L’ascesa del principio di precauzione nel diritto ambientale contemporaneo

L’ascesa del principio di precauzione nel diritto ambientale contemporaneo

Di Paolo Bertolini

T.A.R. SICILIA, Palermo, Sez. I – 5 giugno 2019, n. 1503 – Pres. Ferlisi, Est. Tulumello – M.B.G. e altri (avv.ti Carlo Pezzino Rao e Giovanni Battista Pezzino Rao) c. Regione Sicilia e altri (Avvocatura Distrettuale dello Stato).

La competenza con riferimento all’adozione del provvedimento che esclude l’assoggettabilità alla VIA (c.d. screening) spetta agli organi di amministrazione tecnica poiché esso si sostanzia nella traduzione di un potere esclusivamente tecnico-discrezionale da esercitarsi sulla base di un unico parametro, rappresentato dal fatto che l’opera sia certamente sussumibile nell’ambito delle fattispecie escluse dalla rigorosa procedura di VIA per ragioni puramente tecnico-scientifiche.

Il principio di precauzione deve orientare l’applicazione e l’esercizio dei poteri decisori in funzione dell’acquisizione più accurata possibile (sul piano fattuale e scientifico) di elementi conoscitivi tali da orientare la decisione concreta dell’amministrazione sulla base dei criteri della proporzionalità delle misure, della non discriminazione delle stesse, della loro coerenza, dell’esame dei vantaggi e degli oneri derivanti dall’azione o dalla mancanza di azione e dall’esame dell’evoluzione scientifica.

La sentenza in commento prende le mosse da un ricorso promosso da alcuni cittadini residenti nel Comune di Terrasini in qualità di componenti di un comitato per la salvaguardia del territorio comunale, nonché quali titolari di attività imprenditoriali ubicate nella stessa area e in aree contigue rispetto a quella di un impianto di produzione di compost di qualità e stoccaggio di rifiuti non pericolosi.

L’impianto veniva dapprima escluso dalla procedura di Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) mediante decreto dell’Assessore del Territorio e dell’Ambiente della Regione Sicilia n. 420/GAB in data 13 dicembre 2016 e successivamente autorizzato mediante d.d.g. n. 774 del 17 luglio 2018.

Una prima censura accolta dal TAR Sicilia si è concentrata sui profili di incompetenza con riferimento all’adozione del provvedimento che ha escluso il progetto dalla procedura di VIA.

Il provvedimento n. 420/GAB con cui è stata sancita l’esclusione dalla VIA è stato, invero, adottato dall’organo politico (assessore), anziché dall’organo tecnico.

Il TAR Sicilia su tale aspetto si è pronunciato ritenendo che il provvedimento che esclude l’assoggettabilità alla VIA si sostanzi nella traduzione di un potere esclusivamente tecnico-discrezionale da esercitarsi sulla base di un unico parametro, rappresentato dalla possibilità di sussumere o meno, per ragioni puramente tecnico-scientifiche, l’opera entro l’ambito categoriale che consente, quale eccezione alla regola, l’esclusione della più rigorosa procedura di VIA.

Secondo il giudice amministrativo, il vizio di incompetenza in oggetto, lungi dal rappresentare una mera censura di natura prettamente formalistica, costituirebbe la conferma di come la concentrazione dei poteri decisionali sul vertice politico, anziché sull’organo di amministrazione tecnica, possa condurre alla non adeguata ponderazione degli aspetti sostanziali, dei profili tecnici e tecnico-giuridici nonché sugli interessi coinvolti.

Sempre in tema di incompetenza, in un obiter dictum, il tribunale siciliano si pone in senso critico rispetto all’orientamento secondo il quale l’adozione del provvedimento conclusivo del procedimento di VIA spetterebbe all’organo di vertice politico amministrativo, trattandosi di atti che implicano valutazioni di alta amministrazione[i]. Secondo il TAR Sicilia, le scelte correlate all’istituto della valutazione di impatto ambientale si debbono fondare su parametri sia tecnico-scientifici, sia pure intensamente discrezionali, ma nulla hanno a che vedere, secondo il collegio, con valutazioni di natura politica. Sotto tale profilo, la pronuncia commentata si disallinea da recenti precedenti dei giudici amministrativi ove, al contrario, si è affermato che con il provvedimento conclusivo del procedimento di valutazione di impatto ambientale si eserciti una vera e propria funzione di indirizzo politico-amministrativo con particolare riferimento al corretto uso del territorio.

In ogni caso, tale profilo critico non ha influito sulla decisione in commento, giacché, come più sopra osservato, si dibatteva, nel caso di specie, della natura del prodromico procedimento di screening e non, al contrario, del più gravoso e complesso procedimento di VIA.

Venendo, invece, ai profili più sostanziali, i giudici amministrativi hanno censurato la carenza di istruttoria da parte della Regione Sicilia, nella misura in cui l’Amministrazione interessata si sarebbe limitata ad una superficiale ricognizione della qualificazione formale dell’opera, senza dare adeguato rilievo istruttorio alle sue reali implicazioni sostanziali.

Invero, il progetto di impianto, nato da una richiesta di autorizzazione per la lavorazione di rifiuti compostabili, includeva altresì, a seguito di una modifica progettuale, le operazioni di trattamento di metalli misti, rifiuti combustibili e rifiuti urbani non differenziati.

Ciò, secondo il Giudice, non sarebbe stato tenuto in considerazione dell’Amministrazione procedente la quale non avrebbe debitamente valutato la modifica progettuale in relazione alla procedura di screening in corso.

A tale proposito, i giudici amministrativi, oltre ad accogliere le censure di difetto di istruttoria e travisamento dei presupposti[ii], hanno il pregio di soffermarsi sulle implicazioni del principio di precauzione sempre più presente nell’elaborazione delle politiche mondiali in materia ambientale, rappresentando altresì un cardine attorno al quale spesso muovono le decisioni dei magistrati.

La procedura di screening, invero, prodromica alla più penetrante procedura di VIA, è finalizzata ad un’analisi preventiva precauzionale che prescinde da un ragionevole grado di certezza in merito alla effettiva sussistenza di specifici rischi di carattere ambientale connessi a un determinato progetto. Pertanto, come si dirà anche più oltre, è necessario che il principio di precauzione svolga un ruolo guida nello svolgimento della relativa istruttoria e in relazione all’esplicazione della potestà amministrativa.

Il principio di precauzione, di origine tedesca, che oggi costituisce un fondamentale pilastro della politica in materia ambientale condotta dall’Unione europea, è stato introdotto nel diritto dell’Unione con il Trattato di Maastricht del 7 febbraio 1992.

La Commissione europea, mediante la comunicazione sul principio di precauzione COM (2000) 1, del 2 febbraio 2000, ha contribuito a plasmarne contenuti e funzione.

Il principio in discussione trova applicazione nei casi in cui i dati scientifici sono insufficienti o incerti e vi sono indici che i possibili effetti sull’ambiente, sull’uomo, sugli animali o sulle piante, possano essere potenzialmente dannosi e non in linea con il livello di protezione scelto.

Secondo la Commissione, l’applicazione del principio di precauzione deve fondarsi, innanzitutto, su una valutazione scientifica del rischio e deve essere conforme a una serie di principi generali.

Tra i suddetti principi, occorre rammentare: quello di proporzionalità, nel senso che le misure adottate in forza del principio di precauzione dovrebbero essere proporzionate al livello di protezione prescelto; quello di non-discriminazione, in modo che situazioni comparabili non siano trattate in modo diverso e che situazioni diverse non siano trattate in modo uguale, a meno che tale trattamento non sia obiettivamente giustificato; quello di coerenza, ovvero le misure adottate dovrebbero essere coerenti con misure analoghe già adottate in circostanze similari. Inoltre, occorre che venga effettuato un approfondito esame dei vantaggi e degli oneri derivanti dall’azione o dall’inazione, inclusa una specifica analisi economica costi/benefici. Infine, per la Commissione, le misure adottate sulla base del principio di precauzione dovrebbero avere carattere provvisorio nell’attesa di dati scientifici più approfonditi, sicché tali misure dovrebbero essere riesaminate periodicamente per tenere conto dei nuovi studi disponibili.

Nell’ambito del diritto ambientale europeo, la Corte di Giustizia ha più volte indicato che si può ricorrere al principio di precauzione qualora sussistano incertezze riguardo all’esistenza o alla portata di rischi per la salute delle persone, adottando misure protettive senza che venga esaurientemente dimostrata la realtà e gravità di tali rischi[iii].

Anche la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, in un caso promosso contro la Romania[iv] in relazione ai pretesi danni causati alla salute umana dall’attività estrattiva di una miniera d’oro, ha statuito, in applicazione del principio di precauzione, come il menzionato Stato fosse obbligato all’adozione di misure finalizzate a proteggere la popolazione da potenziali rischi connessi all’esposizione al cianuro, nonostante non fosse stato pienamente provato il nesso causale tra l’esposizione a detta sostanza e una patologia asmatica.

Tuttavia, come chiarito dalla Commissione Europea, le misure di tutela assunte in forza del principio di precauzione non possono essere validamente motivate con un approccio puramente ipotetico del rischio, fondato su semplici supposizioni non ancora accertate scientificamente. Invero, anche secondo la Corte di Giustizia, l’adozione di tali misure di carattere preventivo, nonostante esse possano avere una funzione di tutela meramente provvisoria, può essere effettuata solamente se fondata su una valutazione dei rischi quanto più possibile completa, tenuto conto delle circostanze particolari del caso di specie. Qualora persista, all’esito della valutazione dei rischi, la probabilità di un danno reale per la salute o per l’ambiente nell’ipotesi in cui il rischio si realizzasse, il principio di precauzione giustificherebbe l’adozione di misure restrittive, purché esse siano non discriminatorie e oggettive.

In un quadro mondiale caratterizzato dalle imminenti conseguenze connesse ai cambiamenti climatici, il principio di precauzione acquisisce, dunque, una rilevanza ancora più pregnante e sembra essere destinato a guidare le scelte di politica ambientale dei prossimi decenni.

Mentre si può affermare che la comunità scientifica sia giunta a una considerazione ampiamente condivisa secondo la quale i cambiamenti climatici sarebbero attribuibili alle attività antropiche, vi è ancora ampia incertezza in merito a molti fattori, quali ad esempio, la velocità del cambiamento e i danni che da esso potrebbero essere causati. Anche l’interazione tra la natura e le attività antropiche, in uno scenario in cui alcuni equilibri sono già stati danneggiati, rappresenta un’incognita in merito alle conseguenze che essa potrà avere sul pianeta.

Per citare un illustre commentatore[v] la nostra attuale certezza è solamente l’incertezza che circonda l’insieme dei fenomeni connessi ai cambiamenti climatici, che stanno ancora evolvendosi in maniera assolutamente imprevedibile.

Non può che trattarsi, dunque, di una materia più che fluida, ove i vari attori a livello nazionale e internazionale non potranno che adottare azioni in un quadro di perdurante incertezza. Sarà fondamentale, pertanto, formulare strategie per la gestione del rischio che possano essere implementate e modificate velocemente sulla base del progresso nel campo della conoscenza scientifica.

È evidente come le procedure di screening e di VIA rappresentino degli istituti di fondamentale importanza nell’applicazione in concreto delle politiche ambientali; si tratta di strumenti molto flessibili e non costruiti su paradigmi ingessati, proprio al fine di consentire alle autorità competenti di adattare le proprie istruttorie e le proprie decisioni sulla base della rapida evoluzione del contesto tecnico-scientifico in cui ci stiamo muovendo.

Come noto, l’articolo 19, comma 5, del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, prevede come l’autorità competente allo svolgimento del procedimento di verifica di assoggettabilità a VIA abbia l’onere di verificare se il progetto possa causare possibili impatti ambientali significativi. Si tratta dunque, di un processo da svolgere in più fasi, il quale richiede che l’autorità competente stabilisca, nel caso concreto, la soglia di significatività, soppesi le evidenze istruttorie considerando quali possano essere gli impatti ragionevolmente prevedibili sull’ambiente effettuando una valutazione dei rischi e, infine, decida se il progetto rientri o meno all’interno della soglia di significatività tracciata.

Occorre dunque, anche alla luce dei rischi connessi ai cambiamenti climatici a cui il nostro pianeta sta inevitabilmente andando incontro, che le amministrazioni competenti si impegnino a svolgere istruttorie complete e che mantengano una costante interazione con la comunità scientifica poiché le decisioni dovrebbero essere soppesate sulla base delle più aggiornate ipotesi scientifiche (anche se, come già più sopra rammentato, inevitabilmente caratterizzate da un notevole grado di incertezza).

In quest’ottica, dunque, e alla luce dell’inevitabile quadro di incertezza scientifica che sta caratterizzando la nostra civiltà, soprattutto in relazione agli studi sui cambiamenti climatici, il principio di precauzione potrebbe assurgere a vero e proprio metodo da utilizzare virtuosamente nei procedimenti ambientali, fornendo un parametro fluido sulla base del quale ponderare i vari interessi privati con interessi primari quali la tutela dell’ambiente, la salvaguardia della salute umana e, in generale, la tutela dei diritti umani sempre più minacciati e pregiudicati dal costante aumento dell’inquinamento delle matrici ambientali.

Per il testo della sentenza del TAR SICILIA, Palermo, n. 1503 del 5 giugno 2019, (estratto dal sito istituzionale della Giustizia Amministrativa) cliccare sul PDF in allegato.

Bertolini_TAR Palermo 1503_2019

[i] In questo senso, C.G.A., 28 marzo 2019, n. 287.

[ii] Sembra, dunque, che il TAR Sicilia si sia mosso sulle direttrici della giurisprudenza maggioritaria (seppur in tema di procedura di VIA), secondo la quale la valutazione di legittimità giudiziale in tale materia deve essere limitata ad evidenziare la sussistenza di vizi rilevabili ictu oculi, a causa della loro abnormità, irragionevolezza, contraddittorietà e superficialità (in questo senso, ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 28 febbraio 2018, n. 1240, Cons. Stato, Sez. IV, 27 marzo 2017, n. 1392, in Rivista Giuridica dell’Edilizia, 2017, 2, I, p. 398, TAR Lazio (Roma), Sez. II bis, 26 novembre 2018, n. 11460, in Foro Amministrativo (II) 2018, 11, p. 2036).

[iii] Ex multis, Corte di Giustizia, Sez. X, 28 marzo 2019, nelle cause riunite da C-487/17 a C-489/17, in questa RGA online, con nota di E. Pomini, Precauzione… ma non troppo: la Corte di Giustizia UE si pronuncia sulla classificazione dei rifiuti con codici a specchio, Corte di Giustizia, 10 aprile 2014, nella causa C-269/13 P (Acino c. Commissione) e Corte di Giustizia, 12 gennaio 2006, nella causa C-504/04 (AgrarproduktionStaebelow BmbH c. Landrat des Landkreises Bad Doberan).

[iv] Decisione del 27 gennaio 2009, nel caso Tătar c. Romania.

[v] J. De Sadeleer, Climate change, Uncertainties and the Precautionary principle, in Jean Monnet Working Paper Series, 2016/1, p. 9.

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