di Eleonora Gregori Ferri
Consiglio di Stato, Sez. IV, 14 giugno 2022, n. 4826 – Pres. Lamberti, Est. D’Angelo – E. R. S.p.A. (avv. Renna) c. Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare et. al. (Avvocatura Generale dello Stato) e n.c.d. Comune di Cassano allo Ionio (avv. Pellegrino) e Provincia di Cronone et al, n.c. in giudizio.
[conferma T.A.R. Calabria, Sez. I, 11 dicembre 2017, n. 1927]
Ai sensi dell’art. 242, comma 1, del d.lgs. n. 152/2006, nelle ipotesi di “contaminazioni storiche” il responsabile dell’inquinamento rimane obbligato alla bonifica, ove il pericolo di aggravamento della situazione sia ancora attuale.
Nel caso dell’assunzione volontaria degli interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino da parte del proprietario incolpevole, l’Amministrazione non è tenuta a svolgere alcun accertamento in merito alla responsabilità di quest’ultimo, potendogli imporre ogni prescrizione necessaria al raggiungimento dell’interesse pubblico alla bonifica, a prescindere dalla verifica in merito a chi abbia effettivamente determinato l’inquinamento.
La messa in sicurezza del sito costituisce una misura idonea ad evitare ulteriori danni oltre la contaminazione, nonché la diffusione dell’inquinamento. Essa rientra pertanto nel genus delle misure precauzionali che non hanno finalità sanzionatoria o ripristinatoria, bensì urgente e dunque, laddove adeguatamente motivata, può essere imposta anche al proprietario incolpevole, senza previa individuazione del soggetto responsabile della contaminazione.
Con la sentenza in commento il Consiglio di Stato ha deciso un’annosa e intricata vicenda giudiziaria che ha visto opporsi la società appellante alla mancata approvazione dei progetti di bonifica riguardanti diversi stabilimenti di sua proprietà, nonché all’imposizione di ulteriori e più gravose prescrizioni in merito agli interventi da eseguire nei siti in questione, interessati da una contaminazione storica.
In sintesi, nel ricorso di primo grado avanti al TAR Calabria la società, allora ricorrente, aveva lamentato l’illegittimità dei provvedimenti impugnati e la violazione del principio “chi inquina paga”[i], sul presupposto che le attività di bonifica erano state avviate dalla stessa società, su base volontaria e in qualità di proprietario incolpevole, per cui l’amministrazione non avrebbe potuto aggravare detti impegni senza prima aver accertato l’identità del responsabile dell’inquinamento.
A detta dell’allora ricorrente, infatti, l’avvio di un intervento di bonifica volontario non avrebbe fatto venir meno il principio di diritto secondo cui unico vero obbligato alla bonifica è l’inquinatore, mentre il proprietario incolpevole è tenuto solo ad una prestazione di garanzia, costituita dall’onere reale gravante sul sito nel caso di bonifica effettuata dall’amministrazione[ii].
Il TAR Calabria aveva respinto dette censure, affermando che nella specifica ipotesi della bonifica volontaria, l’interesse pubblico al prosieguo dell’attività dovesse prevalere a prescindere dalla responsabilità della contaminazione. Secondo il giudice di primo grado, infatti, in capo al proprietario di un sito inquinato sussisterebbe una vera e propria responsabilità “da posizione”, “non solo svincolata dai profili soggettivi del dolo e della colpa, ma che non richiede neppure alcun apporto causale” (T.A.R. Calabria, Sez. I, 11 dicembre 2017, n. 1927).
In appello la società ha riproposto sostanzialmente i motivi di primo grado, opponendosi sia alla tesi del TAR circa l’esistenza di una forma di “responsabilità oggettiva imprenditoriale”[iii] in capo al proprietario del sito, sia al riconoscimento del potere dell’amministrazione di imporre su quest’ultimo, anziché sul responsabile, interventi più gravosi rispetto a quelli che il primo si è volontariamente impegnato ad eseguire.
Nella sentenza in commento, il Consiglio di Stato individua come questione fondamentale il tema del corretto inquadramento della responsabilità ambientale, riformulando in parte quanto affermato in primo grado dal TAR.
Innanzitutto, il Consiglio di Stato ricorda che in ipotesi di contaminazioni storiche – come nel caso in esame – ai sensi dell’art. 242, c. 1 del d.lgs. n. 152/2006 vige il principio secondo cui “la condotta inquinante, anche se risalente nel tempo e verificatasi (rectius: conclusasi) in momenti storici passati, non esclude il sorgere di obblighi di bonifica in capo a colui che ha inquinato il sito, ove il pericolo di aggravamento della situazione sia ancora attuale (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 1 febbraio 2022, n. 677)” [iv][v]. Tale affermazione sembra porre i giudici del gravame in linea con la tesi della società appellante in merito al perdurare sull’inquinatore della responsabilità ambientale e dell’obbligo di bonifica, anche nelle ipotesi di avvenuto avvio di una bonifica volontaria.
Nel prosieguo della pronuncia, inoltre, il Consiglio di Stato, sembra anche ammettere che nelle vicende in esame una violazione del principio “chi inquina paga” vi sia stata, quantomeno “per avere l’Amministrazione addossato la responsabilità degli interventi di bonifica [alla società appellante] indipendentemente dall’accertamento di una effettiva responsabilità [di quest’ultima] nella determinazione dell’inquinamento” [vi].
Nonostante dette premesse, la conclusione a cui giungono i giudici di Palazzo Spada lascia perplessi.
In primo luogo, secondo il Consiglio di Stato la possibile violazione del principio “chi inquina paga” “può ritenersi (…) superata, ai sensi dell’art. 245, nella specifica ipotesi di assunzione volontaria degli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale” [vii], tenuto conto che “in questo caso, il proprietario, non obbligato assume spontaneamente l’impegno di eseguire un complessivo intervento di bonifica, motivato dalla necessità di evitare responsabilità penali o risarcitorie (…)”. “D’altra parte”, si legge ancora nel prosieguo della pronuncia, “nell’attuare la bonifica spontanea di un sito inquinato, il proprietario avrà diritto di rivalersi nei confronti del responsabile dell’inquinamento per le spese sostenute (…)”[viii].
In altri termini, il Consiglio di Stato afferma che l’assunzione volontaria delle attività di bonifica fa sorgere un obbligo alla loro realizzazione anche in capo al proprietario incolpevole che, in questo modo, di fatto, finisce per sostituire il responsabile della contaminazione (ossia l’unico vero soggetto obbligato agli interventi di bonifica ai sensi della normativa vigente).
Ad avviso di chi scrive, tale interpretazione risulta particolarmente lesiva della posizione del proprietario incolpevole, che non solo vede trasformarsi in un obbligo quella che per legge è una mera facoltà di intervento, ma corre altresì il rischio che, una volta avviata la bonifica, laddove l’amministrazione non si attivi prontamente per la ricerca del responsabile della contaminazione, il prosieguo e/o il completamento dell’intervento rimanga a suo carico.
Vi è infatti recente giurisprudenza[ix] che ha assimilato l’intervento di bonifica assunto volontariamente ad una “gestione di affari altrui” ex art. 2028 c.c., arrivando così a sostenere l’obbligo in capo al soggetto che abbia spontaneamente assunto gli oneri di bonifica, di portare avanti l’intervento fino a che l’amministrazione non sia in grado di far subentrare il responsabile dell’inquinamento.
In secondo luogo, il Consiglio di Stato dichiara che al proprietario incolpevole può essere ulteriormente chiesta anche la messa in sicurezza del sito inquinato, in quanto misura avente carattere precauzionale, urgente e non sanzionatorio, che può essere ordinata dall’amministrazione – con adeguata motivazione – anche in assenza di una previa individuazione dell’inquinatore[x].
Il giudice di secondo grado sposa così anche la tesi secondo cui al proprietario incolpevole spetta la realizzazione di una eventuale messa in sicurezza, in quanto si tratterebbe, pur sempre, di una attività avente finalità preventiva e non sanzionatoria.
In questo modo, il Consiglio di Stato pare mettere in dubbio l’esistenza di un dovere generale e irrinunciabile in capo all’amministrazione, di cercare il soggetto responsabile al fine di trasferire su quest’ultimo tutti gli obblighi inerenti alla bonifica, sia nel caso in cui si renda necessaria l’applicazione di misure di messa in sicurezza, sia laddove si debba procedere con un intervento di bonifica vera e propria.
Tanto è vero che nella pronuncia in commento non vi è alcun richiamo all’obbligo dell’amministrazione di cercare gli autori dell’inquinamento e di far eseguire la bonifica a questi ultimi, lasciando così intendere che l’avvio di un procedimento di bonifica volontario possa di fatto esentare l’amministrazione stessa dall’attivarsi in tal senso[xi].
L’ultimo passaggio della sentenza è infine quello in cui il Consiglio di Stato introduce l’unica vera “correzione” sostanziale rispetto a quanto sostenuto dal TAR nella sentenza di primo grado con riferimento al tema della “responsabilità oggettiva d’impresa”. In tema di responsabilità, infatti, con un inciso peraltro poco chiaro il Consiglio di Stato precisa che: “resta assodato che, in linea generale, la responsabilità per la compromissione ambientale segue un criterio di imputazione a titolo di dolo o colpa, in base agli accertamenti effettuati dagli organi preposti al controllo (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 21 marzo 2017 n. 1260)”. Non viene tuttavia spiegato dai giudici del gravame come detta affermazione supererebbe la tesi della responsabilità oggettiva sostenuta dal TAR, né viene chiarito se la tesi della responsabilità per dolo o colpa sia applicabile al responsabile dell’inquinamento, al proprietario incolpevole, o ad entrambi i soggetti.
In considerazione di quanto sin qui detto, come peraltro già evidenziato in questa Rivista[xii], si ritiene auspicabile che il legislatore intervenga su più fronti a tutela del proprietario incolpevole e dei soggetti interessati, superando con un più chiaro dettato normativo la giurisprudenza che in questi ultimi anni ha piano piano ampliato e modificato obblighi, oneri e responsabilità a carico di questi ultimi, scoraggiandone l’intervento volontario nei procedimenti di bonifica.
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RGA Online_Ottobre 2022_CdS_4826_2022_ (2)
Per il testo della sentenza (estratto dal sito istituzionale della Giustizia Amministrativa) cliccare sul pdf allegato.
NOTE
[i] Cfr. art. 191, c. 2 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea: “La politica dell’Unione in materia ambientale mira a un elevato livello di tutela, tenendo conto della diversità delle situazioni nelle varie regioni dell’Unione. Essa è fondata sui principi della precauzione e dell’azione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente, nonché sul principio “chi inquina paga””.
[ii] Cfr. art. 253 del d.lgs. n. 152/2006, secondo il quale gli interventi di bonifica realizzati dalla pubblica amministrazione costituiscono onere reale sui siti contaminati. L’onere reale si traduce quindi in un peso che grava sull’area bonificata dalla p.a. e che costituisce titolo in capo alla stessa per esperire una eventuale azione reale di garanzia – in aggiunta all’azione contro il diretto debitore della prestazione “garantita” dall’onere, ossia l’inquinatore – mediante cui l’amministrazione, in qualità di creditore, può ricavare forzatamente dal fondo il valore della prestazione dovuta (cfr. Consiglio di Stato, A.P., n. 21/2013). Per un approfondimento si veda: De Cesaris A. L., Gregori Ferri E., Bonifica dei siti contaminati, in Nespor S., Ramacci L. (eds.), Codice dell’ambiente. Profili generali e penali, Giuffrè, 2022.
[iii] T.A.R. Calabria, Sez. I, 11 dicembre 2017, n. 1927.
[iv] Punto 15 della sentenza in commento.
[v] In linea con la giurisprudenza consolidata (ex multis: Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 2195/2020; Sez. IV, n. 5761/2018; Sez. IV, n. 2926/2019; Sez. VI, n. 4225/2015).
[vi] Punto 15.1 della sentenza in commento.
[vii] Ibid.
[viii] Punti 15.2 e 15.3 della sentenza in commento.
[ix] Cfr. TAR Lombardia III, n. 156/2022; TAR Lombardia III, n. 1810/2020.
[x] In linea con tale interpretazione si vedano, ex multis: Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 5372/2020; Sez. VI, n. 4525/2005; TAR Lazio II, n. 6046/2021; TAR Lombardia I, n. 831/2019).
[xi] Sul punto si noti invece che nella sentenza di primo grado il TAR Calabria aveva espressamente dichiarato che: “l’accertamento della responsabilità e l’eventuale ripartizione non costituisce un fatto rientrante nel procedimento introdotto dal ricorrente, nel senso che l’amministrazione non risultava tenuta a svolgere un tale accertamento alla luce del procedimento introdotto dal privato” (T.A.R. Calabria, Sez. I, 11 dicembre 2017, n. 1927), senza che vi sia alcuna smentita sul punto da parte del giudice del gravame.
[xii] A. Gallarini, Siti contaminati: il proprietario incolpevole vittima di una ricostruzione che non convince, RGA online, n. 34 Agosto-Settembre 2022, 4 agosto 2022.