di Paola Brambilla
CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV – 22 novembre 2022, n. 10275– Pres. Poli, Est. Loria – Aseco s.p.a. (avv. Sabato) c. Comune di Ginosa (avv. Misserini)
L’istanza di un’impresa di accesso a documenti relativi all’esistenza di problematiche ambientali rispetto alle quali debba difendersi in procedimenti giudiziari, ove formulata in base a una pluralità di disposizioni, va intesa quale accesso difensivo ai sensi della L. 241/90 e non può essere considerata né come accesso civico generalizzato, né come accesso all’informazione ambientale. Ciò in quanto nell’impresa difetta la titolarità di quelle specifiche posizioni soggettive a favore delle quali è riconosciuta una più intensa tutela alla trasparenza della P.A.
La compensazione delle spese non può essere riconosciuta quando la questione difetti di novità per essere stata decisa in sede nomofilattica dopo la presentazione dell’istanza di accesso ma prima della proposizione del ricorso avverso il relativo diniego.
Il diritto all’accesso è un istituto polimorfo per genesi normativa, prima che per effetto delle applicazioni che ha conosciuto nella prassi amministrativa.
La L. n. 241/1990 vi ha dato corpo per la prima volta, all’art. 22, sotto forma di accesso alla documentazione amministrativa, apprestando, da un lato, contenuti sostanziali e procedimentali volti a consentirne l’esercizio, dall’altro, una serie di deroghe ed esenzioni e, infine, un apposito rimedio processuale per contrastare il diniego, totale o parziale, opposto alle domande di accesso. Sempre alla normativa generale sul procedimento amministrativo si deve però l’introduzione di un particolare accesso, quello c.d. “difensivo” (art. 24, comma 7), volto a garantire comunque ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici, normalmente in relazione a vertenze sia stragiudiziali che giudiziali.
Quindici anni dopo, il d.lgs. n. 195/2005 dando attuazione alla direttiva 2003/4/CE introduce nell’ordinamento il nuovo diritto all’informazione ambientale, con la finalità di “garantire, ai fini della più ampia trasparenza, che l’informazione ambientale sia sistematicamente e progressivamente messa a disposizione del pubblico e diffusa, anche attraverso i mezzi di telecomunicazione e gli strumenti informatici, in forme o formati facilmente consultabili, promuovendo a tale fine, in particolare, l’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione.”
Si tratta di una normativa che estende l’accesso dalla categoria materiale dei documenti a quella più estesa delle informazioni sullo stato degli elementi dell’ambiente, della salute e della sicurezza umana, sui fattori impattanti sulle matrici ambientali, sulle misure e politiche ambientali e sui dati ambientali in genere (art. 2); beneficiario di questa prerogativa “chiunque ne faccia richiesta, senza che questi debba dichiarare il proprio interesse” (art. 3).
In ultimo è venuto l’acceso civico, introdotto dal d.lgs. n. 33/2013 per garantire a “chiunque” l’accesso ai documenti, informazioni e dati che le pubbliche amministrazioni hanno l’obbligo di pubblicare (art. 1 e art. 5, comma 1) nonché ai documenti e ai dati anche non soggetti a obbligo di pubblicazione, purché nei limiti relativi alla tutela di interessi rilevanti, e per le finalità di controllo “generalizzato” (aggettivo che ha definito questa modalità di accesso) e di sindacato diffuso dell’operato delle P.A.
E’ comprensibile che la stratificazione venutasi a creare quanto alle forme di interpello attivabili nei confronti dell’amministrazione abbia generato una certa confusione sui relativi confini, portando gli interessati, persone fisiche e giuridiche, a far spesso ricorso cumulativo a tutte queste disposizioni, “alla rinfusa”, nelle proprie istanze, nell’atavica convinzione del melius abundare quam deficere, e ciò anche alla luce dell’atteggiamento da subito messo in opera dagli enti pubblici.
Questi ultimi infatti, (e in genere la più vasta platea degli enti tenuti all’applicazione di questa trasparenza) hanno talvolta reagito rispetto a un importante carico di istanze non già promuovendo pubblicazioni automatiche, cataloghi e repertori on line delle informazioni e dati posseduti – incentivati di recente dal PNRR e da PAdigitale2026 – bensì trincerandosi più spesso dietro improcedibilità strumentali, silenzi, dinieghi, o scuse legate alla necessità di tutela della privacy dei controinteressati o del rispetto dei diritti di proprietà industriale e del know-how altrui, tali da importare l’obbligatorio assenso dei terzi a pena di diniego.
Da qui il subitaneo intervento della giustizia amministrativa, che ha contribuito efficacemente, in una con le autorità di garanzia (ANAC, Garante della Privacy, Commissione per il diritto d’accesso) a costruire un diritto vivente dell’accesso e a tratteggiare una fisiognomica vera e propria per ognuna delle tipologie di cui abbiamo detto, peraltro senza mai entrare del dettaglio sulla qualificazione dell’accesso in termini di diritto/interesse legittimo: il tema è stato infatti ritenuto irrilevante, stante la costruzione dell’istituto come inerente “ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” (art. 22, comma 2 della L. n. 241/1990), secondo la lettura che ne ha fatto il Consiglio di Stato, adunanza plenaria, 6/2006. Ciò che conta, interesse o diritto, è che in ogni caso si applica il termine decadenziale di 30 giorni per l’impugnazione del rigetto o del silenzio formato sull’istanza.
Proprio l’Adunanza plenaria si è dunque fatta carico di dettare soluzioni uniformi, analizzando prima i rapporti della normativa sull’accesso con specifiche previsione settoriali, ad esempio quelle in materia di appalti (art. 53 d.lgs. n. 50/2016) per affermare che l’accesso civico generalizzato trova applicazione anche nelle procedure di gara, compresa la fase dell’esecuzione (Ad. Plen. 10/2020) ricostruendo i rapporti tra le due discipline non in termini di specialità ma di complementarietà.
Mentre l’accesso documentale presidia un interesse individuale, l’accesso civico è strumentale all’esercizio “di ogni altro diritto fondamentale del nostro ordinamento” (art. 117, comma 2, lett m) Cost.) conformemente ai principi della CEDU (artt. 10 e 42), a garanzia dell’interesse al “controllo democratico sull’attività amministrativa”, cd. “right to know (l’interesse individuale alla conoscenza)”.
Quindi, a breve è seguita una seconda pronuncia sempre in Adunanza plenaria, la n. 4/2021, quanto ai rapporti tra accesso documentale ordinario e difensivo, che ha chiarito come quest’ultimo (art. 24, comma 7, L. n. 241/ 1990) non sia valido se l’istanza menzioni un generico riferimento a non meglio precisate esigenze probatorie e difensive, siano esse riferite a un processo già pendente oppure ancora instaurando, poiché l’ostensione del documento richiesto passa attraverso un rigoroso, motivato, vaglio sul nesso di strumentalità necessaria tra la documentazione richiesta e la situazione finale che l’istante intende curare o tutelare; a tal fine, peraltro, la pubblica amministrazione detentrice del documento e il giudice amministrativo adìto nel giudizio di accesso ai sensi dell’art. 116 c.p.a. non devono e non possono svolgere ex ante alcuna ultronea valutazione sull’ammissibilità, sull’influenza o sulla decisività del documento richiesto nell’eventuale giudizio instaurato, ma solo analizzare la presenza di un collegamento, esplicitato, tra il documento e le esigenze difensive; il rifiuto dell’accesso deve venir dunque opposto solo in casi di manifesta assenza di questo collegamento ovvero di esercizio pretestuoso o temerario dell’accesso difensivo.
Ora, la decisione in commento con stringente nitore fa applicazione di questi principi ad un richiedente che prima formula un’istanza di accesso documentale per ottenere denunce, verbali, campionamenti e altro relativi alla propria attività imprenditoriale nel settore dei rifiuti, nell’occhio del mirino; poi, trascorsi 30 giorni senza esito, invia una diffida segnalando la natura difensiva di detto accesso, prodromico alla tutela della propria posizione giuridica nei procedimenti in corso, e infine in terza battuta qualifica la richiesta anche come diretta a conoscere lo stato dell’ambiente nei terrenti finitimi all’attività, ai sensi della normativa sull’informazione ambientale. Il tutto senza avere risposta.
Il Consiglio di Stato traccia così una serie di statuizioni a corollario delle pronunce delle plenarie sopra sintetizzate:
- il mancato rispetto del termine decadenziale per un’istanza qualificata espressamente come accesso documentale non può venir recuperato da una successiva diffida a rispondere, diversamente qualificata;
- la riformulazione dell’istanza come accesso difensivo unito ad una richiesta di informazione ambientale (evidentemente diretta ad avere ad altro titolo i campionamenti analitici del terreno richiesti con l’istanza di accesso documentale non riscontrata) non è accoglibile perché la stessa è retta non già da uno scopo conoscitivo e partecipativo al processo decisionale in materia ambientale diretto al miglioramento dell’ecosistema, quale ispira la direttiva 2003/4, ma un diverso scopo difensivo;
- è vero che la P.A. deve esaminare istanze documentali qualificate anche come accesso civico sotto entrambi i profili, ma solo ove i due istituti siano palesati, ciò che non ricorre nella vicenda e non è recuperabile in sede processuale;
- l’istante resta soccombente anche quanto alle spese legali, perché l’instaurazione del contenzioso è successiva alla pronuncia dell’Adunanza Plenaria che ha dettato i principi del caso.
Ci si deve dunque guardare da una lettura soggettivizzante della sentenza, che vi veda cioè una negazione del riconoscimento dell’accesso all’informazione ambientale all’impresa inquinante, quasi che si trattasse di una prerogativa premiale o connotata eticamente.
La pronuncia si limita infatti a valorizzare gli enunciati dell’istanza e la corretta qualificazione della stessa, sulla base degli stessi originari assunti e riferimenti dell’impresa ricorrente, incauta nel costruire una richiesta a rate e alla rinfusa.
Al riguardo si ricorda infatti che l’accesso all’informazione ambientale ex d.lgs. n. 195/2005 è stato pienamente riconosciuto anche a persone giuridiche interessate a verificare le performance ambientali di soggetti imprenditoriali (caso Recommon aps vs Sace s.p.a., TAR Lazio 6272/2022), sulla scorta dell’affermazione che la speciale disciplina dell’accesso ai documenti amministrativi in materia ambientale prevede un regime di pubblicità tendenzialmente integrale dell’informativa ambientale, innanzi tutto per ciò che concerne la legittimazione attiva, ampliando notevolmente il novero dei soggetti legittimati ad insorgere avverso il diniego espresso o tacito di accesso a chiunque ne faccia richiesta: è e resta esclusa quindi la necessità di dimostrare la sussistenza di un relativo interesse giuridicamente rilevante e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso per costituire in capo all’amministrazione un relativo obbligo di comunicazione, mentre basta la sola indicazione delle informazioni richieste.
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Per il testo della sentenza (estratto dal sito di Giustizia Amministrativa) cliccare sul pdf allegato.