La responsabilità dell’ente pubblico proprietario di un’area per la rimozione dei rifiuti abbandonati da terzi

La responsabilità dell’ente pubblico proprietario di un’area per la rimozione dei rifiuti abbandonati da terzi

di Federico Peres

Consiglio di Stato, Sez. V, 13 aprile 2021, n. 3015 Pres. Liberi, Est. Manzioni – Comune di Orta di Atella (Avv.ti Capasso, Zaccariello e Fiorentino) c. Regione Campania (avv.to Marzocchella)

La natura pubblica del soggetto destinatario di un’intimazione ai sensi dell’art. 192 d.lgs. 152/2006 non attenua la portata dei suoi obblighi, bensì ne accentua l’incisività, risolvendosi anche nell’esercizio di compiti di presidio e di buon governo del territorio. È dovere della Pubblica Amministrazione dare esempio del rispetto della legalità, in particolare a fronte di realtà locali caratterizzate da situazioni di perdurante emergenza, assenza diffusa di senso civico, diffusa omertà e presenza di organizzazioni criminali operanti nel settore del trasporto e dello smaltimento dei rifiuti.

  1. La sentenza

Il Comune di Orte di Atella ha impugnato la sentenza con cui il T.A.R. Napoli aveva accolto il ricorso della Regione Campania avverso un’ordinanza (ex art. 192 d.lgs. 152/2006) con la quale il Sindaco aveva imposto alla Regione la rimozione di rifiuti abbandonati da terzi su fondi di sua proprietà e disposto altresì il posizionamento di «tutti i presidi atti a evitare l’accesso incontrollato ai fondi, quali: l’apposizione di cartelli e mezzi preclusivi all’accesso, quali catene e sbarre innanzi ai varchi principali, che valgono a segnalare che si tratta di una proprietà privata in cui è vietato l’accesso e quindi ogni utilizzazione dell’area». Il T.A.R Campania accolse il ricorso ritenendo non vi fossero profili di dolo o colpa in capo all’amministrazione regionale, ad eccezione della culpa in vigilando che però di per sé, ad avviso del T.A.R., non sarebbe stata sufficiente a fondare l’obbligo di rimozione rifiuti[i]. Al contrario, il Consiglio di Stato, con la sentenza in commento, ha ritenuto fondato l’appello del Comune ricordando che la colpa può invero concretizzarsi «nell’omissione degli accorgimenti e delle cautele che l’ordinaria diligenza suggerisce per realizzare un’efficace custodia e protezione dell’area, così impedendo che possa essere percepito dalla collettività il “disinteresse funzionale” verso la stessa, inevitabilmente foriero di utilizzi illeciti», quali possono essere i reiterati abbandoni illeciti di rifiuti. Si trattava, insomma, di cautele minime che avrebbero permesso di percepire il terreno come presidiato e che avrebbero potuto e dovuto – a maggior ragione –  essere adottate dalla Regione sulla quale incombe (e ciò vale per la P.A. in generale) il dovere di dare esempio del rispetto della legalità.

  1. Il dato normativo

L’art. 192 d.lgs. n. 152/2006 vieta l’abbandono di rifiuti nel suolo, nel sottosuolo e nelle acque superficiali e sotterranee e prevede il conseguente obbligo di rimozione e ripristino a carico del contravventore. Rileva il comma 3, per il quale «Fatta salva l’applicazione delle sanzioni di cui agli articoli 255 e 256, chiunque viola i divieti di cui ai commi 1 e 2 è tenuto a procedere alla rimozione, all’avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa, in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo». Nel caso di specie il proprietario dell’area era un Ente Pubblico, la Regione appunto.

  1. La colpa

Come detto, ad avviso del Consiglio di Stato, la colpa è ravvisabile «nell’omissione degli accorgimenti e delle cautele che l’ordinaria diligenza suggerisce per realizzare un’efficace custodia e protezione dell’area, così impedendo che possa essere percepito dalla collettività il “disinteresse funzionale” verso la stessa, inevitabilmente foriero di utilizzi illeciti». Nel caso concreto sarebbe bastata «un’ipotesi minimale di interdizione, fisica e figurativa, alla libera fruizione dell’area», volta a segnalare la presenza di una proprietà privata per fare in modo che venisse percepita come presidiata e proprio a tal fine il Comune aveva suggerito di posizionare una cartellonistica dissuasiva e la chiusura dell’area con catene o sbarre. Sotto questo punto di vista la sentenza non è caratterizzata da elementi di particolare novità; l’apposizione di catene o sbarre è, infatti, già stata ritenuta sufficiente per escludere la colpa in capo al proprietario (T.A.R. Campania Napoli nn. 3042/2019 e 2977/2014; diversa, invece, la posizione della giurisprudenza per quanto riguarda altri interventi come la recinzione[ii]).

  1. Nessuna limitazione di responsabilità se il proprietario è un Ente pubblico.

Quanto al proprietario dell’area, secondo la giurisprudenza, in parte richiamata anche nella sentenza in commento, non importa se sia «un soggetto pubblico o un soggetto privato. Anzi, proprio la qualità di soggetto pubblico implica che l’amministrazione debba dare esempio del rispetto della legalità ciò a maggior ragione quando si tratti di realtà locali (…) caratterizzate dalla perduranza di situazioni emergenziali, dalla assenza diffusa di senso civico delle cittadinanze, da una diffusa omertà e dalla presenza di organizzazioni criminali proprio nel settore del trasporto e dello smaltimento dei rifiuti: le pubbliche autorità possono concretamente esigere ed ottenere il rispetto della legalità, solo quando esse stesse ne danno l’esempio, applicando le leggi quando ne sono destinatarie e imponendo la loro applicazione, quando agiscano nell’esercizio dei loro doveri istituzionali. Quando sia proprietaria di un terreno, la Regione – come qualsiasi altro proprietario – deve rispettare le leggi a tutela dell’ambiente (e della salute): in ragione del valore primario di tale tutela, essa non può sottrarsi all’obbligo di utilizzare le proprie risorse secondo un ordine di priorità, realizzando le misure che le sono imposte dalla legge (o da atti conformi alla legge) per la salvaguardia dell’ambiente e della salute» (Cons. Stato n. 3786/2014, sulla quale poggia anche T.A.R. Calabria Catanzaro n. 2506/2016; cfr. anche Cons. Stato n. 2977/2014, richiamata in ampi stralci da Cons. St. n. 58/2016, nonché da T.A.R. Abruzzo L’Aquila n. 169/2016). Solo un anno prima il Consiglio di Stato aveva rimarcato che «la disponibilità dei beni da parte di soggetti pubblici, tanto più se esercitino un pubblico servizio verso una moltitudine di cittadini, consente di ritenere esigibili e non sproporzionate tutte le iniziative (…)  necessarie ad impedire o, quantomeno a limitare, gli illeciti sversamenti di rifiuti da parte di terzi (…)»; l’Ente pubblico «dovrebbe essere in grado di funzionalizzare, anche quale esempio del rispetto della legalità, le proprie risorse economiche a disposizione secondo un ordine di priorità, nell’ambito del quale l’incuria gestionale che si traduca in degrado ambientale – anche senza arrivare ad ipotizzare pericolo per l’incolumità pubblica e privata – si pone in diretta violazione di valori presidiati dalla carta costituzionale» (Cons. Stato n. 8054/2020). Nel ribadire questi concetti la sentenza n. 3105/2021 ha richiamato anche la risalente pronuncia della Corte EDU Sez. I 19 giugno 2001 (Zwierzyński c. Polonia) secondo la quale sussiste un obbligo morale in capo allo Stato, in qualità di garante dell’ordine pubblico, “di dare il buon esempio” e di fare in modo che la pubblica amministrazione lo segua[iii]. Va infine annotato che meno di un mese dopo la pubblicazione della sentenza in commento, sempre il Consiglio di Stato ha ribadito che ai beni demaniali «va applicato il principio pacifico per cui la proprietà, e in generale anche la proprietà demaniale, è diritto pieno: tutti i relativi poteri, facoltà e funzioni non espressamente delegati ad altri rimangono allora in capo al proprietario, con le relative responsabilità. In concreto le funzioni delegate – all’Agenzia del demanio, come da art. 65 l. 30 luglio 1999 n.300, ovvero all’ente locale minore, come da art. 105 d. lgs. 31 marzo 1998 n.112 e da l.r. Toscana 9 maggio 2016 n.31 – riguardano altro, ovvero la gestione economica del bene e le relative concessioni; resta allora al proprietario, ovvero al MIT, ovviamente nei termini e nei limiti di legge, ogni funzione e responsabilità relativa ai rifiuti, per i quali è causa» (Cons. Stato sent. 07.05.2021 n. 3576). Nessuna limitazione di responsabilità, dunque, per la P.A. proprietaria dell’area, anzi un incremento del grado di diligenza esigibile poiché, sempre secondo la sentenza in commento, «Costituisce peraltro acquisizione dei più moderni approcci alle tematiche di sicurezza urbana l’affermazione in forza della quale il degrado evoca degrado, per cui l’incuria manutentiva di un luogo pubblico finisce per incentivare, anziché semplicemente ostacolare, fattispecie di illecito, tra le quali, per quanto qui di interesse, i reiterati abbandoni di rifiuti (trattasi della teoria criminologica c.d. del “vetro rotto”, quale epifenomeno attrattivo di ulteriori “rotture”, lato sensu intese come “aggressioni” al bene comune, cui le Amministrazioni più lungimiranti tendono a porre rimedio anche con apposite scelte urbanistiche o di arredo urbano). 12.Ciò impone a maggior ragione, ritiene il Collegio, una differenziazione del grado di diligenza richiesta a seconda che il possibile corresponsabile a titolo di colpa sia il privato proprietario, o titolare di altri diritti sul bene, oppure un soggetto pubblico». In chiusura la sentenza ritiene che il fondamento dell’obbligo di garanzia sia «individuabile nei principi generali espressi dall’art. 2 della Costituzione, ove si prevedono doveri di solidarietà economica e sociale, tra i quali rientra oggi anche quello di “solidarietà ambientale”, da ultimo declinato nell’art. 3 ter del medesimo d.lgs. n. 152 del 2006». Resta solo da aggiungere che l’approdo è coerente con la già affermata responsabilità degli Enti pubblici in caso di danno ambientale[iv] e che l’importanza degli obblighi di intervento diretto e sostitutivo gravanti sulla P.A. (nel caso in cui i responsabili di un abbandono rifiuti o di una contaminazione rimangano inerti) è stata rimarcata da autorevole dottrina che ha ritenuto astrattamente configurabile il delitto di omessa bonifica «anche a carico del sindaco che ometta i dovuti interventi in caso di abbandono di rifiuti o di contaminazione dei siti sia in caso di inottemperanza ad apposita ordinanza sia se siano ignoti i responsabili»[v].

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2021.06.14 RGA Online_Giu.2021_Cons.Stato_3015_2021

Per il testo della sentenza cliccare sul pdf allegato (estratto dal sito di Giustizia Amministrativa).

CDS_3015_2021

Note

[i] Così, sul punto, la sentenza di primo grado: «In particolare dalla norma in esame risulta che la responsabilità del proprietario o del titolare di diritti reali o personali di godimento presuppone l’addebitabilità ad essi, a titolo di dolo o colpa, della violazione posta in essere dal responsabile. Nel provvedimento impugnato non sono nemmeno dedotti, in concreto, profili di responsabilità a titolo di dolo o colpa, in capo all’Amministrazione regionale ricorrente, necessari per l’imposizione dell’obbligo di rimozione dei rifiuti fermo restando che, a tal fine, non è sufficiente una generica “culpa in vigilando” (C.d.S. Sezione V 8 marzo 2005, n. 935)».

[ii] In giurisprudenza si era affermato che «l’omessa recinzione del suolo non costituisce ex se un indice di negligenza nella vigilanza sul fondo da parte del proprietario, essendo oltre tutto le recinzioni scarsamente dissuasive in determinati contesti. (…) la recinzione è una facoltà (ossia un agere licere) del dominus: come tale, la scelta di non fruirne non può tradursi in un fatto colposo (art. 1127, comma primo, c.c.) ovvero in un onere di ordinaria diligenza (art. 1227, comma secondo, c.c.), che circoscrive (recte, elide) il diritto al risarcimento del danno» (sul punto si veda Cons. Stato n. 7657/2020, nonché n. 1619/2009). Allo stesso modo, ferma la necessità di valutare la colpa «secondo i normali canoni di imputabilità senza alcun aggravamento ed obbligo di prevenzione attiva» (TAR Campania Napoli, n. 15623/2005), qualora «i rifiuti siano stati abbandonati ai margini di una strada pubblica, il fatto che la stessa non sia suscettibile di misure preventive può rilevare allo scopo di escludere la sussistenza di colpa» (TAR Lombardia Milano n. 7788/2000).

[iii] Nello specifico al § 73 si legge: «The Court points out that where an issue in the general interest is at stake it is incumbent on the public authorities to act in an appropriate manner and with the utmost consistency (…). Moreover, as the guardian of public order, the State has a moral obligation to lead by example and a duty to ensure that the bodies it has charged with the protection of public order follow that example».

[iv] La direttiva 2004/35/CE si rivolge ad operatori che possono essere sia privati che pubblici, considerato infatti che «la nozione di “attività professionale” ha una portata ampia e comprende anche le attività pubbliche senza scopo di lucro svolte da persone giuridiche pubbliche» (CGUE sentenza 09.07.2020 in causa C-297/2019).

[v] Ciò in quanto «la lettera della norma non lascia dubbi: se il privato non ottempera, deve provvedere (“dispone”) il sindaco, rifacendosi sull’inadempiente, in quanto la ratio di questa disposizione è, comunque, il ripristino dello stato dei luoghi previsto dalla legge; oggi punito, appunto come delitto di omessa bonifica» (Amendola G., “Ecodelitti. Se la città è sporca il sindaco può rispondere del delitto di omessa bonifica?”, del 5 gennaio 2018, disponibile al seguente link https://lexambiente.it/materie/ecodelitti/837-dottrina/13427-ecodelitti-se-la-citt%C3%A0-%C3%A8-sporca,-il-sindaco-pu%C3%B2-rispondere-del-delitto-di-omessa-bonifica.html