 21757-2019
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on la seconda decisione in esame, il Consiglio di Stato, nello statuire sulla legittimità di una Delibera di Giunta Regionale che aveva applicato il regime di de minimis agli aiuti in favore degli imprenditori agricoli danneggiati dalla fauna selvatica, è tornato a pronunciarsi sulla natura delle somme erogate per il ristoro di tali danni nel settore dell’agricoltura.
La materia, regolata in primis dalla L. 11 febbraio 1992 n. 157, è stata oggetto di svariate pronunce non solo da parte della giurisprudenza amministrativa ma anche della Cassazione Civile, in quanto la complessa problematica relativa alla giurisdizione relativa per le cause di risarcimento del danno che deriva dalla lesione delle posizioni di interesse legittimo, ha trovato soluzioni non univoche[iv].
Lasciando da parte tale controversa questione e limitando la disamina agli aspetti toccati dalla pronuncia che qui si commenta, ci sembra interessante concentrare l’attenzione sui seguenti spunti.
L’art. 26 di detta legge, che si intitola “Risarcimento dei danni provocati dalla fauna selvatica e dall’attività venatoria”, dispone infatti che: “Per far fronte ai danni non altrimenti risarcibili alla produzione agricola e alle opere approntati sui terreni coltivati … … è costituito a cura di ogni Regione un fondo destinato alla prevenzione e ai risarcimenti …”[v].
Al di là della dizione letterale adottata dal legislatore statale, costituisce principio ormai pacifico in giurisprudenza -sia civile [vi] che amministrativa- che tale forma di ristoro abbia natura indennitaria essendo lo stesso correlato “da un lato, alle esigenze di pubblico interesse connesse alla tutela, anche in attuazione di obblighi internazionali, della fauna selvatica e, dall’altra, all’ assenza di ogni profilo di illegittimità nella condotta dell’amministrazione” che è tenuta a riparare il danno “in osservanza di un obbligo di solidarietà che impone di non sacrificare a dette esigenze i contrapposti interessi del proprietario o del conduttore del fondo” (così, nel richiamare il tribunale di prime cure, Consiglio di Stato, Sez. III, 16 gennaio 2019 n. 394).
Da tale impostazione discendono alcuni importanti corollari.
Innanzitutto, la necessità di bilanciare, da una parte, l’interesse della collettività alla tutela della fauna selvatica e, dall’altra, l’interesse, parimenti meritevole di tutela, dell’impresa agricola alla preservazione della propria attività, giustifica il maggior favore che il legislatore ha riservato agli imprenditori agricoli con il riconoscimento della tutela di cui all’art. 26 della L. 157/1992[vii], rispetto agli altri soggetti danneggiati dalla fauna selvatica ai quali spetta il risarcimento del danno secondo i principi generali della responsabilità aquiliana (con tutti gli oneri che ne conseguono).
In secondo luogo, il fatto che si sia in presenza di un bilanciamento di interessi e che la fauna selvatica costituisca un valore, legittima l’affermazione del principio secondo cui il diritto all’indennizzo non implica anche il riconoscimento di un diritto all’integrale riparazione del pregiudizio subito. In questo senso, si ritiene che lo stanziamento dei fondi istituiti per legge e costituiti a cura di ogni amministrazione regionale prefiguri di per sé un limite alla quantificazione dei danni, trovando la responsabilità dell’ente un tetto massimo nell’entità del fondo (e delle domande di indennizzo)[viii]. Principio che trova fondamento anche nella necessità di non gravare la P.A. di “oneri indeterminati e imprevedibili nel loro ammontare in relazione ad eventi che non sono ascrivibili a suoi comportamenti illegittimi ma si collegano alla tutela di interessi superiori”[ix].
La pronuncia che qui si commenta non si è discostata da tale impostazione, e sul punto afferma testualmente: “costituisce jus receptum ini giurisprudenza il riconoscimento della natura meramente indennitaria dei contributi erogati per il ristoro dei danni derivanti dalla fauna selvatica e l’insussistenza dell’obbligo di corrispondere ai danneggiati l’integrale ristoro dei danni patiti”.
Ulteriore corollario, di non indifferente rilievo pratico, dei principi sopra espressi, è il riconoscimento, sulla base di quanto già espressamente riconosciuto dalla Commissione Europea in diverse decisioni[x] , della qualificazione di tali indennizzi come aiuti di stato con tutto ciò che ne consegue in termini di divieti, di obblighi di notifica ex art. 108 TFUE, e, per quanto qui interessa, di applicabilità del regime di de minimis.
La sentenza in esame, in particolare, riportandosi anche alla Nota della Commissione UE Dir. Gen. Agricoltura e Sviluppo Rurale n. Ref. Ares (2017)5463163, ha ritenuto che, in assenza di notifica ai sensi dell’art. 108 TFUE, la Regione Marche abbia correttamente applicato il regime di de minimis agli aiuti a favore degli imprenditori agricoli danneggiati dalla fauna selvatica, prevedendo un tetto massimo di contributi erogabili allo stesso imprenditore nell’arco di un periodo di tempo determinato.
Per il testo della sentenza (estratto dal sito istituzionale della Giustizia Amministrativa) cliccare sul pdf allegato
Felici-Montolivo_CdS 4411-2019
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[i] L. 27 dicembre 1977 n. 968, art.: “La fauna selvatica italiana costituisce patrimonio indisponibile dello Stato ed è tutelata nell’interesse della comunità nazionale e internazionale”. Attribuendo allo Stato la proprietà della fauna selvatica si è superato il principio previgente secondo cui gli animali selvatici erano res nullius, con la conseguenza che nessuno avrebbe dovuto rispondere dei relativi danni.
[ii] Cfr. Cass. Civ. , Sez. III, 8 gennaio 2010, n. 80; negli stessi termini Cass. Civ. 10 ottobre 2014 n. 21395; Cass. Civ., 6 marzo 2015, n. 12937; Cass. Civ. Sez. VI, Ordinanza 23 giugno 2015 n. 12944.
[iii] Si segnalano sul punto diverse pronunce del Tribunale de L’Aquila (4 luglio 2019, n. 514; 9 luglio 2019, n. 521; 19 agosto 2019, n. 625) che, nel ritenere la legittimazione passiva della Regione Abruzzo per i danni conseguenti a sinistri stradali causati da animali selvatici, proprio in ragione della mancanza dell’assegnazione -da parte della Regione Abruzzo alle province- di risorse economiche specificamente destinate al ristoro di tali danni, afferma che “una delega sfornita degli strumenti necessari-anche sul piano finanziario- a far fronte al compito delegato, si tradurrebbe in una mera dismissione della funzione e della connessa responsabilità”.
[iv] Cfr. tra le altre, Cass.Civ., Sez. un., 10 agosto 2000, n. 559 e, in senso contrario, Cass. Civ. 10 maggio 2006, n.1071
[v] L’art. 26 della L. 157/1992 in tema di risarcimento dei danni prodotti dalla fauna selvatica e dall’ attivita’ venatoria così dispone:”1. Per far fronte ai danni non altrimenti risarcibili arrecati alla produzione agricola e alle opere approntate sui terreni coltivati e a pascolo della fauna selvatica, in particolare da quella protetta, e dall’attivita’ venatoria, e’ costituito a cura di ogni regione un fondo destinato alla prevenzione e ai risarcimenti, al quale affluisce anche una percentuale dei proventi di cui all’articolo 23. 2. Le regioni provvedono, con apposite disposizioni, a regolare il funzionamento del fondo di cui al comma 1, prevedendo per la relativa gestione un comitato in cui siano presenti rappresentanti di strutture provinciali delle organizzazioni professionali agricole maggiormente rappresentative a livello nazionale e rappresentanti delle associazioni venatorie nazionali riconosciute maggiormente rappresentative. 3. Il proprietario o il conduttore del fondo e’ tenuto a denunciare tempestivamente i danni al comitato di cui al comma 2, che procede entro trenta giorni alle relative verifiche anche mediante sopralluogo e ispezioni e nei centottanta giorni successivi alla liquidazione. 4. Per le domande di prevenzione dei danni, il termine entro cui il procedimento deve concludersi e’ direttamente disposto con norma regionale.”
[vi] Cfr., tra le altre, Cass. SS. UU. 18 agosto 2000 n. 559; Cass. SS. UU. 29 novembre 2000 n. 1332; Cass. Civ. Sez.III, 22 ottobre 2014 n.22348
[vii] Corte Costituzionale, 4 gennaio 2001, n.4
[viii] Cass. SS. UU. 29 novembre 2000 n. 1332; Cass. Civ., Sez. III, 22 ottobre 2014, n. 22348.
[ix] Consiglio di Stato, Sez. III, 26 agosto 201, n. 3707.
[x] Decisione del 13 giugno 2016, 27 giugno 2017 e del 29 settembre 2017.