di Elena Felici e Luca Montolivo
T.A.R. Toscana, Sez. II, 4 febbraio 2019, n. 166 – Pres. Trizzino – Est. Cacciari – Fallimento BI (Avv. Gesmundo) c. Comune di Pontassieve (Avv. Di Falco)
Se la curatela non è chiamata a succedere in obblighi o responsabilità del fallito, è tuttavia tenuta all’adempimento degli obblighi di custodia, manutenzione e messa in sicurezza correlati alla sua situazione di attuale possessore o detentore del bene, tra i quali rientra indubitabilmente l’adozione delle misure di prevenzione di cui all’articolo art. 240 comma 1, lett. l) del d.lgs. n. 152/2006, ossia le iniziative necessarie a contrastare minacce imminenti per la salute o per l’ambiente, le quali, ai sensi dell’art. 245 comma 2, dello stesso d.lgs. n. 152/2006, ben possono essere imposte al proprietario o al possessore, anche se non responsabile dell’inquinamento.
Con la sentenza qui commentata, il T.A.R. della Toscana si è pronunciato sugli obblighi che gravano sul curatore in relazione a determinati adempimenti in materia di ambiente e sicurezza, affermando la sussistenza, a carico dello stesso, dell’obbligo di adottare misure atte a prevenire eventi dannosi o pericoli per l’ambiente e la salute pubblica in conseguenza della presenza di amianto nelle coperture dei fabbricati e in cumuli di rifiuti presenti all’interno del sito in cui era stata esercitata l’attività produttiva.
Il tema della responsabilità e degli obblighi della curatela fallimentare in materia di ambiente è stato oggetto di un nutrito dibattito giurisprudenziale, non ancora del tutto risolto con un univoco orientamento, soprattutto in ambito amministrativo.
La giurisprudenza amministrativa si è infatti più volte trovata ad affrontare la delicata questione della posizione della curatela fallimentare rispetto a provvedimenti dell’amministrazione aventi a oggetto ordinanze di rimozione e avvio a smaltimento di rifiuti, di messa in sicurezza e bonifica di siti contaminati o di ripristino dello stato dei luoghi. A questo riguardo, negli anni più recenti, si è delineato un orientamento prevalente nel senso di ritenere illegittimi tali provvedimenti al ricorrere delle seguenti circostanze: (i) il curatore non abbia in concreto proseguito l’attività di impresa del soggetto fallito, in forza di un’autorizzazione all’esercizio provvisorio ai sensi dell’art. 104 R.D. 16 marzo 1942 n. 267; o (ii) l’abbandono dei rifiuti non sia univocamente e autonomamente attribuibile a un’azione o a un’omissione del curatore.
Tale orientamento si fonda, da una parte, sulla particolare natura del rapporto tra curatela e beni fallito e sulla funzione del curatore, il quale non subentra nelle posizioni del soggetto fallito ma ne amministra il patrimonio a soli fini conservativi preordinati alla liquidazione nell’interesse della massa creditoria1; e, dall’altra parte, sul generale principio comunitario “chi inquina paga” in base al quale l’imputazione dei costi ambientali deve rimanere in carico al soggetto che ha causato l’inquinamento. Principi che, diversamente argomentando, sarebbero sovvertiti in quanto non solo si porrebbero illegittimamente a carico del curatore oneri di adottare comportamenti che incombono sul fallito, ma dall’altra si porrebbero a carico del ceto creditorio – del tutto estraneo ai fatti di inquinamento o di illecito ambientale – responsabilità e costi delle misure di riparazione ambientale2. D’altra parte, con riferimento agli obblighi di bonifica nel caso di siti inquinati, la legge prevede, sempre nell’osservanza di tali principi, rimedi specifici quando non sia possibile individuare il responsabile della contaminazione e cioè che a tali adempimenti provveda d’ufficio la pubblica amministrazione3.
Peraltro, deve riscontrarsi ancora oggi l’esistenza di un orientamento diverso secondo il quale sussisterebbe la legittimazione passiva della curatela fallimentare rispetto ad obblighi di messa in sicurezza e rimozione di rifiuti derivanti dalla pregressa gestione. Tale legittimazione passiva si fonderebbe sulla qualità di detentore dei rifiuti che il curatore assumerebbe in base ai principi comunitari ai sensi della Direttiva 2008/98/CE. Da questo punto di vista, il curatore, che assume la custodia dei beni del fallito (anche in assenza dell’esercizio dell’attività di impresa), viene ritenuto un detentore materiale dei rifiuti, e come tale obbligato a (non abbandonarli e a) smaltirli, senza potersi giovare dell’esimente dell’art. 192, comma 3, D. Lgs. 3 aprile 2006 n. 152 che si applicherebbe invece ai soli proprietari incolpevoli dell’area sui cui i rifiuti vengono rinvenuti5. È proprio con riferimento al tema dell’amianto che questo orientamento ha trovato particolare applicazione sulla base non solo dell’assunto di cui sopra, ma anche della particolare pericolosità dell’amianto che per sua natura richiederebbe una attenta e continua sorveglianza per scongiurare pericoli per la salute pubblica e la sicurezza dell’ambiente6.
A fronte del quadro normativo e giurisprudenziale sopra delineato, la sentenza in commento, pur accogliendo una delle premesse su cui si fonda l’indirizzo predicativo della carenza di legittimazione passiva della curatela fallimentare rispetto alle ordinanze sindacali in tema di messa in sicurezza e/o ripristino ambientale – e, cioè, l’assenza di un fenomeno successorio o di subentro del curatore negli obblighi del soggetto fallito – finisce, in realtà per riaffermarne la responsabilità quantomeno per l’adozione di misure di prevenzione (come definite dall’art. 240, comma 1, lett. l) del D.Lgs. 3 aprile 2006 n. 1527), in virtù degli autonomi obblighi di custodia, manutenzione e messa in sicurezza che sullo stesso graverebbero in virtù del proprio ruolo.
Il punto nodale per l’approdo decisionale cui giunge la sentenza qui annotata è dunque rappresentato dall’attribuzione in capo al curatore di autonomi obblighi di custodia, manutenzione e messa in sicurezza sui beni del fallimento. Con tale affermazione, non ulteriormente motivata, e con la conseguenziale attribuzione al curatore della qualifica di “detentore attuale” dei beni del fallimento, il giudice amministrativo pare voler far proprio un passaggio logico presente nella maggior parte degli arresti giurisprudenziali favorevoli alla responsabilità del curatore per la rimozione e smaltimento dei rifiuti, mostrando di propendere per tale non prevalente orientamento.
Poste tali premesse, il giudice conferma la legittimità delle misure ambientali ordinate dal Sindaco, inquadrandole nell’ambito delle misure di prevenzione che, ai sensi dell’art. 245 del D.Lgs. 3 aprile 2006 n. 152, gravano anche sul proprietario o gestore – da intendersi anche solo quale soggetto avente la disponibilità – quand’anche incolpevole dell’area. Sotto tale ultimo profilo, e anche a prescindere da un esame più approfondito in merito all’effettiva riconducibilità delle attività ambientali richieste nel caso di specie alla nozione di misure di prevenzione piuttosto che a quella di misure in sicurezza di emergenza9 e alle differenti conseguenze in punto di responsabilità che ne potrebbero derivare, la sentenza suscita qualche ulteriore interrogativo in merito alla correttezza e necessità di tale richiamo normativo. Per un verso, dall’esame del testo non sembrano ricavabili indicazioni in merito all’effettuazione di preventivi accertamenti in merito ad una contaminazione in atto. Per altro verso, il riferimento alle misure di prevenzione non pare neppure strettamente necessario, laddove si riaffermi la responsabilità del curatore in forza della sua qualità di custode e, dunque, detentore attuale del sito e dei rifiuti al suo interno. In tal caso, infatti, sembrerebbe che l’obbligo in capo al curatore possa sorgere quale automatico effetto della sua qualità di detentore, il che renderebbe superfluo il ricorso alla residuale responsabilità per le misure di prevenzione gravante sul proprietario o gestore incolpevole ai sensi dell’art. 245 D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152.
In definitiva, pur potendosi comprendere le ragioni – da rinvenirsi nell’esigenza di tutelare in modo efficace l’ambiente e la salute – alla base dell’orientamento minoritario sopra riferito, di cui anche la sentenza in commento pare essere espressione, pare a chi scrive che l’attribuzione in capo al curatore di una responsabilità almeno sostanzialmente di posizione si ponga in contrato col principio del “chi inquina paga” e, nella misura in cui ponga a suo carico attività ulteriori rispetto alle sole misure d’emergenza atte a contenere i pericoli per la salute pubblica e l’ambiente, non risulti del tutto condivisibile e faccia preferire la tesi contraria.
Per il testo della sentenza (estratto dal sito istituzionale della Giustizia Amministrativa) cliccare sul pdf allegato Felici-Montolivo_T.A.R. Toscana, 166-2019
SCARICA L’ARTICOLO IN VERSIONE PDF
Felici-Montolivo_RGA2_giugno2019
1 Cons. Stato, Sez. V, 16 giugno 2009, n. 3885, secondo cui “Il potere di disporre dei beni fallimentari (secondo le particolari regole della procedura concorsuale e sotto il controllo del giudice delegato) non comporta del resto il dovere di adottare particolari comportamenti attivi, finalizzati alla tutela sanitaria degli immobili destinati alla bonifica da fattori inquinanti”. In senso conforme, Cons. Stato, Sez. V, 29 luglio 2003, n. 4328; T.A.R. Toscana, Sez. II, 17 aprile 2009, n. 663; T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. IV, 5 agosto 2013, n. 2062.
2 T.A.R. Trento, Sez. Unica, 20 marzo 2017, n. 93;
3 Cons. Stato, Sez. IV, 30 giugno 2014, n. 3274, il quale ha chiarito che “Il fatto che alla curatela sia affidata l’amministrazione del patrimonio del fallito, per fini conservativi predisposti alla liquidazione dell’attivo ed alla soddisfazione paritetica dei creditori, non comporta affatto che sul curatore incomba l’adempimento di obblighi facenti carico originariamente all’imprenditore, ancorché relativi a rapporti tuttavia pendenti all’inizio della procedura concorsuale. Al curatore competono gli adempimenti che la legge (sia esso il R.D. 16-3-1942 n.. 267, siano esse leggi speciali) gli attribuisce e tra essi non è ravvisabile alcun obbligo generale di subentro nelle situazioni giuridiche passive di cui era onerato il fallito”.
4 E, infatti, nel caso in cui il responsabile dell’inquinamento sia irreperibile o insolvente, e non provvedano volontariamente altri soggetti interessati, in base all’art. 250 D.Lgs. 3 aprile 2006 n. 152 gli interventi di bonifica vengono realizzati d’ufficio dal Comune o dalla Regione territorialmente competenti. A copertura dei relativi costi, tuttavia, l’art. 253 D.Lgs. 3 aprile 2006 n. 152 prevede che sull’area interessata sia costituito un onere reale. Ciò significa che, pur non avendo il proprietario alcun obbligo diretto di procedere alla bonifica, tuttavia su di lui graverà il rischio della perdita del valore dell’area, a garanzia della copertura dei costi di bonifica, qualora questa debba essere eseguita dalle amministrazioni pubbliche, in mancanza del soggetto responsabile o di altri soggetti interessati.
5 T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. I, 12 maggio 2016, n. 669; Cons. Stato, Sez. IV, 25 luglio 2017, n. 3672.
6 T.A.R. Friuli Venezia Giulia, Trieste, Sez. I, 12 ottobre 2015, n. 441.
7 Le misure di prevenzione sono definite dall’art. 240, comma 1, D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 come “le iniziative per contrastare un evento, un atto o un’omissione che ha creato una minaccia imminente per la salute o per l’ambiente, intesa come rischio sufficientemente probabile che si verifichi un danno sotto il profilo sanitario o ambientale in un futuro prossimo, al fine di impedire o minimizzare il realizzarsi di tale minaccia”. Si tratta, quindi, di interventi volti ad arginare nell’immediato e in via provvisoria il peggioramento della contaminazione verificatasi e che hanno ragion d’essere ogniqualvolta vi sia la necessità di contrastare una ‘minaccia imminente’ per la salute o per l’ambiente creata da un evento, un atto o un’omissione. Cfr. Codice dell’Ambiente, a cura di Stefano Nespor e Ada Lucia De Cesaris, Milano, 2009, p. 687.
8 T.A.R. Friuli Venezia Giulia, Trieste, Sez. I, 24 settembre 2018, n. 305.
9 Le misure di messa in sicurezza d’emergenza sono definite dall’art. 240, comma 1, lett. m), D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 come: “ogni intervento immediato o a breve termine, da mettere in opera nelle condizioni di emergenza di cui alla lettera t) [i.e. 1) concentrazioni attuali o potenziali dei vapori in spazi confinati prossime ai livelli di esplosività o idonee a causare effetti nocivi acuti alla salute; 2) presenza di quantità significative di prodotto in fase separata sul suolo o in corsi di acqua superficiali o nella falda; 3) contaminazione di pozzi ad utilizzo idropotabile o per scopi agricoli; 4) pericolo di incendi ed esplosioni] in caso di eventi di contaminazione repentini di qualsiasi natura, atto a contenere la diffusione delle sorgenti primarie di contaminazione, impedirne il contatto con altre matrici presenti nel sito e a rimuoverle, in attesa di eventuali ulteriori interventi di bonifica o di messa in sicurezza operativa o permanente.