Liquami in insediamenti produttivi: tra scarichi di acque reflue e sversamenti di rifiuti liquidi

Liquami in insediamenti produttivi: tra scarichi di acque reflue e sversamenti di rifiuti liquidi

di Elisa Marini

CASSAZIONE PENALE, Sez. III – 20 ottobre 2020 (dep. 19 febbraio 2021), n. 6528 – Pres. Di Nicola, Est. Andreazza – ric. C.G.

Per scarico si deve intendere qualsiasi versamento di rifiuti, liquidi o solidi, che provenga dall’insediamento produttivo nella sua totalità, e cioè nella inscindibile composizione dei suoi elementi, a nulla rilevando che parte di esso sia composta da liquidi non direttamente derivanti dal ciclo produttivo, come quelli delle acque meteoriche, immessi in un unico corpo recettore.

Fuori dai casi di diretta immissione nel suolo, nel sottosuolo o nella rete fognaria mediante una condotta o un sistema stabile di collettamento si applica, invece, la disciplina sull’abbandono o il deposito incontrollato di rifiuti di cui all’art. 256, comma 2, T.U.A.

  1. La vicenda sottesa al giudizio della Suprema Corte e i motivi di ricorso

La Corte di Cassazione, nella vicenda oggetto dell’odierno commento, si è pronunciata in ordine al ricorso proposto nell’interesse di un imputato teso ad ottenere una pronuncia assolutoria nel merito per i reati di cui all’art. 137, comma 9 (contestato in relazione all’art. 113, comma 3) e all’art. 256, comma 1, lett. a), D.Lgs. n. 152/2006, per i quali era stato dichiarato non punibile in primo grado dal Tribunale di Imperia (che lo aveva contestualmente assolto per insussistenza del fatto dal reato di cui all’art. 674 c.p.), e successivamente in appello, ai sensi dell’art. 131 bis c.p., per particolare tenuità dei fatti in contestazione.

Segnatamente, costituiva oggetto di addebito un’ipotesi di raccolta non autorizzata di rifiuti, asseritamente derivata dall’aver omesso di convogliare e sottoporre a depurazione le “acque di dilavamento recanti i percolamenti di rifiuti solidi urbani posti su mezzi di trasporto ubicati nel piazzale e trasferiti ai rispettivi compattatori, che in tal modo defluivano in una griglia e nella pavimentazione dell’area esterna e delle rispettive canalette”.

Il ricorso si articolava in tre motivi, ma poiché il secondo ed il terzo – concernenti, da un lato, vizi di motivazione della sentenza di appello, e, dall’altro, la sostenuta violazione di legge in relazione alla disciplina sul deposito temporaneo di cui all’art 183, lett. bb), D.Lgs. n. 152/2006 – sono stati ritenuti inammissibili in maniera piuttosto tranchant, l’odierna analisi si concentrerà esclusivamente sul primo, articolato in vari punti che, per quanto di interesse sotto il profilo ambientale, possono così riassumersi:

a) rispetto al reato di cui all’art. 256 T.U.A., il ricorrente, dopo aver premesso che la permanenza dei rifiuti nella sede dell’azienda era stata determinata dallo sciopero degli operatori dell’unica discarica del comprensorio, ha censurato la sentenza impugnata per aver ritenuto ostativa alla declaratoria di insussistenza del fatto la circostanza che l’imputato avesse inoltrato, all’Arpal e al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Imperia, una nota di risposta ai verbali dei sopralluoghi, con cui dava atto dello stallo (indipendente dalla propria volontà) nel processo di conferimento, solo a seguito dell’accesso ispettivo, sostenendo che, ai sensi dell’art. 193, comma 12, D.Lgs. n. 152/2006, affinché un’attività possa qualificarsi come stoccaggio di rifiuti in mancanza di autorizzazione, è sufficiente che lo stesso si protragga oltre il sesto giorno dal momento in cui ha avuto inizio la raccolta, salvo che sia stato dato avviso prima di tale termine alle autorità locali del caso fortuito o della forza maggiore necessitanti lo stoccaggio.

Nel caso in esame, sempre ad avviso del ricorrente, non sarebbe stato possibile affermare la tardività della segnalazione alle autorità, non potendosi individuare con precisione la data di inizio dello stoccaggio di rifiuti, ma solo quella delle agitazioni sindacali, rispetto alle quali la segnalazione era stata effettuata tempestivamente;

b) con riguardo, invece, al reato di cui all’art. 137, comma 9, T.U.A. (che richiama, quoad poenam, il primo comma della medesima disposizione), le percolazioni in oggetto non avrebbero dovuto essere qualificate come scarico (e, dunque, integrare i presupposti del reato in contestazione), in quanto sprovviste della capacità di generare un contatto con le acque meteoriche: sulla base di tale presupposto, non avrebbero potuto essere ricondotte né alle attività previste dall’art. 124 Lgs. n. 152 del 2006 (norma che, come noto, dispone i criteri generali in tema di autorizzazione agli scarichi),né all’art. 9 del Regolamento della Regione Liguria n. 4/2009 (relativo al piano di prevenzione e gestione delle acque di prima pioggia e di lavaggio delle aree esterne), in quanto derivanti da circostanze imprevedibili – individuate nelle suddette agitazioni sindacali, che avevano comportato lo sciopero degli operatori della discarica di riferimento –  e non già da attività di raccolta e stoccaggio di rifiuti stabilmente esercitate.

Nel ricorso si precisava, infine, che, anche a voler qualificare l’attività contestata come raccolta e deposito di rifiuti differenziati, la Società di cui l’imputato aveva la legale rappresentanza, in quanto iscritta all’Albo Nazionale dei Gestori Ambientali, non avrebbe avuto bisogno, ai sensi dell’art. 212 D.Lgs. n. 152/2006, di alcuna autorizzazione.

Le conclusioni della Corte di Cassazione

La non manifesta infondatezza del motivo di ricorso relativo ai rifiuti ha rappresentato, per la Suprema Corte, un elemento sufficiente al fine della declaratoria del termine di prescrizione per entrambi i reati in contestazione, e del conseguente annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.

Ad ogni modo, a prescindere dalla suddetta conclusione – che, in relazione al reato di cui all’art. 256, comma 1, lett. a), D.Lgs. n. 152/2006, ha sostanzialmente recepito le argomentazioni del ricorrente – appaiono ben più interessanti, ai fini dell’odierno commento, le considerazioni sviluppate dalla sentenza in ordine alle censure relative all’applicazione dell’art. 137 T.U.A., ritenute, al contrario, infondate.

Secondo la Corte di Cassazione, difatti, “l’elemento determinante ai fini della corretta qualificazione del fatto appare rappresentato dall’intervento, nella specie, delle acque meteoriche convoglianti i percolamenti creatisi durante il passaggio dei rifiuti dai mezzi di trasporto ai compattatori; di qui, allora, la necessità di richiamare l’orientamento, parimenti indiscusso, di questa Corte per cui, per scarico si deve intendere qualsiasi versamento di rifiuti, liquidi o solidi, che provenga dall’insediamento produttivo nella sua totalità e cioè nella inscindibile composizione dei suoi elementi, a nulla rilevando che parte di esso sia composta da liquidi non direttamente derivanti dal ciclo produttivo, come quelli, appunto, delle acque meteoriche, immessi in un unico corpo recettore”[i].

Tale conclusione è stata tratta dopo una premessa nella quale si è dato atto di quello che è stato – correttamente – definito un costante orientamento della medesima Corte, in base al quale “integra il reato previsto dal D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 256, comma 2, l’abbandono incontrollato di liquami trasportati su autospurgo, in quanto sono da considerarsi rifiuti allo stato liquido i reflui stoccati in attesa di un successivo smaltimento, fuori del caso delle acque di scarico, ossia quelle oggetto di diretta immissione nel suolo, nel sottosuolo o nella rete fognaria mediante una condotta o un sistema stabile di collettamento[ii].

La sentenza ha dunque ritenuto infondati gli argomenti difensivi sviluppati dal ricorrente in materia di scarichi, in quanto tesi a ricondurre il fatto alla disciplina dei rifiuti (con conseguente applicabilità estensiva dei rilievi sviluppati in ordine all’art. 256 T.U.A.), anziché nell’ambito della fattispecie di cui all’art. 137 D.Lgs. n. 152/2006.

  1. Inquadramento normativo e considerazioni di sintesi

La disciplina delle acque meteoriche, sottesa alla problematica in tema di scarichi di cui alla sentenza in commento, trova il proprio fondamento giuridico nell’art. 113 D.Lgs. n. 152/2006 (difatti contestato nell’imputazione unitamente all’art. 137), che affida direttamente alle Regioni, ai fini della prevenzione di rischi idraulici ed ambientali, i compiti di controllo e prescrizione in materia.

Con specifico riferimento al terzo comma dell’art. 113, in rilievo nel caso in esame, le Regioni possono imporre che “le acque di prima pioggia e di lavaggio delle aree esterne siano convogliate e opportunamente trattate in impianti di depurazione per particolari condizioni nelle quali, in relazione alle attività svolte, vi sia il rischio di dilavamento da superfici impermeabili scoperte di sostanze pericolose o in grado di creare pregiudizio per il raggiungimento degli obiettivi di qualità dei corpi idrici”.

Nelle ipotesi di violazioni della disciplina regionale sulle acque meteoriche di dilavamento che impone il convogliamento ed il trattamento in impianti di depurazione, trova applicazione, per l’appunto, il regime sanzionatorio di cui all’art. 137, comma 9, T.U.A.

Posta tale sintetica premessa di carattere normativo, è indubbio che il tema in rilievo sia quello concernente la classificazione delle percolazioni oggetto di imputazione e della loro riconducibilità alla disciplina degli scarichi, piuttosto che a quella dei rifiuti liquidi.

È opportuno precisare che la definizione di scarico di cui all’art. 74, comma 1, lett. ff), D.Lgs. n. 152/2006, a seguito della modifica operata dal D.Lgs. n. 4/2008, non contempla i cosiddetti “scarichi indiretti”, dando esclusivo rilievo alle immissioni effettuate “tramite un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore in acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte a preventivo trattamento di depurazione”.

Nell’attuale sistema normativo, dunque, si è in presenza di uno scarico idrico, da assoggettare al regime di cui alla Parte III, Sezione II del Testo Unico Ambientale solo a condizione che il recapito dei reflui nel corpo ricettore sia “diretto” o, più precisamente, “senza soluzione di continuità[iii].

Ove, invece, il convogliamento del refluo dal processo di origine sino al corpo ricettore presenti momenti di discontinuità, si ricadrà nella diversa ipotesi della gestione di rifiuti liquidi, da sottoporre, in quanto tali, alla disciplina dettata dalla Parte IV del medesimo Testo Unico Ambientale.

Sul punto è molto chiara un’altra recentissima pronuncia della Suprema Corte, che ha precisato come “la disciplina delle acque è applicabile in tutti quei casi nei quali si è in presenza di uno scarico, anche se soltanto periodico, discontinuo o occasionale, di acque reflue in uno dei corpi recettori specificati dalla legge ed effettuato tramite condotta, tubazioni, o altro sistema stabile, mentre in tutti gli altri casi, nei quali manchi il nesso funzionale e diretto delle acque reflue con il corpo recettore, si applica, invece, la disciplina sui rifiuti[iv].

Secondo la dottrina, un’eventuale inclusione delle acque meteoriche nel novero dei rifiuti liquidi che sia fondato sul solo presupposto del “contatto”, nella fase di dilavamento, con rifiuti, sostanze o materiali inquinanti, sarebbe in contrasto con la scelta del legislatore statale, che avrebbe affidato ad una specifica disciplina regionale la gestione delle acque meteoriche anche se caratterizzate dal fatto di essere eventualmente contaminate dal dilavamento su scarti di produzione o sostanze e materiali inquinanti, sottraendole, dunque – nella ricorrenza delle condizioni previste dall’art. 74, comma 1, lett. ff), D.Lgs. n. 152/2006 – al regime dei rifiuti liquidi, e “assicurando, comunque, anche in caso di presenza di materiali inquinanti (provenienti da sostanze, materiali, rifiuti giacenti sui piazzali, sulle aree scoperte, ecc.) un’adeguata tutela dei corpi idrici ricettori, tramite una apposita disciplina mirata a neutralizzare i contaminanti, ai sensi dell’art. 113, comma 3 cit.[v].

Tornando alla sentenza in commento, sembra potersi affermare – ovviamente da quel che è dato evincere dalle motivazioni – che l’infondatezza del motivo di ricorso proposto in tema di scarichi sia stata determinata dal riconoscimento di un dato fattuale negato dalla difesa, ossia l’intervento delle acque meteoriche convoglianti i percolamenti creatisi durante il passaggio dei rifiuti dai mezzi di trasporto ai compattatori.

Sulla base di tale presupposto, la Corte di Cassazione parrebbe aver fatto corretta applicazione dei criteri di classificazione dei liquami prodotti negli insediamenti produttivi, condivisi sia in dottrina che in giurisprudenza, avendo dato rilevo – ai fini dell’inquadramento normativo dei fatti in contestazione nella disciplina degli scarichi, anziché in quella dei rifiuti – al versamento dei liquidi (per quanto non interamente derivanti dal ciclo produttivo, ma per l’appunto composti anche da acque meteoriche) in presenza di un sistema stabile di collettamento per il loro deflusso nel corpo recettore[vi].

In sintesi, per concludere, è stato ribadito il principio di diritto affermatosi già prima dell’entrata in vigore del Testo Unico Ambientale – e consolidatosi in maniera piuttosto pacifica soprattutto all’esito della riforma operata dal D.Lgs. n. 4/2008 – secondo cui la disciplina dei rifiuti, nell’ambito dei liquami prodotti negli insediamenti produttivi, può ammettersi esclusivamente laddove non vi siano immissioni dirette nel suolo, nel sottosuolo o nella rete fognaria, che invece determinano l’applicazione della normativa in materia di scarichi anche se dovute all’intervento di acque meteoriche che provochino una commistione con i liquidi derivanti dal ciclo produttivo.

Per il testo della sentenza cliccare sul pdf allegato.

Cass. 6528_2021

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Marini – contributo aprile 2021

Note:

[i] Nello stesso senso Corte Cass. pen., Sez. III, 13 maggio 2008, n. 19214.

A sostegno del proprio assunto, la pronuncia in commento ha richiamato la più risalente Corte Cass. pen., Sez. III, 26 ottobre 1999, n. 12176, che – anche prima dell’entrata in vigore del Testo Unico Ambientale – si era pronunciata in termini coerenti, avendo affermato che “Il cosiddetto scarico “indiretto” tramite autobotti, con prelievo da una vasca, è regolato dalla distinta legge 22/97 sui rifiuti, riguardando una delle fasi di smaltimento, cioé il trasporto, mentre resta sempre soggetta alla legge sulle acque (l. 152/99) lo scarico “diretto”, anche se avviene in una fognatura ed in una vasca, perché trattasi di meri contenitori della cui adeguatezza la P.A. deve rendersi conto nella fase formale del controllo preventivo. Perciò non basta addurre che i liquidi siano destinati al trasporto altrove per sottrarsi alla necessità della autorizzazione allo scarico”.

[ii] Sul punto, la sentenza ha citato Corte Cass. pen., Sez. III, 13 aprile 2010, n. 22036, secondo cui “sono da considerarsi rifiuti allo stato liquido, soggetti alla disciplina del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, i reflui stoccati in attesa di un successivo smaltimento, fuori del caso delle acque di scarico, ovvero di quelle oggetto di diretta immissione nel suolo, nel sottosuolo o nella rete fognaria mediante una condotta o un sistema stabile di collettamento (Sez. 3, n. 35138 del 18/06/2009 Rv. 244783) e che l’interruzione funzionale del nesso di collegamento diretto fra la fonte di produzione del liquame ed il corpo ricettore determina la trasformazione del liquame di scarico in un ordinario rifiuto liquido (…)”.

Nello stesso senso si era pronunciata, sotto la vigenza del cd. “Decreto Ronchi” (D.Lgs. n. 22/1997), Corte Cass. pen., Sez, III, 27 settembre 2005, n. 34377 in un caso in cui le acque meteoriche venivano a contatto con parti di autovetture accatastate senza protezione, da una impresa di autodemolizione, impregnandosi di ruggine, olii minerali e di altri liquidi inquinanti, per poi attingere la sponda di un fiume. La sentenza poc’anzi citata aveva stabilito che “Escludere però le immissioni effettuate senza un sistema stabile di deflusso dal concetto di scarico non significa che qualsiasi immissione diversa da quella effettuata per mezzo di uno scarico (…) debba considerarsi lecita. Le acque meteoriche o quelle di lavaggio, venendo in contatto con materie inquinante, possono dare luogo a veri e propri rifiuti liquidi per i quali trova applicazione il decreto legislativo n. 22 del 1997 che costituisce la legge quadro, sia per quanto concerne i rifiuti solidi che quelli liquidi. Invero sono escluse dall’applicabilità della legge “Ronchi” solo le acque di scarico dirette.  Per gli scarichi indiretti e per ogni altro rifiuto liquido resta applicabile il decreto “Ronchi”.

Si richiamano altresì, per l’uniformità delle conclusioni, le più recenti Corte Cass. pen., Sez. III, 7 novembre 2017, n. 50629 e Corte Cass. pen., Sez. III, 21 aprile 2015, n. 16623.

[iii] In dottrina è stato altresì precisato che la definizione di “scarico” non prevede, come mezzo essenziale per la sua esecuzione, la presenza di tubazioni o apparecchiature speciali costituenti una vera e propria condotta, dovendo ritenersi sufficiente ad integrare tale nozione, in senso giuridico, qualsiasi sistema di deflusso, oggettivo e duraturo, che comunque canalizzi (senza soluzione di continuità, in modo artificiale o meno) le acque di pioggia dal luogo di caduta al corpo ricettore. Si veda, sul punto, P. Fimiani, La tutela penale dell’ambiente, 2011, p. 77.

[iv] Corte Cass. pen., Sez. III, 23 marzo 2021, n. 11128. Tale sentenza ha ricostruito in maniera molto efficace il problema della classificazione delle acque meteoriche di dilavamento, partendo dalle più risalenti conclusioni della Suprema Corte (citando, sul punto, Corte Cass. pen., Sez. III, 30 ottobre 2007, n. 40191), secondo cui “le acque piovane che, depositandosi su suolo impermeabilizzato, dilavano le superfici attingendo indirettamente i corpi recettori – non rientravano, di norma, tra le acque reflue industriali, salvo che le stesse venissero contaminate da sostanze o materiali impiegati nello stabilimento, nel qual caso erano da considerarsi come reflui industriali”. La recente pronuncia ha ben spiegato che, rispetto al previgente D.Lgs. n. 152/1999, il D.Lgs. n. 152/2006 – nella versione originaria, e dunque antecedente alla modifica di cui al D.Lgs. n. 4/2008 – aveva offerto una nuova chiave di lettura, che “pur escludendo, come la precedente, le acque meteoriche di dilavamento dalle acque reflue industriali, precisava che dovevano intendersi per tali anche quelle contaminate da sostanze o materiali non connessi con quelli impiegati nello stabilimento, con la conseguenza che le acque meteoriche contaminate da sostanze impiegate nello stabilimento non rientravano più nel novero delle “acque meteoriche di dilavamento, essendo da considerare come reflui industriali”. Con l’avvento del citato D.Lgs. n. 4/2008, e la nuova definizione di “acque reflue industriali” contenuta nell’art. 74, comma 1, lett. h), D.Lgs. n. 152/2006 – veniva eliminata (quella che era stata definita come) l’espressa assimilazione delle acque meteoriche di dilavamento alle acque reflue industriali. La sentenza ha precisato come, “Sulla base di tali modifiche (…) la dottrina riteneva esclusa dal legislatore qualsiasi equiparazione delle acque meteoriche di dilavamento a quelle reflue industriali, restando le prime unicamente disciplinate dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 113, il quale attribuisce alle Regioni una specifica competenza in materia.

Sulla natura delle acque meteoriche da dilavamento, la giurisprudenza – si segnala, sul punto, Corte Cass. pen., Sez. III, 30 agosto 2019, n. 36701 – ha stabilito che le stesse “sono costituite dalle sole acque piovane che, cadendo al suolo, non subiscono contaminazioni con sostanze o materiali inquinanti, poiché, altrimenti, esse vanno qualificate come reflui industriali D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, ex art. 74, comma 1, lett. h), con conseguente corretta configurabilità del reato (…) di scarico non autorizzato. Negli stessi termini Corte Cass. pen., Sez. III, 8 febbraio 2019, n. 6260.

Per ulteriori approfondimenti sul punto si segnala P. Giampietro, Le acque meteoriche di dilavamento non sono più assimilabili alle acque reflue industriali, in Ambientediritto.it, 2015.

[v] S. Giampietro, A. Scialò, Il discrimine fra lo scarico delle acque meteoriche di dilavamento e il loro smaltimento come rifiuti liquidi, in Lexambiente.it, 2015.

[vi] Per completezza di esposizione, si rappresenta che analoghe conclusioni non possono ritenersi estensibili al tema dello sversamento delle acque reflue dovute a tracimazione della fognatura, anche sulla scorta delle statuizioni della giurisprudenza comunitaria. Sul punto, si segnala la sentenza della Corte di Giustizia, Sez. II, nella causa C-252/2005, del 10 maggio 2007, la cui domanda di pronuncia pregiudiziale verteva sull’interpretazione della direttiva del Consiglio del 15 luglio 1975, 75/442/CEE, relativa ai rifiuti e della direttiva del Consiglio 21 maggio 1991, 91/271/CEE, concernente il trattamento delle acque reflue urbane, e sull’accertamento della natura delle acque reflue che fuoriescono da un sistema fognario. Dopo l’analisi del contesto normativo comunitario, veniva affermato testualmente che “la circostanza che le acque reflue fuoriescono da un sistema fognario è ininfluente quanto alla loro natura di «rifiuti» ai sensi della direttiva 75/442. Infatti, la fuoriuscita di acque reflue da un impianto fognario costituisce un fatto mediante il quale l’impresa fognaria, detentrice delle acque, se ne «disfa». Il fatto che le acque siano fuoriuscite accidentalmente non consente di giungere ad una conclusione diversa. (…) le acque reflue che fuoriescono da un sistema fognario gestito da un’impresa pubblica che si occupa del trattamento delle acque reflue ai sensi della direttiva 91/271 e della normativa emanata ai fini della sua trasposizione costituiscono rifiuti ai sensi della direttiva 75/442”. Sul punto, la dottrina – S. Maglia, M.V. Balossi, Fuoriuscita di reflui fognari: acque o bonifica di rifiuti? in Tuttoambiente.it, 2015 – ha precisato che lo sversamento di acque reflue urbane dovuto a tracimazione di fognatura non integra i presupposti dell’art. 74, comma 1, lett. ff), T.U.A., “sicché l’evento di tracimazione si configura come episodio di smaltimento di rifiuti liquidi, poiché si dà il caso che detta attività non sia – per ovvi motivi, in quanto non prevista – autorizzata, si tratta di un abbandono di rifiuti di liquidi”. Ad avviso dei citati autori, “eventuali responsabilità in ordine alla tracimazione della fognatura sono ascrivibili in capo al gestore della stessa”.

Per ulteriori approfondimenti su questa tematica, differente – lo si ribadisce a scanso di equivoci – da quella analizzata dalla sentenza in commento (ma comune per quanto attiene alle problematiche di classificazione tra scarichi e rifiuti liquidi), si rimanda a M.V. Balossi, La tracimazione: acque reflue o rifiuti liquidi? in M.V. Balossi, E. Sassi, Fuoriuscita occasionale di reflui da fognatura: scarico di acque reflue o smaltimento di rifiuti liquidi? in Ambiente & Sviluppo, n. 5/2008.