L’isola che non c’è

L’isola che non c’è

di Ruggero Tumbiolo

Crizia narra a Socrate, alla presenza di Timeo ed Ermocrate, una storia da lui appresa da un proprio avo (anche lui di nome Crizia) che a sua volta l’aveva udita dall’aristocratico ateniese Solone e questi da un sacerdote egiziano: la storia era quella dell’isola di Atlantide (descritta come più grande della Libia e dell’Asia messe insieme) situata al di là delle colonne d’Ercole e che un giorno si inabissò[1].

Seconda stella a destra, poi dritto fino al mattino; questo era l’indirizzo bizzarro dell’isola che Peter Pan fornì a Wendy, curiosa di sapere dove abitasse quel ragazzo che aveva perso la sua ombra.

Oggi, forse, non dobbiamo ricorrere al mito o inseguire la fantasia per trovare l’isola che non c’è.

Ci sono isole che emergono e si inabissano per cataclismi naturali.

Ed è ciò che è successo nel luglio del 1831 quando, a seguito di un’eruzione esplosiva sottomarina, emerse un’isola vulcanica nel Canale di Sicilia che fu al centro di dispute internazionali tra i governi francese, inglese e del Regno delle due Sicilie che ne rivendicavano il possesso. L’isola, conosciuta come Ferdinandea o Graham o Julia, si inabissò dopo circa sei mesi di vita[2].

Ci sono isole che scompaiono per effetto della trasformazione dei sistemi naturali.

Alcune di loro sono state già cancellate dall’atlante geografico, sommerse da un mare che si innalza, altre sono destinate a esserlo a breve.

Fenomeni come il riscaldamento degli oceani, l’intrusione di salinità, l’erosione costiera, l’aumento di intensità degli eventi metereologici estremi, l’innalzamento del livello del mare minacciano la sopravvivenza degli ecosistemi insulari.

Tra questi c’è Tuvalu, piccola isola Stato nell’Oceano Pacifico centro occidentale, costituita da nove atolli corallini, salita alla ribalta internazionale a seguito di un videomessaggio, trasmesso in occasione della ventiseiesima Conferenza delle parti delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (COP26), di un componente del suo governo con l’acqua alle ginocchia per denunciare le condizioni di vita quotidiana affrontate dai suoi concittadini.

Ci sono le isole Salomone, situate nell’Oceano Pacifico meridionale, oggetto di una ricerca del 2016 che, utilizzando immagini aeree e satellitari dal 1947 al 2014, insieme a informazioni storiche provenienti dalla popolazione locale, aveva già registrato la scomparsa di cinque isole di barriera e la presenza di una grave erosione costiera in altre sei isole, il cui territorio si era ridotto di oltre il 20%[3].

C’è un isolotto dell’arcipelago di San Blas appartenente a Panama nel mar dei Caraibi, dove, come riporta El Pais[4], gli abitanti si lamentano che nel mese di novembre l’acqua del mare raggiunge le caviglie e ogni volta si insinua sempre di più nella terraferma.

Il villaggio di Kivalina si trova nell’Alaska in un’isola barriera al largo del Mare di Chukchi, 83 miglia a nord del Circolo Polare Artico; il villaggio, a seguito della continua e grave erosione costiera, rischia di essere sommerso entro questo decennio[5].

E molti altri ecosistemi insulari rischiano la scomparsa.

I piccoli territori insulari sono dispersi in tre aree geografiche (Caraibi, Oceano Pacifico e Oceano Indiano). I paesi insulari del solo Pacifico sono una popolazione diversificata di 11 milioni di persone che vivono in 22 nazioni e territori che si estendono su oltre 25.000 isole e isolotti; benché siano responsabili solo dello 0,03% delle emissioni totali di gas serra sono in prima linea nel subire gli eventi meteorologici gravi, come siccità, cicloni e innalzamento del livello del mare[6].

Le isole della barriera corallina sono tra i soggetti più vulnerabili alla trasformazione dei sistemi naturali indotta dalla crisi climatica.

Uno studio prevede che, sulla base degli attuali tassi di emissione di gas serra, l’effetto combinato dell’innalzamento del livello del mare e la dinamica del moto ondoso sulle barriere coralline condurrà a inondazioni che renderanno la maggior parte degli atolli corallini inabitabili entro la metà del XXI secolo[7].

La resilienza dell’isola all’innalzamento del livello del mare e agli eventi estremi marini dipende anche dalla salute delle barriere coralline, minacciata a sua volta dal riscaldamento globale e dall’acidificazione degli oceani[8].

Gli interventi dell’uomo sulle dinamiche naturali, guidati da interessi politici/sociali/economici esercitano, poi, ulteriori pressioni sugli ecosistemi costieri.

Il che ci conduce a un recente studio che, partendo da una prospettiva interdisciplinare sull’interazione tra dinamiche naturali, richieste sociali e decisioni politiche, esamina i processi di erosione costiera sull’isola corallina di Fuvahmulah, nelle Maldive, nel contesto socio-politico[9].

Secondo tale studio, i piccoli paesi insulari si trovano spesso di fronte a una serie di problemi che complicano ulteriormente la ricerca di soluzioni sostenibili alle esigenze infrastrutturali. Da un lato, le decisioni sono regolarmente prese da lontano dal governo centrale senza confrontarsi con collettività locali e sono inclini a privilegiare misure hard-engineered che diminuiscono gradualmente la capacità naturale dell’isola di adattarsi alle pressioni legate al clima oceanico; è stato, infatti, documentato che gli ambienti costieri reagiscono alle pressioni idrodinamiche, trasferendo sedimenti dalla parete della spiaggia alla superficie dell’isola, mitigando l’erosione[10].

Dall’altro lato, gli stati insulari spesso mancano di competenze e di risorse umane e finanziarie per consentire una approfondita e dettagliata pianificazione delle misure da adottare e una corretta attuazione degli interventi programmati.

Ora sappiamo che la “diplomazia del clima” ha i suoi tempi; nel cammino verso la neutralità climatica occorre però nell’immediato uno sforzo congiunto per il trasferimento di risorse, conoscenze e tecnologie verso i piccoli paesi insulari.

Affrontare congiuntamente e senza indugio questa emergenza è una questione di equità e solidarietà internazionale e intergenerazionale; è un’opportunità per ridurre, in parte, le disuguaglianze indotte dai cambiamenti climatici[11].

[1] Platone, I dialoghi, Il Timeo, Il Crizia.

[2] Il resoconto dettagliato degli accadimenti che diedero origine all’isola è contenuto nella “Relazione dei fenomeni naturali del nuovo vulcano sorto dal mare tra la costa siciliana e l’isola di Pantelleria nel mese di luglio 1831 del dottor. Carlo Gemmellaro” del 18 agosto 1831, riportata nel Tomo VIII, pag. 271, degli Atti dell’Accademia Gioenia di Scienze Naturali di Catania, consultabile nel sito della BHL Biodiversity Heritage Library: v.8-10 (1834-1835) – Atti della Accademia gioenia di scienze naturali in Catania. – Biodiversity Heritage Library (biodiversitylibrary.org).

[3] Simon Albert, Javier X Leon, Alistair R Grinham, John A Church, Badin R Gibbes and Colin D Woodroffe, IOPScience, Environmental Research Letters, 2016, vol. 11, n. 5: https://iopscience.iop.org/article/10.1088/1748-9326/11/5/054011.

[4] Articolo del 25 maggio 2019: https://elpais.com/sociedad/2019/05/24/actualidad/1558719716_076472.html).

[5] Per coordinare le risorse e l’assistenza tecnica a Kivalina da parte di agenzie statali e federali, organizzazioni regionali e governi locali, è stato costituito un apposito organismo: “The Kivalina Inter-Agency Planning Work Group”: Kivalina Inter-Agency Planning Work Group, Planning & Land Management, Division of Community and Regional Affairs (alaska.gov).

[6] Editoriale The Lancet, agosto 2019: https://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736(19)31722-2/fulltext#articleInformation.

[7] C. D. Storlazzi, S. B. Gingerich, A. van Dongeren, O. M. Cheriton, P. W. Swarzenski, E. Quataert, C. I. Voss, D. W. Field, H. Annamalai, G. A. Piniak, R. McCall, Most atolls will be uninhabitable by the mid-21st century because of sea-level rise exacerbating wave-driven flooding, Scienze Advances, 2018, Vol. 4, n. 4: Most atolls will be uninhabitable by the mid-21st century because of sea-level rise exacerbating wave-driven flooding (science.org).

[8]  M. W. Beck et al., The global flood protection savings provided by coral reefs, Nature Communications, 2018, 9: https://doi.org/10.1038/s41467-018-04568-z e F. Ferrario et al. The effectiveness of coral reefs for coastal hazard risk reduction and adaptation, Nature Communications 2014, 5, 3794: https://doi.org/10.1038/ncomms4794.

[9] C.G. David, A. Hennig, B.M. W. Ratter, V. Roeber, et al. Considering socio-political framings when analyzing coastal climate change effects can prevent maldevelopment on small islands, Nature Communications, 2021, 12, 5882: https://doi.org/10.1038/s41467-021-26082-5.

[10] G. Masselink, E. Beetham, P. Kench “Coral reef islands can accrete vertically in response to sea level rise”, Science Advances, 2020, Vol. 6, n. 24: Coral reef islands can accrete vertically in response to sea level rise (science.org).

[11] I cambiamenti climatici accentuano le disuguaglianze e non sono democratici perché non colpiscono tutti allo stesso modo e nemmeno giusti perché i soggetti che sono responsabili della maggior parte delle emissioni di gas serra sono gli ultimi a subirne le conseguenze più gravi (S. Nespor, Diseguaglianze e ridistribuzione, Editoriale di questa Rivista, Novembre 2021).