di Alberto Nicotina e Roberto Saglimbeni
Numerosi sono i mutamenti sociali e culturali indotti dalla pandemia da coronavirus in atto in questi giorni. Tutti noi, specialmente coloro che vivono in contesti urbani, osservando le misure imposte dal Governo per contenere la trasmissione del virus, stiamo avvertendo la mancanza, e cosi l’importanza, di piccoli gesti quotidiani, come fare jogging al parco o più semplicemente trascorrervi qualche ora in compagnia di persone care.
Il momento ci sembra propizio, quindi, per svolgere qualche riflessione proprio sui parchi urbani e sulla loro funzione almeno duplice: da un lato come declinazione di un catalogo ampio di diritti, individuali e superindivuali, e dall’altro – e di conseguenza – come oggetto di misure restrittive, come quelle attuali, alla ricerca delle modalità attraverso cui la compressione di quegli stessi diritti possa ritenersi opportuna e giuridicamente fondata.
- Il “diritto al verde urbano”: funzione sociale e fonti normative
Sebbene la presenza di spazi verdi nelle città, in misura più o meno ampia e più o meno intenzionale, sia connaturata alla nozione stessa di città fin dai tempi più antichi, solo recentemente l’idea della presenza “verde” come contraltare all’espansione del perimetro urbano è diventata elemento essenziale del dibattito non solo sociologico e tecnico-architettonico intorno alla città, ma anche giuridico.
Sempre più di frequente, anche in questa Rivista, si è discusso della nozione di città sostenibile, raccogliendo gli stimoli – anche di ordine normativo – che sono emersi nel corso degli anni più recenti. Dalla Conferenza di Rio del 1992, al Protocollo di Kyoto del 1997, fino alla più recente Conferenza sul Clima di Parigi del dicembre 2015, numerosi strumenti normativi si sono susseguiti denunciando un crescendo non solo d’interesse rispetto al tema, ma anche di precettività delle disposizioni adottate.
Quanto all’Accordo di Parigi, in particolare, con esso viene riconosciuto il ruolo non solo degli Stati ma anche degli Enti subnazionali nella lotta ai cambiamenti climatici, nella più stretta collaborazione tra attori pubblici e privati, partendo dal livello locale (1). A livello europeo, numerosi sforzi sono profusi per garantire l’armonizzazione di standard minimi per l’accesso ad aree verdi, e cosi al godimento di un vero e proprio “diritto al verde urbano”, lavorando alla predisposizione di strumenti per la definizione di tali standard (2).
Un caso modello, da questo punto di vista, è rappresentato dall’esperienza tedesca di Freiburg im Breisgau, nella Germania del sud, dove fin dagli anni Ottanta sono state adottate precise linee guida, versate in una puntuale legislazione urbanistica, per la conformazione di una città sostenibile. Due, in particolare, gli elementi di maggiore interesse: la previsione di limiti spaziali invalicabili rispetto all’espansione del perimetro urbano, corrispondenti con l’attuale confine della Foresta Nera; e la “promozione della socialità”, come concetto chiave dell’intero disegno urbanistico (3).
E sulla scorta di quest’ultima esigenza, quella della creazione di spazi per la socialità, nascono storicamente gli spazi verdi urbani. Più precisamente, la creazione di parchi urbani per come li conosciamo oggi rimonta al XIX secolo, con l’obiettivo di migliorare le condizioni di vita nelle città, divenute sovrappopolate a causa della rivoluzione industriale. In quegli anni, il park movement americano, ad esempio, spingeva per la creazione di estese aree verdi – come il Central Park di New York – con una funzione anche “moralizzatrice”: promuovere presso le classi lavoratrici la cultura dello sport e del tempo libero, creando “happier and therefore better citizens” (4).
Pur oggetto di mutazioni nel corso del tempo, la funzione dei parchi urbani è sempre rimasta quella di apportare un contributo migliorativo allo stile di vita dei cittadini, e cio nonostante che il loro mantenimento costituisce – e ha sempre costituito, pur con modalità differenti – un onere a carico degli Enti locali incaricati di promuoverli, preservarli e manutenerli. Dalla legge urbanistica (5) fondamentale, che impone, semplicemente ma incisivamente, l’obbligo di destinare aree a verde pubblico, fino alla più recente Legge 14 gennaio 2013 n. 10, recante “norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani”, molte sono le disposizioni adottate con questo obiettivo.
Significative al proposito, e purtroppo spesso dimenticate, sono le norme introdotte con la legge 29 gennaio 1992, n. 113, che ha imposto – per la prima volta in Italia – un vero e proprio obbligo a carico dei Comuni di messa a dimora di un albero per ciascun nuovo nato. E proprio la citata legge 10/2013 è intervenuta sul tema specifico, apportando modifiche che hanno reso più stringente l’obbligo di piantumazione di nuovi alberi, estendendolo anche al caso di minori adottati. Ancora più di recente, inoltre, si segnalano tentativi – allo stato solo potenziali – di estendere lo stesso obbligo. Il disegno di legge n. 549 del 2 luglio 2018 (6) prevede, infatti, che tutti i Comuni sopra i 5.000 abitanti debbano farsene carico, anche nel caso di morte di cittadini prima dei 50 anni, specificando altresi che gli alberi debbano essere ricompresi all’interno del perimetro urbano. A rendere effettivo questo incombente – sempre nei termini del disegno di legge esaminato – sarebbe l’esercizio di un potere sostitutivo da parte dei Prefetti.
Ma al di là degli sviluppi potenziali, ancorché interessanti e sintomo di un crescente ruolo del fenomeno nel dibattito pubblico, la richiamata legge 10/2013 istituisce presso il Ministero dell’Ambiente un “Comitato per lo sviluppo del verde pubblico”, con il compito, in particolare, “di monitorare l’applicazione della nuova legge da parte delle amministrazioni più vicine al territorio, ovverosia i Comuni, e promuoverne l’attuazione attraverso un continuo e attento supporto agli stessi, quali attori principali del processo di definizione e orientamento delle politiche locali di sviluppo del verde” (7).
Proprio nel solco di questa collaborazione, improntata al principio di sussidiarietà – non soltanto nella sua dimensione verticale, ma anche orizzontale (8) – si colloca anche il Protocollo sottoscritto dall’Associazione Nazionale Comuni Italiani con il Comitato Parchi per Kyoto, volto alla realizzazione, alla promozione e alla gestione di aree verdi urbani attraverso il coinvolgimento, anche finanziario, di soggetti privati (9).
L’interesse mostrato tanto da soggetti pubblici quanto da soggetti privati fa emergere, in definitiva, la rilevanza dei parchi urbani. Da un lato rimane sicuramente, come è stato efficacemente notato, una “idea di parco [che] si connette fortemente con l’idea di loisir”, inteso come attività che consente un recupero “dalle fatiche del lavoro o un rilassamento dalle tensioni […] attraverso la coscienza e la consapevolezza che vi sono ancora aree dove è possibile provare determinate emozioni e sensazioni” (10), derivanti principalmente – notiamo – dal recupero di una dimensione irrinunciabile di “naturalità” pur all’interno di contesti urbani fortemente antropizzati.
D’altra parte e – ci sembra – in via principale, il parco costituisce una risposta ad un’esigenza individuale – ancorché comune – di “benessere”, inteso non solo come salute psicofisica del singolo, ma come luogo d’incontro, e cosi spazio fisico per il godimento di un catalogo ampio di diritti fondamentali che include, ma non si esaurisce, nel diritto alla salute e ad un ambiente salubre.
Basta scorrere distrattamente i primi articoli della Carta costituzionale per notare come nel parco urbano trovino la loro declinazione concreta i fondamenti del vivere civile. Solo per citarne alcuni: è (anche) qui che trovano spazio “le formazioni sociali ove si svolge la personalità” del singolo (art. 2), che si gode del paesaggio (art. 9), che si circola, ci si muove (art. 16) e ci si riunisce (art. 17), ed è sempre attraverso i “polmoni verdi” che si tutela al meglio la salute propria e collettiva (art. 32).
Una funzione, quella dei parchi, costituzionalmente rilevante e socialmente irrinunciabile. Almeno nella misura in cui altre esigenze, di pari valore, non ne richiedano la chiusura.
- La chiusura delle aree verdi come presidio per la salute pubblica: le ordinanze locali
L’utilizzo dei parchi e delle aree verdi urbane risponde – come si è visto – ad una declinazione dei diritti costituzionali dei cittadini. Tale applicazione, tuttavia, è da bilanciarsi con esigenze ad essa concorrenti, che in situazioni di emergenza, quale quella in atto nel nostro Paese, sono certamente da ritenersi preminenti rispetto al diritto alla fruizione del verde pubblico.
Al fine di cogliere le complesse sfumature di un bilanciamento che si sviluppa per progressive approssimazioni, mediante la normativa nazionale e locale, appare utile ripercorrere l’iter argomentativo alla base delle ordinanze con le quali i sindaci delle principali città italiane hanno disposto la chiusura delle aree verdi recintate per prevenire la diffusione del coronavirus.
L’ordinanza n. 12 del 13 marzo 2020 del Comune di Milano (11) ha disposto “la chiusura dei parchi pubblici recintati e delle aree verdi recintate” lasciando invece libera la fruizione “delle aree verdi non recintate, fermo il divieto di assembramento”. Si tratta di un provvedimento particolarmente incisivo per il territorio comunale, posto che esso, data la situazione critica della Lombardia, fa riferimento al concetto di “servizio essenziale per i cittadini” per escludere dal novero di questi ultimi l’accesso alle aree verdi urbane.
Il provvedimento del Comune di Milano definisce infatti i servizi essenziali come quelli “volti al soddisfacimento dei bisogni primari della popolazione stessa nonché al contenimento dell’emergenza”. Una diade inscindibile, nella quale il soddisfacimento delle esigenze di base (i.e. necessarie per la vita) può svilupparsi solo entro i limiti imposti dalla superiore esigenza di non diffondere ulteriormente il contagio.
La scelta del Comune di Milano appare altresì improntata alla salvaguardia dei principi di efficacia, efficienza ed economicità dell’azione amministrativa. Nelle aree verdi recintate, dove l’esercizio dello ius excludendi è di facile e pronta attuazione, l’accesso al pubblico è intercluso con un ostacolo di tipo fisico; nelle aree aperte, al contrario, il rispetto delle regole di distanziamento sociale è demandato ai controlli della Forza Pubblica e, soprattutto, al deterrente penale rappresentato dall’art. 650 c.p. Allo stato attuale, come noto, in seguito all’art. 4 del D.L. 25 marzo 2020, n. 19, la sanzione penale è stata sostituita dalla sanzione amministrativa pecuniaria, da un minimo di 400 ad un massimo di 3.000 euro, aumentato fino ad un terzo se la violazione è posta in essere mediante un veicolo.
Misure simili a quelle di Milano sono state adottate da quasi tutte le grandi città: si ricordano a titolo esemplificativo l’ordinanza n. 65/2020 del Comune di Roma (12), nonché gli analoghi provvedimenti delle città metropolitane di Bari, Firenze e Palermo (13).
Parzialmente difforme dal “modello Milano” risulta essere l’esempio della città di Torino, nella cui area urbana la chiusura degli spazi verdi è stata disposta solo in prossimità del provvedimento governativo del 25 marzo, valido per l’intero territorio nazionale. La conformazione del territorio comunale, ricco di parchi non recintati, ha reso sostanzialmente impossibile una “serrata” delle aree verdi. Il contenimento del contagio, pertanto, è stato affidato ad una massiccia opera di controllo della Polizia locale, nonché all’affissione di cartelli contenenti le disposizioni dei Decreti della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Di particolare interesse – visti anche i risvolti mediatici della vicenda – l’ordinanza della Presidenza della Regione Campania, che già in data 13 marzo aveva assunto una posizione di netta chiusura nei confronti delle attività all’aperto, ivi inclusi lo svolgimento di attività sportiva, l’accesso al litorale ed al verde pubblico. Chiamata a pronunciarsi in via cautelare, su istanza di un cittadino che lamentava la lesione del proprio diritto alla fruizione degli spazi collettivi, la Sezione Quinta del Tar Campania (14) ha respinto il ricorso, argomentando che “nella valutazione dei contrapposti interessi, nell’attuale situazione emergenziale a fronte di limitata compressione della situazione azionata, va accordata prevalenza alle misure approntate per la tutela della salute pubblica”.
- Conclusioni
Attraverso una lettura diacronica e – per quanto possibile – multidisciplinare, abbiamo inteso sostenere la tesi secondo cui i parchi urbani hanno una funzione socialmente e costituzionalmente rilevante.
La recente proroga delle misure restrittive fino al 13 aprile evidenzia ulteriormente la scelta delle Autorità Pubbliche, di ogni ordine e grado, di tutelare beni giuridici di rango costituzionale: e ciò anche quando le esigenze di protezione vadano a collidere con l’esercizio di libertà di rango elevato, quali la socialità, il diritto alla vita pubblica, la fruizione del verde urbano e, più in generale, l’espressione della personalità umana nelle forme protette dall’art. 2 della Carta.
La chiusura dei parchi urbani, recentemente imposta, rappresenta l’esito di un bilanciamento ponderato tra diritti fondamentali, egualmente rilevanti.
Misure restrittive così stringenti, pertanto, possono dirsi sorrette solo dall’esigenza di neutralizzare il rischio – grave ed attuale – per la salute della collettività. Nel momento in cui tale pericolo dovesse ridursi (avviandosi così la “fase due” annunciata dall’Esecutivo), la riapertura delle aree verdi alla libera fruizione dovrà essere oggetto di un ancor più attento contemperamento di interessi da parte degli enti locali. Se, per un verso, la completa rimozione dei limiti potrebbe vanificare i sacrifici imposti nelle scorse settimane, per altro verso è opportuno ricordare che la permanenza domiciliare è il risultato della compressione di un fascio di libertà estremamente ampio e di un condizionamento psicofisico rilevante sulla vita dei cittadini. Ci sembra, in ultima analisi, che il permanere delle misure di chiusura nei prossimi mesi, ivi ricompreso l’accesso alle aree verdi, potrà dirsi adeguato solo se ragionevolmente delimitato nel tempo e se posto in parallelo al diritto/dovere di ripresa delle attività lavorative.
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Nicotina-Sgalimbeni_Parchi urbani
Note:
- in questo senso il parere del Comitato Europeo delle Regioni “Attuare l’accordo di Parigi sul clima – Un approccio territoriale alla COP 22 di Marrakech”, CDR/1412/2016 del 12 ottobre 2016, https://cor.europa.eu/it/our-work/Pages/OpinionTimeline.aspx?opId=CDR-1412-2016;
- Tra questi, di particolare interesse H. Poelman, “A walk to the park? Assessing access to green areas in Europe’s cities”, Commissione Europea, Working Paper 01/2016, https://ec.europa.eu/regional_policy/en/information/publications/working-papers/2018/a-walk-to-the-park-assessing-access-to-green-areas-in-europe-s-cities .
- in questo senso C. Tidore, R. Deriu, S. Spanu, “Popolazioni mobili e pratiche sociali negli spazi pubblici”, Franco Angeli, 2016; A. Mazzette, S. Spanu, “Sustainable Development as a Challenge for Cities in the 21st Century: lessons learned from the city of Freiburg im Breisgau”, in Scienze del Territorio, 3/2015, Firenze University Press, pp. 274-282.
- Per una più ampia trattazione del tema si veda H. Jordan, “Public parks 1885-1914”, in Garden History, Vol. 22, N. 1, 1994, pp. 85-113. La citazione riportata è tratta dal report presentato nel 1910 da W.W. Pettigrew al Cardiff Parks Department, intitolato ‘The aim and scope of a Public Parks Department’, ivi citato a p. 86.
- Legge 18 agosto 1942, n. 1150.
- Per il testo integrale si veda https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/DF/339483.pdf
- Linee guida per il governo sostenibile del verde urbano, Comitato per lo sviluppo del verde pubblico, MATTM, 2017, p. 4, https://www.minambiente.it/sites/default/files/archivio/allegati/comitato%20verde%20pubblico/linee_guida_finale_25_maggio_17.pdf
- Sulla nozione di “sussidiarietà orizzontale” positivizzata all’art. 118, ultimo comma Cost., si veda G. Arena, “Cittadini attivi: un altro modo di pensare all’Italia”, Laterza, Bari, 2006.
- Per il testo del protocollo si veda: http://www.parchiperkyoto.it/wp-content/uploads/2015/11/ANCI-Parchi-per-Kyoto_Protocollo-dintesa.pdf
- Giuntarelli, “Parchi, politiche ambientali e globalizzazione”, Franco Angeli, 2008, p. 106.
- Per il testo completo si veda comune.milano.it
- del 20 marzo 2020, su www.comune.roma.it
- Una sintetica elencazione è disponibile su www.corriere.it del 13 marzo 2020.
- TAR Campania, Sez. Quinta, ord. n. 416/2020.