Peak Meat

Peak Meat

di Stefano Nespor

Fino a qualche anno fa si parlava di peak oil, ricercando la data in cui la produzione di petrolio avrebbe raggiunto il suo massimo e avrebbe cominciato a diminuire; diecine di saggi, rapporti libri e articoli sono stati prodotti sull’argomento. Oggi del peak oil non si occupa più nessuno. Non tanto perché è ben più lontano dall’essere raggiunto di quanto si supponesse, ma soprattutto perché l’obiettivo di contenere il cambiamento climatico impone di cessarne l’estrazione e l’utilizzo.

Si parla invece sempre più frequentemente di peak meat, la data in cui il consumo di carne comincerà a declinare. Non per mancanza della materia prima, ma per necessità di conservazione dell’ambiente e di contenimento del cambiamento climatico.

Siamo ormai, come ricorda il WWF, in un pianeta destinato all’allevamento: Il 70% della biomassa degli uccelli del pianeta è pollame da allevamento. Solo il 30% è costituito da specie selvatiche, bovini e suini da allevamento costituiscono il 60% della biomassa dei mammiferi sul pianeta, il 36% da umani e appena il 4% da mammiferi selvatici (www.wwf.it/area-stampa/report-wwf-un-pianeta-allevato/).

Secondo un rapporto della FAO di qualche anno fa, il settore dell’allevamento in generale è responsabile di circa il 15% delle emissioni di gas serra, considerando non solo le emissioni causate dagli animali da quando nascono a quando vengono inviati al macello, ma anche quelle derivanti dalla produzione di mangimi, quindi comprese quelle che dipendono dalla deforestazione dei terreni da destinare a coltivazioni e pascolo (www.fao.org/3/i3437e/i3437e.pdf).

L’allevamento dei bovini, in particolare, richiede, a parità di calorie fornite, 6 volte più fertilizzanti (che producono gas serra assai più potenti dell’anidride carbonica) rispetto alla produzione di altre carni. La riduzione dell’allevamento di bovini renderebbe disponibili enormi superfici di terreno e enormi quantità di acqua per la realizzazione di progetti di contenimento del cambiamento climatico e per la tutela della biodiversità: un rapporto elaborato da Chatham House, un centro di ricerca britannico, insieme all’UNEP ha posto in evidenza che la riduzione del consumo di carne e il più importante strumento per frenare la perdita di biodiversità  (New Report: Food System Impacts on Biodiversity Loss | Compassion in World Farming International (ciwf.org). Secondo uno studio pubblicato dalla rivista Plos Climate, l’eliminazione degli allevamenti unita al ripristino delle aree ora destinate al pascolo e alla coltivazione dei mangimi permetterebbe di ridurre le emissioni di CO2 del 68 per cento entro il 2100 (https://journals.plos.org/climate/).

Il tema del peak meat si è imposto all’attenzione perché la quantità di carne prodotta è oggi quasi cinque volte maggiore di quella dei primi anni ’60: siamo passati da 70 milioni di tonnellate a 340 milioni di tonnellate. Questo balzo è stato determinato non solo dall’aumento della popolazione mondiale, passata in questo periodo da 3 miliardi di 60 anni fa, agli oltre 7,6 miliardi attuali, ma anche dall’aumento del benessere, soprattutto nei paesi emergenti: in Brasile il consumo di carne è raddoppiato negli ultimi trent’anni, mentre in Cina il consumo di carne a persona, inferiore a 5 kg all’anno negli anni ’60, oggi supera i 60 kg. Per soddisfare la domanda di carne attualmente è utilizzato circa il 20% di tutte le terre emerse per il pascolo e il 40% dei terreni coltivati per la produzione di mangimi (www.wwf.it/cosa-facciamo/pubblicazioni/dalle-pandemie-alla-perdita-di-biodiversita-dove-ci-sta-portando-il-consumo-di-carne/).

Così, secondo un rapporto del 2021, gli Stati Uniti e l’Unione europea raggiungeranno il peak meat nell’ormai non lontano 2025 (Food for Thought: The Protein Transformation | BCG).

L’Olanda, come spesso è accaduto in questi anni, si è mossa in anticipo. Nel novembre dello scorso anno il Governo ha approvato il Programma nazionale per le aree rurali. Esso infatti prevede un investimento di oltre 24 miliardi di euro per acquistare, coattivamente se necessario, 3000 fattorie di allevamento di bestiame per ridurre l’inquinamento in prossimità di riserve naturali che rientrano nei vincoli di Natura 2000 posti dall’Unione europea e per contenere le emissioni di ammoniaca e di ossidi di azoto, importanti fattori che contribuiscono al cambiamento climatico.

Secondo il responsabile del WWF Olanda la produzione di carne deve drasticamente calare per rispettare i vincoli ambientali e climatici posti dall’Unione europea (Have we reached ‘peak meat’? Why one country is trying to limit its number of livestock | Climate crisis | The Guardian).

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