di Roberto Gubello
CONS. STATO, Sez. IV, 26 luglio 2021, n. 5537 – Pres. POLI, Est. MARTINO – T.A. S.p.A. (Avv. Gentile) c. Regione Sardegna ed altri (Avv. Pani, Secchi).
Ai fini della inclusione dei bacini di acqua salsa o salmastra nel novero dei beni appartenenti al demanio marittimo, ai sensi dell’art. 28 del codice della navigazione, è necessario non soltanto che gli stessi, almeno durante una parte dell’anno, comunichino liberamente col mare, ma anche che siano idonei ad un uso pubblico, ovvero che, per la loro conformazione ed estensione, consentano l’esercizio di attività economiche del tutto simili a quelle che possono svolgersi in mare aperto, pur ove l’esistenza di un particolare regime vincolistico del sito ne impedisca ogni concreto svolgimento.
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Una società proprietaria di un complesso alberghiero presentava al Comune un progetto di adeguamento e ampliamento della propria struttura ricettiva, ubicata in una amena località marittima della Sardegna, in zona turistica “F”, ad oltre trecento metri dalla linea di battigia marina ma interessata dalla presenza di uno stagno situato proprio tra la predetta battigia marina ed il complesso edilizio.
Nell’esprimere la valutazione di impatto ambientale, l’Amministrazione regionale dichiarava che l’intervento progettato rientrava all’interno della fascia di trecento metri dalla linea di battigia, dovendosi a tal fine avere riguardo non solo alla distanza dalla linea naturale della spiaggia marina ma anche dalla sponda dello stagno con essa collegato, ancorché saltuariamente.
Per l’effetto, l’incremento volumetrico sull’immobile di che trattasi doveva essere contenuto entro i più stringenti limiti volumetrici previsti dalla normativa regionale per gli immobili ubicati in tale fascia[i].
All’esito di due gradi di giudizio[ii] e di una corposa attività istruttoria[iii], con la pronuncia qui annotata il Consiglio di Stato ha inteso ribadire la correttezza dell’interpretazione fornita dalla giurisprudenza oramai consolidatosi – sia innanzi alla giurisdizione amministrativa[iv] che innanzi a quella ordinaria (sia in sede civilistica[v] che penalistica[vi]) – dell’art. 28, lett. b), cod. nav., laddove annovera tra i beni appartenenti al demanio marittimo anche “i bacini di acqua salsa o salmastra che almeno durante una parte dell’anno comunicano liberamente col mare”.
Ai fini della riconducibilità nella sfera – e quindi anche nel relativo regime giuridico – del demanio marittimo delle zone umide è necessaria la contemporanea sussistenza di due elementi:
– quello fisico-morfologico della comunicazione con il mare, pur essendo irrilevante che questa sia assicurata attraverso l’opera dell’uomo che impedisca il progressivo interramento delle acque;
– quello finalistico-funzionale della possibilità di estendere al bacino di acqua salmastra le stesse utilizzazioni cui può adempiere il mare, rivelando l’idoneità attuale – e non meramente potenziale e futura – del bene, secondo la sua oggettiva conformazione fisica, a servire ai pubblici usi del mare, anche se in atto non sia concretamente destinato all’uso pubblico[vii].
La pronuncia si segnala di particolare interesse nella parte in cui riconosce preminenza al secondo dei due elementi: “il primo non costituisce, di per sè solo, il fattore decisivo e qualificante della demanialità“; esso deve essere accertato e valutato – fino ad esserne permeato – dal fattore finalistico.
Sicché, per i bacini di acqua salmastra, così come per tutti gli altri beni facenti parte del demanio marittimo (rilevanti ai sensi dell’art. 822, comma 1, c.c., e dell’art. 28 cod. nav.), il punto essenziale dell’indagine che riguarda la identificazione del bene come appartenente a tale categoria giuridica deve essere incentrato sull’elemento funzionale, intesa quale idoneità del bene a realizzare gli interessi che attengono ai pubblici usi del mare[viii].
In questa direzione, l’uso pubblico dei bacini salsi o salmastri deve ritenersi sussistente tutte le volte che essi, per la loro conformazione ed estensione, consentano l’esercizio di attività economiche del tutto simili a quelle che tradizionalmente possono svolgersi in mare aperto, come la pesca e la molluschicultura[ix].
Non solo.
Che, a ben vedere, quella degli “usi pubblici” costituisce una categoria assolutamente “aperta, nel senso che il suo contenuto può mutare e accrescersi in relazione a molteplici e variabili potenziali utilizzazioni ed anche in relazione al riconoscimento di nuovi interessi primari, quali, ad esempio, le utilizzazioni turistico – ricreative e quella venatoria“[x]; una categoria, quindi, in costante evoluzione, determinata dalla necessità di contemperamento tra la funzione sociale della proprietà pubblica, la destinazione economica del demanio marittimo e la vocazione naturale della fascia costiera.
Ed è qui che la sentenza si presta ad aprire una nuova prospettiva, nella misura in cui il Giudice di secondo grado si trova di fronte a dover verificare la rispondenza alla destinazione ad uso pubblico di un bene che, per l’importante funzione ecologica ed ambientale che svolge, è sottoposto ad un regime vincolistico tale da impedirne ogni uso da parte dell’uomo. Così è per la zona umida in analisi che rientrava in zona di area marina protetta, Zona di Protezione Speciale nonché in un Sito di Importanza Comunitaria[xi].
Ebbene, il Consiglio di Stato, portando alle somme conseguenze l’approccio ‘a trazione finalistica’ della giurisprudenza citata, finisce addirittura per superare le conclusioni raggiunte dal verificatore[xii] ed ammettere come la funzionalità all’uso pubblico – e, per essa, l’inclusione del bene nel demanio pubblico – non possa ritenersi esclusa nemmeno per il fatto che i vincoli esistenti sul bene precludano in radice l’esercizio su di esso di qualsivoglia attività di utilizzo, finanche la mera balneazione.
Che, anzi, assume rilevanza dirimente, nel caso di specie, la circostanza che lo stagno sia un habitat naturale di numerose specie animali protette, tra le tante che trovano, proprio nelle zone umide o salmastre, le condizioni ideali per nidificare e nutrirsi.
In questo modo viene nuovamente sancito il patto di compatibilità nonché complementarità della tutela del demanio marittimo con quella delle zone umide che, proprio con riferimento alla Regione Sardegna, è stata, ancora di recente, ribadita dalla Corte costituzionale[xiii].
Un patto che invoca tutela anche rispetto a tutti quei beni pubblici sui quali, proprio in ragione della loro rilevanza ambientale, paesaggistica e, più in generale, ecologica, sia stato imposto un regime vincolistico che rende con esso incompatibile lo svolgimento – ancorchè in astratto non impossibile – di qualsivoglia attività umana.
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Per il testo della sentenza (estratto dal sito istituzionale della Giustizia Amministrativa) cliccare sul pdf allegato.
Note:
[i] Si fa riferimento alla l.r. Sardegna 23 ottobre 2009, n. 4, contenente “disposizioni straordinarie per il sostegno dell’economia mediante il rilancio del settore edilizio e per la promozione di interventi e programmi di valenza strategica per lo sviluppo“. La richiamata normativa ammette una serie di consistenti interventi di adeguamento ed ampliamento sul patrimonio edilizio esistente che, a secondo delle caratteristiche dell’immobile, può giungere fino ad un limite massimo del 30% della volumetria esistente (art. 2); tale limite si riduce al 10% per gli immobili destinati allo svolgimento di attività turistico-ricettiva situati in aree extraurbane nella fascia costiera dei 300 metri dalla linea di battigia (art. 4).
[ii] Per il primo grado si veda Tar Sardegna, sez. II, sent. 27 settembre 2017 n. 621.
[iii] Il Tar, in primo grado, aveva ordinato alla Regione Sardegna la produzione in giudizio di una documentata relazione al fine di verificare l’esistenza di uno stabile collegamento diretto con il mare dello stagno in questione, fattore che era stato poi ritenuto provato dal Giudice in considerazione degli apporti di acqua marina all’interno dello stagno “dovuti alle mareggiate e alla permeazione del cordone sabbioso”. Tanto da indurre il Tar a ritenere lo stagno “corpo idrico che presenta segni evidenti del collegamento con il mare”.
Il Giudice d’appello, dal canto suo, con sentenza n. 4341 del 6 luglio 2021, aveva ritenuto di disporre, addirittura, una verificazione che accertasse se lo stagno potesse ritenersi appartenere al demanio marittimo, sia sotto il profilo morfologico che sotto quello funzionale.
[iv] T.A.R. Sardegna, Sez. II, 6 marzo 2013, n. 206, aveva ritenuto corrispondente “sia alla lettera che alla ratio legis” la conclusione che, “pertanto, la distanza dalla linea della battigia andava computata dalla sponda della laguna, trattandosi di litorale bagnato dall’acqua marina facente parte di un bene demaniale marittimo”.
[v] Cass. civ., Sez. II, sent. 15 maggio 2012, n. 7564; Cass. civ., Sez. II, sent. 21 dicembre 2016 n. 26615.
[vi] Così, Cass. pen., Sez. III, 7 ottobre 2009, n. 38921 ha ritenuto che “lo specchio d’acqua … precisamente .. una laguna viva perché è collegato con il mare, è inquadrabile nei beni tutelati a norma della lettera a) dell’articolo 142 decreto legislativo n. 42/2004, trattandosi di acque demaniali marittime”. Ed ancora Cass. pen. Sez. II, 12 giugno 2020, n. 20088 ha ritenuto che il reato di abusiva occupazione di spazio demaniale marittimo è configurabile anche in mancanza di un esplicito atto di destinazione demaniale del bene, derivando la demanialità dalle caratteristiche intrinseche di quest’ultimo, sicché, se esso è compreso nelle categorie previste dall’art. 28 cod. nav. e sia adibito ad usi attinenti alla navigazione, rientra nel demanio marittimo.
[vii] In questo senso, si vedano Cass. n. 1863/1984; Cass. n. 1300/1999; Cass. n. 15846/2011.
[viii] In tal senso, Cass. civ., 19 marzo 1984, n. 1863 ha precisato come, accanto all’indispensabile elemento fisico – morfologico della comunicazione con il mare, l’elemento qualificante della demanialità debba essere accertato e valutato in senso finalistico – funzionale. Conf. Cass. n. 15846/2011.
[ix] Cass. n. 1300/1999, che identifica gli usi pubblici con le attività puramente economiche simili a quelle che possono svolgersi in mare aperto.
[x] Cass. civ., sez. II, 6 giugno 2012, n. 9118.
[xi] La sentenza annotata riconosce rilevanza alle osservazioni rese dalla Regione e volte a riconoscere l’importante funzione ecologica svolta dall’area umida, sia per la regolazione del regime delle acque che come habitat per gli uccelli acquatici, tra i quali il fenicottero rosa, che nelle zone umide o salmastre trova le condizioni ideali per nidificare e nutrirsi.
[xii] Nel caso di specie, la relazione di verificazione aveva messo in luce, quanto all’elemento morfologico, come lo stagno in questione “è alimentato essenzialmente dal mare in occasione di forti mareggiate. In condizioni climatiche ordinarie lo stagno è fisicamente separato dal mare per la presenza di un ampio e stabile cordone sabbioso”. Quanto all’elemento finalistico, aveva addirittura concluso nel senso che lo stagno “non può avere una destinazione all’uso pubblico perché rappresenta un sito di elevato interesse naturalistico regolarmente censito a livello nazionale ed internazionale e Sito di Importanza Comunitaria ed anche perché, non essendo ordinariamente collegato con il mare, non è idoneo a consentire l’esercizio di attività analoghe a quelle che possono svolgersi in mare” in quanto, pur in assenza dei predetti vincoli, non sarebbe neanche idoneo ad alcun tipo di navigazione (data la sua modesta – e variabile nel corso dell’anno – profondità), nè tantomeno adatte per le attività della pesca e della balneazione (dal momento che la mancanza di una connessione idraulica stabile con il mare aperto, può rendere nei periodi più caldi dell’anno le acque stagnanti da salmastre ad ipersaline, con conseguente sviluppo di un habitat fortemente limitante per numerose specie animali e vegetali).
[xiii] Corte cost., sent n. 308/2013; cfr. anche Cons. Stato, Sez. VI, 24 aprile 2019, n. 2657, che ha confermato la sentenza del TAR Sardegna n. 206/2013.