di Giuseppe Tempesta
TAR LAZIO, Roma, Sez. III quater – 15 gennaio 2019, n. 500 – Pres. Sapone, Est. Marotta – Associazione per la prevenzione e la lotta all’elettrosmog (Avv.ti Ambrosio, Bertone, Ghibaudo, Angeletti) c. Ministero Salute, Ministero Sviluppo Economico, Ministero Istruzione Università e Ricerca, Ministero Ambiente Tutela del Territorio e del Mare (Avv. Generale Stato) – B. S.p.A. (Avv.ti Prandi, Massaia, Contaldi)
Il giudice amministrativo può riconoscere, caso per caso, la legittimazione ad impugnare atti amministrativi a tutela dell’ambiente di associazioni locali che, indipendentemente dalla natura giuridica, posseggano le seguenti caratteristiche:
- a) perseguano statutariamente, in modo non occasionale, obiettivi di tutela ambientale;
- b) abbiano un adeguato grado di rappresentatività e stabilità;
- c) svolgano la propria attività in un’area di afferenza ricollegabile alla zona in cui è situato il bene a fruizione collettiva che si assume leso.
Sussiste l’obbligo del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, del Ministero della Salute e del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, ciascuno con riferimento al proprio ambito di competenza, di adottare, in attuazione di quanto previsto dall’art. 10 della L. 36/2001, una campagna informativa, rivolta all’intera popolazione, finalizzata ad individuare le corrette modalità d’uso degli apparecchi di telefonia mobile (telefoni cellulari e cordless) e ad informare dei rischi per la salute e l’ambiente connessi ad un uso improprio di tali apparecchi.
Le campagne informative e di educazione ambientale rientrano, infatti, nel genus degli atti amministrativi generali e trovano il loro fondamento giuridico in norme di rango legislativo.
Sussiste il difetto assoluto di giurisdizione con riferimento alla mancata adozione del decreto ministeriale di cui all’art. 12 della L. n. 36/2001 con cui devono essere stabilite le informazioni che i fabbricanti di apparecchi e dispostivi generanti campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici sono tenuti a fornire agli utenti mediante apposite etichettature o schede informative.
Si tratta, infatti, di un atto di natura normativa la cui mancata adozione rileva solo sul piano della responsabilità politica degli organi di governo, comunque non coercibile sul piano giuridico con il ricorso al rito del silenzio-inadempimento.
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La necessità ormai avvertita da tempo, sia a livello nazionale sia a livello locale, dalle associazioni ambientaliste di una maggiore sensibilizzazione al fenomeno dell’elettrosmog, sulla base anche delle previsioni normative (legge quadro n. 36/2001), è stata posta all’attenzione del giudice amministrativo dall’Associazione ricorrente che ha censurato l’inerzia, quasi ventennale, serbata dai Ministeri competenti, chiedendo al giudice di ordinare l’emanazione del decreto di cui all’art. 12 L. n. 36/2001 e l’esecuzione di una campagna di informazione e di educazione ambientale di cui all’art. 10 della medesima legge.
Sin dall’entrata in vigore della “Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici” (L. n. 36/2001), infatti, persiste l’inerzia del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, del Ministero della Salute e del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, in ordine all’emanazione del decreto (art. 12 cit.) recante “le informazioni che i fabbricanti di apparecchi e dispositivi, in particolare di uso domestico, individuale o lavorativo, generanti campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, sono tenuti a fornire agli utenti, ai lavoratori e alle lavoratrici, mediante apposite etichettature o schede informative”.
L’inerzia dell’Amministrazione compromette, altresì, l’attuazione di una capillare campagna di informazione e di educazione ambientale (art. 10 L. n. 36/2001), rivolta all’intera popolazione e avente ad oggetto l’indicazione delle modalità d’uso e dei rischi per la salute e per l’ambiente connessi all’utilizzo dei telefoni mobili.
L’Associazione ambientalista, in qualità di soggetto portatore di un interesse diffuso: l’interesse alla tutela ambientale, ha lamentato il grave vulnus derivante dalla disinformazione della popolazione sui rischi per la salute derivanti da un uso improprio degli apparecchi di telefonia mobile, soprattutto per gli utenti più giovani e sulle indispensabili misure cautelative da adottare durante il loro utilizzo.
Il TAR Lazio ha ritenuto sussistente la legittimazione all’azione dell’Associazione, seppur essa non rientri nel novero delle Associazioni di protezione ambientale individuate con decreto del Ministero dell’Ambiente ai sensi dell’art. 13 L. n. 349/1986, in quanto la ricorrente possiede i requisiti individuati dalla giurisprudenza: lo scopo statutario diretto a promuovere la tutela della salute e dell’ambiente dall’esposizione ai campi elettromagnetici; la rappresentatività e stabilità della sua organizzazione; la localizzazione stabile e non occasionale dell’interesse di cui l’Associazione è portatrice nell’area di afferenza territoriale della propria attività (la c.d. vicinitas).
La decisione sulla legittimazione attiva dell’Associazione ricorrente fonda anche sull’orientamento giurisprudenziale che equipara alle Associazioni ambientaliste di dimensione nazionale e ultraregionale – ex artt. 13 e 18 della legge istitutiva del Ministero dell’Ambiente – tutte le Associazioni attive in un ambito territoriale circoscritto che perseguono lo scopo precipuo di proteggere l’ambiente, la salute e la qualità della vita delle popolazioni residenti su tale territorio.
Tuttavia, il TAR Lazio ha dichiarato il difetto assoluto di giurisdizione, in quanto il rito del silenzio-inadempimento non è esperibile per “costringere” l’Amministrazione ad adottare il decreto ministeriale di cui all’art. 10 L. n. 36/2001, costituendo esso un atto di natura normativa (rectius, regolamentare).
Sul punto, il G.A. ha richiamato l’orientamento giurisprudenziale (Consiglio di Stato, Sez. V, 22.1.2015 n. 273) che esclude, ai sensi dell’art. 7, co. 1, ultimo periodo, c.p.a., la possibilità di sindacare, con lo speciale rito del silenzio, la mancata adozione, da parte degli organi titolari del relativo potere, di atti normativi (leggi, atti aventi forza di legge, regolamenti), venendo in rilievo ambiti nei quali l’Amministrazione esprime scelte di natura marcatamente politica. Al più la condotta omissiva è rilevabile sul piano della responsabilità politica degli organi di governo.
Diversa è la decisione che il TAR Lazio ha assunto sulla domanda relativa all’adozione della campagna di informazione e di educazione ambientale ai sensi dell’art. 10 L. n. 36/2001: detto strumento divulgativo deve essere sussunto nell’ampia categoria degli atti amministrativi generali (diversamente dall’auspicato decreto ministeriale), in quanto esso è rivolto a una pluralità indeterminata di soggetti e trova il proprio fondamento giuridico in norme di rango legislativo, presuppone lo svolgimento di un’attività istruttoria finalizzata alla individuazione dei rischi connessi all’esposizione del corpo umano ai campi e alla individuazione delle precauzioni da adottare (sia da parte degli utenti sia dei produttori dei predetti apparecchi) per limitarne gli effetti potenzialmente nocivi per la salute e ha lo scopo di sensibilizzare gli utenti in merito a un uso più consapevole degli apparecchi di telefonia mobile, al fine di salvaguardare il diritto alla salute, diritto costituzionalmente tutelato (art. 32 Cost.).
Pertanto, il TAR Lazio, con la sentenza n. 500/2019, ha dichiarato l’obbligo dei Ministeri competenti di effettuare, entro sei mesi dalla notifica o dalla comunicazione della sentenza, in attuazione di quanto disposto dall’art. 10 L. n. 36/2001, una campagna di informazione e di educazione ambientale idonea a divulgare, con ogni mezzo di comunicazione, le corrette modalità d’uso degli apparecchi di telefonia mobile e gli effetti nocivi che potrebbero derivare dall’uso scorretto degli stessi.
Siffatto obbligo potrebbe costituire un incentivo non trascurabile per l’Amministrazione, al fine di adottare il decreto previsto dall’art. 12 cit. che, essendo un atto normativo, avrebbe una portata più incisiva in tema di tutela della salute e dell’ambiente.
Tuttavia, appare non trascurabile il dato, emerso dalle difese del Ministero della Salute, che a tutt’oggi non è ravvisabile scientificamente il nesso causale tra l’esposizione a radio frequenze e le patologie tumorali. E non vi sono elementi certi nemmeno per l’esclusione di tale nesso.
Inoltre, l’innovazione tecnologica, particolarmente esasperata nel settore della telefonia mobile, rende insignificanti le serie storiche dei dati raccolti nei decenni passati, in quanto il mondo delle reti sta cambiando la tecnologia, l’adozione della tecnologia 5G è ormai imminente e richiederebbe uno studio degli impatti del fenomeno dell’elettrosmog sulla salute aggiornato, appunto, alle nuove tecnologie. L’ultimo rapporto disponibile dell’Organizzazione Mondiale della Sanità è del 2013.
Se, dunque, la sentenza del TAR Lazio può rivelarsi di stimolo per i Ministeri competenti a monitorare in modo sempre più attento il fenomeno dell’elettrosmog, poiché l’inerzia della pubblica amministrazione si correla anzitutto all’assenza di un efficace studio sui rischi connessi all’esposizione del corpo umano ai campi elettromagnetici e alla individuazione delle precauzioni da adottare, di certo, la decisione graverà sul bilancio dello Stato per i costi connessi alla campagna di informazione ed educazione ambientale senza che si abbia piena conoscenza del messaggio da divulgare.
Per il testo della sentenza (estratto dal sito istituzionale della Giustizia Amministrativa) cliccare sul pdf allegato Tempesta_TAR LAZIO 500 2019