La procedura di estinzione delle contravvenzioni in materia ambientale: quali conseguenze dal suo mancato espletamento?

La procedura di estinzione delle contravvenzioni in materia ambientale: quali conseguenze dal suo mancato espletamento?

di Chiara Tanzarella

CASSAZIONE PENALE, Sez. III – 27 aprile 2022 (dep. 19 maggio 2022), n. 19666 – Pres. Ramacci, Est. Corbetta – ric. A. G. – S. N.

Il mancato espletamento della procedura di estinzione delle contravvenzioni in materia ambientale non è causa di improcedibilità dell’azione penale: un’esegesi costituzionalmente orientata della disciplina contenuta nella Parte Sesta bis del D.Lgs. n. 152/2006 esclude l’obbligatorietà della procedura estintiva in esso contemplata, potendo l’organo di vigilanza o la polizia giudiziaria, del tutto legittimamente, decidere di non impartire alcuna prescrizione per consentire al contravventore l’estinzione del reato.

  1. La questione di diritto sottoposta all’attenzione della Corte di Cassazione

La sentenza in commento affronta la questione, assai dibattuta in giurisprudenza, relativa alla “natura” della procedura estintiva delle contravvenzioni ambientali prevista dalla Parte Sesta bis del D.Lgs. n. 152/2006.

I ricorrenti, condannati in ordine al reato di cui all’art. 256, comma 1, lett. a) D.Lgs. n. 152/2006 per avere esercitato attività di gestione dei rifiuti in mancanza della prescritta iscrizione all’Albo Nazionale Gestori Ambientali, censuravano sotto diversi profili la sentenza impugnata, lamentando – per quanto qui di rilievo –  il rigetto da parte del Tribunale di Rovigo della sollevata questione di improcedibilità dell’azione penale discendente, a loro dire, dalla mancata attivazione della procedura estintiva obbligatoria di cui agli artt. 318 bis ss. D.Lgs. n. 152/2006.

La Corte dichiarava inammissibile il ricorso proposto dagli imputati escludendo, in adesione all’orientamento giurisprudenziale fatto proprio anche dal Giudice di prime cure, che la citata procedura di oblazione speciale costituisca condizione di procedibilità dell’azione penale.

A supporto di tale conclusione, la Cassazione dava risalto al dato normativo che, non solo non attribuisce mai tale natura alla procedura di estinzione ma, tantomeno, sancisce in capo alla polizia giudiziaria o all’organo di vigilanza un obbligo di impartire al contravventore una prescrizione, con la conseguenza che nessuna preclusione all’esercizio dell’azione penale potrebbe discendere dal mancato esperimento della citata procedura.

Si evidenziava, altresì, come tale interpretazione si ponga in perfetta sintonia tanto con la disamina della disciplina de qua effettuata, in due diverse occasioni[i], dalla Corte Costituzionale, tanto con l’approdo ermeneutico cui è giunta la giurisprudenza di legittimità in relazione alla speculare disciplina prevista in materia antinfortunistica dagli artt. 20 ss. D.Lgs. n. 758/1994.

  1. La procedura estintiva disciplinata dagli artt. 318 bis ss. D.Lgs. n. 152/2006 e l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità

La pronuncia in commento, limitandosi a aderire al maggioritario orientamento giurisprudenziale, non ricostruisce l’articolato percorso ermeneutico ad esso sotteso di cui, invece, si ritiene opportuno ripercorrere i passaggi salienti, previo breve inquadramento della disciplina della procedura estintiva delle contravvenzioni ambientali, contenuta nella Parte Sesta bis (artt. da 318 bis a 318 octies) del D.Lgs. n. 152/2006.

2.1 Come noto, tale procedura, introdotta con la L. n. 68/2015, consente – con modalità analoghe a quelle stabilite dagli artt. 20 ss. D.Lgs. n. 758/1994 in relazione alle contravvenzioni in materia di sicurezza e igiene del lavoro – di pervenire all’estinzione delle contravvenzioni previste dal T.U.A. che non abbiano «cagionato danno o pericolo concreto e attuale di danno alle risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche protette»[ii].

In sintesi, la procedura delineata dalle citate disposizioni prevede che l’organo di vigilanza o la polizia giudiziaria, fermo restando l’obbligo di informare il Pubblico Ministero

della notizia di reato acquisita, impartisca al contravventore una prescrizione volta a eliminare l’infrazione accertata; laddove il contravventore adempia nei termini imposti dall’organo di vigilanza, è ammesso al pagamento, entro trenta giorni, di un’oblazione in sede amministrativa dal cui adempimento segue l’estinzione della contravvenzione e la formulazione della richiesta di archiviazione da parte del Pubblico Ministero. Lo stesso meccanismo si attiva nell’ipotesi in cui la notizia di reato sia acquisita autonomamente dal pubblico ministero che, ai sensi dell’art. 318 quinquies D.Lgs. n. 152/2006, deve darne comunicazione alla Polizia Giudiziaria affinché provveda agli adempimenti descritti.

Durante la pendenza di tale procedura (i cui termini massimi di durata sono fissati dagli artt. 318 ter e 318 quater D.Lgs. n. 152/2006)[iii], il procedimento penale è sospeso: si tratta, però, di una sospensione che – come precisato dall’art. 318 sexies D.Lgs. n. 152/2006 – non preclude la richiesta di archiviazione, né impedisce l’assunzione delle prove con incidente probatorio, né gli atti urgenti di indagine preliminare, né il sequestro preventivo.

L’art. 318 septies, comma 3 D.Lgs. n. 152/2006 prevede, infine, che l’adempimento congruo, ma effettuato in un tempo superiore a quello indicato nella prescrizione ovvero con modalità diverse da quelle impartite dall’organo di vigilanza costituiscono circostanze valutate ai fini dell’ammissione all’oblazione di cui all’art. 162 bis c.p.

2.2 La sostanziale sovrapponibilità dei procedimenti estintivi previsti in materia antinfortunistica e ambientale[iv] ha portato la giurisprudenza a ritenere applicabili a quest’ultima i principi di diritto affermati con riferimento alla procedura delineata dal D.Lgs. n. 758/1994. È, quindi, al dibattito giurisprudenziale sorto sulla procedura in materia di sicurezza sul lavoro che bisogna avere riguardo per comprendere l’approdo ermeneutico della sentenza in commento.

La questione concernente la natura della procedura prevista dal D.Lgs. n. 758/1994 è stata sottoposta, sin dalle sue prime applicazioni, all’attenzione della Suprema Corte che ha fornito due interpretazioni tra loro contrastanti.

Secondo un primo indirizzo, tale procedura – avente carattere obbligatorio – configura una condizione di procedibilità dell’azione penale il cui assolvimento deve essere verificato d’ufficio dal giudice[v]. A sostegno di tale affermazione, la Cassazione pone in evidenza la finalità dell’istituto, volto non soltanto a ricreare le condizioni di sicurezza previste dalla normativa a tutela dei lavoratori ma, soprattutto, a consentire l’estinzione del reato anche quando non vi siano regolarizzazioni da effettuare perché il reato è istantaneo o perché la regolarizzazione è già spontaneamente avvenuta[vi]. Finalità quest’ultima confermata dalle modifiche introdotte dall’art. 15 D.Lgs. n. 124/2004 con cui è stata estesa l’applicazione della procedura estintiva anche alle ipotesi in cui la fattispecie è a condotta esaurita ovvero il trasgressore abbia autonomamente provveduto all’adempimento degli obblighi di legge prima dell’emanazione di una prescrizione[vii].

A ulteriore conforto di tale lettura, la Corte evidenzia che:

  • l’obbligo di sospendere il procedimento (sancito dall’art. 23 D.Lgs. n. 758/1994 e dallo speculare art. 318 sexies Lgs. n. 152/2006) sino alla comunicazione di inadempimento configura una condizione di procedibilità dell’azione penale «proprio perché il pubblico ministero (salve le acquisizioni probatorie e cautelari urgenti) non può richiedere il rinvio a giudizio, o il decreto penale di condanna, o il giudizio direttissimo o comunque formulare l’imputazione ai sensi dell’art. 405 c.p.p.»[viii];
  • l’inadempimento della prescrizione amministrativa da parte del contravventore configura una condizione di punibilità del reato che, in quanto tale, deve essere “coperta” quantomeno da colpa. In altre parole, il legislatore ha voluto condizionare la punibilità della contravvenzione all’ulteriore comportamento – colposamente cagionato dall’agente – di non ottemperanza alle prescrizioni volte a reintegrare il bene giuridico leso.

Il secondo indirizzo, cui ha ritenuto di aderire la Cassazione nella pronuncia in esame, esclude, invece, che la formale assenza della procedura estintiva possa condizionare l’esercizio dell’azione penale dal momento che essa non è obbligatoria potendo l’organo di vigilanza, del tutto legittimamente, decidere di non impartire alcuna prescrizione al contravventore[ix].

Tale lettura troverebbe conforto nel disposto dell’art. 23, comma 2, D.Lgs. n. 758/1994 – non riprodotto, lo si anticipa, nello speculare art. 318 quinquies D.Lgs. n. 152/2006 – secondo cui, nell’ipotesi in cui sia la Procura a segnalare la notizia di reato all’organo di vigilanza, il procedimento viene sospeso e riprende il proprio corso quando quest’ultimo informa il pubblico ministero di non ritenere di dover impartire una prescrizione[x]. Tale previsione, pacificamente applicabile anche all’ipotesi “ordinaria” contemplata dall’art. 20 D.Lgs. n. 758/1994 (e dall’art. 318 ter D.Lgs. n. 152/2006), implica che l’organo di vigilanza possa fin dall’inizio determinarsi a non adottare alcuna prescrizione perché, ad esempio, «nulla c’è da regolarizzare o perché la regolarizzazione c’è già stata ed è congrua»[xi].

A tal proposito, è stato puntualmente chiarito che la «regolarizzazione» cui fa riferimento l’art. 20 D.Lgs. n. 758/1994[xii] «non consiste semplicemente nell’eliminazione della condotta penalmente rilevante, ove a carattere permanente, accertata dall’organo di vigilanza in sede ispettiva ovvero nella non reiterazione della stessa ove si tratti di una condotta ad effetto istantaneo o esaurita»: non occorre, infatti, alcuna prescrizione per eliminare le conseguenze di una violazione o per evitarne la reiterazione, trattandosi di comportamenti che il contravventore deve (o, quantomeno, dovrebbe) attuare da sé.

Si tratta, piuttosto, di «prescrizioni di dettaglio – che possono anche consistere in “specifiche misure atte a far cessare i pericolo per la sicurezza o per la salute dei lavoratori durante il lavoro” (art. 20, comma 3) – che rappresentano una modalità particolare di adempimento della prescrizione di legge, sanzionata penalmente»: in altre parole, l’organo di vigilanza può ritenere, caso per caso, che le esigenze di sicurezza o di igiene sul lavoro (così come di tutela ambientale) siano meglio soddisfatte con l’adozione di determinati accorgimenti, costituenti la «regolarizzazione» cui si riferisce l’art. 20 cit. (e l’art. 318 ter D.Lgs. n. 152/2006)[xiii].

Simile lettura della «regolarizzazione» – avallata dalle modifiche normative apportate con l’art. 15 D.Lgs. n. 124/2004[xiv] –  giustifica, sempre secondo il citato indirizzo giurisprudenziale,  la misura premiale dell’oblazione in sede amministrativa a condizioni più favorevoli rispetto a quelle di cui agli artt. 162 e 162 bis c.p. Detto altrimenti, la contropartita per l’aggravio derivante al contravventore che, oltre all’adempimento alla generale prescrizione di legge, è chiamato ad adempiere a una prescrizione ulteriore, è proprio la previsione di un’oblazione in sede amministrativa più favorevole rispetto a quella codicistica.

Alla luce di tale «rimeditazione» della disciplina, quindi:

  • l’organo di vigilanza può – non necessariamente deve – impartire una prescrizione di regolarizzazione;
  • non c’è alcun diritto del contravventore a ricevere la prescrizione di regolarizzazione con assegnazione di un termine per adempiere: egli, infatti, è comunque tenuto a “regolarizzare” la sua posizione, anche in assenza di una prescrizione dell’organo di vigilanza contenente l’eventuale indicazione di misure specifiche da adottare alla luce del caso concreto;
  • in ogni caso, ove l’organo di vigilanza non abbia (del tutto legittimamente) impartito alcuna prescrizione, ciò non impedisce all’indagato che abbia spontaneamente regolarizzato la propria posizione di chiedere di essere ammesso all’oblazione in sede amministrativa; così come non preclude all’imputato di avanzare in sede giudiziaria richiesta di oblazione ordinaria nella stessa misura agevolata dell’oblazione in sede amministrativa. Una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 24 D.Lgs. n. 758/1994 (o dell’art. 318 septies, comma 3, D.Lgs. n. 152/2006), infatti, impone che l’ammissione all’oblazione in sede amministrativa sia estesa anche a chi abbia spontaneamente regolarizzato la propria posizione senza, cioè, ricevere una prescrizione dall’organo di vigilanza[xv]. Allo stesso modo, quindi, – precisa la giurisprudenza[xvi] – non può essere preclusa la possibilità per il contravventore che non abbia ricevuto alcuna prescrizione, ma abbia eliminato la violazione di chiedere al Giudice (entro i termini previsti per il meccanismo di cui agli artt. 162 e 162 bis p.) di avvalersi dell’oblazione ordinaria nella misura ridotta prevista dall’art. 24 comma 3 D.Lgs. n. 758/1994 per i casi di adempimento con modalità o tempi superiori rispetto a quelli dettati dall’organismo di vigilanza[xvii].

Così interpretata l’operatività della procedura estintiva, è evidente come la sua mancata attivazione non possa in alcun modo influenzare l’esercizio dell’azione penale. Il suo unico effetto è quello di sospendere il procedimento – tra l’altro, in maniera non assoluta (potendo il pubblico ministero formulare richiesta di archiviazione) – per il tempo necessario all’organo di vigilanza per assumere le proprie determinazioni e comunque non oltre i termini di durata massimi stabiliti dagli artt. 318­ ter e 318 quater D.Lgs. n. 152/2006[xviii].

Tra l’altro, sottolinea la giurisprudenza più recente – tra cui quella in commento – il dato normativo è chiaro: nella disciplina del D.Lgs. n. 152/2006 (così come in quella del D.Lgs. n. 758/1994) non viene mai espressamente affermato che la procedura estintiva in esame configura una causa di improcedibilità dell’azione penale[xix].

  1. Alcune riflessioni conclusive

L’orientamento giurisprudenziale che ravvisa nella procedura estintiva contemplata dal D.Lgs. n. 152/2006 (e, prima di esso, dal D.Lgs. n. 758/1994) una condizione di procedibilità dell’azione penale non è condivisibile.

A ben vedere, infatti, esso non considera l’intrinseca natura “valutativa” di uno dei due presupposti applicativi («l’assenza di un danno o di un pericolo concreto di danno alle risorse ambientali») della procedura estintiva previsti dall’art. 318 bis D.Lgs. n. 152/2006. Tale requisito rende del tutto legittimo che l’organo di vigilanza – ravvisata la sussistenza di un pericolo astratto di danno ambientale – escluda l’applicabilità nei confronti dell’indagato della procedura estintiva, senza tuttavia che di ciò debba dargliene notizia.

Se così non fosse, del resto, si rischierebbe di pervenire a risultati del tutto irragionevoli: dichiarando, in ragione della mancata attivazione della procedura estintiva, l’improcedibilità di contravvenzioni che hanno cagionato un pericolo concreto di danno all’ambiente; definendo, di contro, con una richiesta di archiviazione conseguente al pagamento di un’oblazione amministrativa, contravvenzioni prive di pericolosità per l’ambiente.

La lettura proposta dall’orientamento maggioritario cui la pronuncia in commento dà seguito garantisce, invece, un’applicazione della procedura estintiva più aderente alla natura e alle finalità della stessa.

Consentire all’indagato che, pur in assenza di prescrizioni dell’organo di vigilanza ex art. 318 ter D.Lgs. n. 152/2006 abbia “regolarizzato” le violazioni commesse, di definire il procedimento penale con le medesime modalità (vantaggiose in termini di importi da corrispondere) previste dall’oblazione amministrazione, assicura il raggiungimento delle finalità deflattive perseguite dal legislatore con l’inserimento all’interno del T.U.A. degli artt. 318 bis ss., senza determinare disparità di trattamento quali quelle poc’anzi esemplificate.

Il condivisibile approdo interpretativo cui è pervenuta la giurisprudenza non esime dall’evidenziare i limiti di un testo normativo (quello della Parte Sesta bis D.Lgs. n. 152/2006) che, ancora di più rispetto al suo “ispiratore”, ricorre a espressioni e scelte stilistiche che lascerebbero letteralmente propendere per la obbligatorietà della procedura estintiva. Basti pensare alla mancata riproduzione, nel testo dell’art. 318 sexies D.Lgs. n. 152/2006, della previsione del secondo comma dello speculare art. 23 D.Lgs. n. 758/1994 che, in effetti, contempla la possibilità che l’organo di vigilanza informi il Pubblico Ministero della volontà di non impartire alcuna prescrizione; o, ancora, alla formulazione del comma 2 dell’art. 318 quinquies D.Lgs. n. 152/2006 nel quale, a differenza del corrispondente art. 22, comma 2, D.Lgs. n. 758/1994, si prevede che l’organo di vigilanza informi il Pubblico Ministero della propria “attività” e non delle proprie “determinazioni”, lasciando così supporre l’effettivo avvio della procedura.

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CASS_PEN_19666_22_NOTA_RGA_TANZARELLA

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Cass. pen., III, 19666_2022 (Tanzarella)

NOTE

[i] Il riferimento è a Corte Cost., 9 aprile 2019, n. 76 con la quale è stata dichiarata infondata la questione di legittimità costituzionale, sollevata in riferimento all’art. 3 Cost, dell’art. 318 septies, comma 3, D.Lgs. n. 152/2006 nella parte in cui prevede che l’adempimento tardivo, ma comunque avvenuto in un tempo congruo a norma dell’art. 318 quater, comma 1, D.Lgs. n. 152/2006, ovvero l’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose della contravvenzione con modalità diverse da quelle indicate dall’organo di vigilanza, sono valutati ai fini dell’applicazione dell’art. 162 bis c.p. e determinano una riduzione della somma da versare pari alla metà del massimo dell’ammenda prevista per il reato in contestazione, anziché a un quarto del medesimo ammontare massimo, come invece disposto in fattispecie analoga, in caso di contravvenzione alle norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro, dall’art. 24, comma 3, D.Lgs. n. 758/1994 e a Corte Cost., 13 novembre 2020, n. 238, che ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale, sollevata in riferimento all’art. 3 Cost., dell’art. 318 octies D.Lgs. n. 152/2006 nella parte in cui prevede che la causa estintiva del reato, contemplata nel precedente art. 318 septies, non si applichi ai procedimenti penali in corso alla data di entrata in vigore della Parte Sesta bis, introdotta nel T.U.A. dall’art. 1, comma 9 della L. n. 68/2015.

[ii] In tal senso l’art. 318 bis D.Lgs. n. 152/2006 rubricato «Ambito di applicazione».

[iii] Più nel dettaglio, il termine di durata della procedura (e della conseguente sospensione del procedimento penale) è variamente modulato dagli artt. 318 bis e 318 ter ma non può comunque superare un limite massimo risultante dalla sommatoria dei vari termini (fino a sei mesi, prorogabili una sola volta, per l’adempimento della prescrizione; trenta giorni per il pagamento dell’oblazione; novanta giorni per la comunicazione al P.M.) entro il quale la Polizia Giudiziaria deve comunicare al P.M. l’adempimento alla prescrizione con pagamento della sanzione ovvero l’inadempimento alla stessa.

[iv] Sovrapponibilità espressamente riconosciuta, tra tante, di recente da Corte Cass. pen., Sez. III, 25 settembre 2019, n. 49718 nonché da Corte Cass. pen., Sez. III, 14 ottobre 2021, n. 40571 che ha precisato che la disciplina del T.U.A., ricalcata su quella del D.Lgs. n. 758/1994 di cui ne segue l’interpretazione, presenta alcuni adattamenti giustificati dalla particolarità della materia. Sul punto anche Corte Cass. pen., Sez. III, 4 dicembre 2020, n. 24483 secondo cui «la sostanziale sovrapponibilità dei procedimenti estintivi (…) consente di applicare alle prescrizioni impartite ai sensi del D.lgs. n. 152/2006, art. 318-ter e segg., i medesimi, consolidati principi di diritto affermati da questa Corte di cassazione in relazione alle prescrizioni impartite ai sensi del D.lgs. 758 del 1994, artt. 20 e segg (…)».

[v] Corte Cass. pen., Sez. III, 22 gennaio 2004, n. 14777; Corte Cass. pen., Sez. III, 1° ottobre 1998, n. 13340 e Corte Cass. pen., Sez. III, 12 febbraio 2002, n. 11502. Si segnala, per completezza, che nell’ambito di tale indirizzo si oppongono due tesi: la prima, radicale, secondo cui ove sia mancata la prescrizione di regolarizzazione, l’azione penale è improcedibile e il giudice non può porvi rimedio, dovendosi limitare a prendere atto del mancato perfezionamento della procedura (Corte Cass. pen., Sez. III, 15 settembre 2015, n. 37228 e Corte Cass. pen., Sez. III, 6 giugno 2007, n. 34900); la seconda, secondo cui il giudice può sopperire alle carenze del procedimento preordinato all’estinzione del reato assegnando egli stesso un termine per l’adempimento e il successivo pagamento dell’oblazione amministrativa (Corte Cass. pen., Sez. III, 20 gennaio 2006, n. 6331).

[vi] In tal senso, Corte Cass. pen., Sez. III, 6 giugno 2007, n. 34900; Corte Cass. pen., Sez. III, 4 novembre 2005, n. 47228 e, più di recente, Corte Cass. pen., Sez. III, 15 settembre 2015, cit.

[vii] L’art. 15 D.Lgs. n. 124/2004, nell’estendere la prescrizione prevista dagli artt. 20 e 21 D.Lgs. n. 758/1994 alle contravvenzioni in materia di lavoro e legislazione sociale la cui applicazione è affidata alla vigilanza della direzione provinciale del lavoro, prevede al suo terzo comma che «la procedura di cui al presente articolo si applica anche nelle ipotesi in cui la fattispecie è a condotta esaurita, ovvero nelle ipotesi in cui il trasgressore abbia autonomamente provveduto all’adempimento degli obblighi di legge sanzionati precedentemente all’emanazione della prescrizione», con ciò superando quell’indirizzo giurisprudenziale che aveva ritenuto non applicabile la procedura di estinzione nelle ipotesi di reati istantanei già perfezionatesi (Corte Cass. pen., Sez. III, 4 novembre 2005, n. 47228) o nei casi in cui l’organo di vigilanza non abbia impartito al contravventore alcuna prescrizione, per la già avvenuta regolarizzazione (Corte Cass. pen., Sez. III, 1° febbraio 2005, n. 9474).

[viii] Corte Cass. pen., Sez. III, 22 gennaio 2004, n. 14777.

[ix] In tal senso, con specifico riferimento alla disciplina dettata dalla Parte Sesta bis del D.Lgs. n. 152/2006: Corte Cass. pen., Sez. III, 25 settembre 2019, n. 49718; Corte Cass. pen., Sez. III, 8 febbraio 2018, n. 38787; Corte Cass. pen., Sez. III, 13 gennaio 2017, n. 7678; Corte Cass. pen., Sez. III, 8 aprile 2021, n. 19986; Corte Cass. pen., 14 ottobre 2021, n. 40571; Corte Cass. pen., Sez. III, 27 gennaio 2021, n. 24633; Corte Cass. pen., Sez. III, 27 novembre 2019, n. 7220; Corte Cass. pen., Sez. III, 18 aprile 2019, n. 36405. Con riguardo, invece, alla disciplina in materia antinfortunistica: Corte Cass. pen., Sez. III, 18 novembre 2010, n. 5864; Corte Cass. pen., Sez. III, 21 aprile 2015, n. 20562.

[x] L’art. 23, comma 2 D.Lgs. n. 758/1994 così recita: «Nel caso previsto dall’art. 22, comma 1 [n.d.r. ipotesi in cui sia il Pubblico Ministro a acquisire la notizia di reato e a darne comunicazione all’organo di vigilanza] il procedimento riprende il suo corso quando l’organo di vigilanza informa il pubblico ministero che non ritiene di dover impartire una prescrizione, e comunque alla scadenza del termine di cui all’art. 22 comma 2, se l’organo di vigilanza omette di informare il pubblico ministero delle proprie determinazioni inerenti alla prescrizione».

[xi] Corte Cass. pen., Sez. III, 5 maggio 2010, n. 26758.

[xii] E, specularmente, l’art. 318 ter D.Lgs.  n. 152/2006.

[xiii] Tale chiarimento è stato fornito da Corte Cass. pen., Sez. III, 5 maggio 2010, cit., che, preso atto del contrasto giurisprudenziale, ha fornito una «rimeditazione» del complessivo quadro di riferimento, abbracciando, infine, la tesi secondo cui la procedura prevista dal D.Lgs. n. 758/1994 non costituisce condizione di procedibilità dell’azione penale.

[xiv] Come condivisibilmente argomentato da Corte Cass. pen., Sez. III, 5 maggio 2010, cit., l’estensione, ad opera dell’art. 15 D.Lgs. n. 124/2004, dell’ambito di applicazione della procedura estintiva a tutte le violazioni di carattere penale previste dalle leggi in materia di lavoro e legislazione sociale, tra cui anche quelle la cui fattispecie è a condotta esaurita ovvero alle ipotesi in cui il trasgressore abbia autonomamente provveduto all’adempimento degli obblighi di legge prima dell’emanazione della prescrizione, conferma che «la prescrizione dell’organo di vigilanza, (…), è qualcosa di ulteriore e più specifico rispetto all’adempimento della prescrizione di legge».

[xv] Il riferimento è a Corte Cost., n. 19/1998 che, nel dichiarare non fondate le questioni di costituzionalità dell’art. 24, comma 1, D.Lgs. n. 758/1994, ha offerto un’interpretazione adeguatrice del plesso normativo in esame per evitare un ingiustificato trattamento al contravventore che, spontaneamente ed autonomamente, abbia regolarizzato la violazione prima che l’organo di vigilanza si sia determinato ad impartire la prescrizione di cui all’art. 20 D.Lgs. n. 758/1994 rispetto a quello riservato al contravventore che regolarizzi a seguito di prescrizione impartita dall’organo di vigilanza. Quest’ultimo, infatti, può parimenti impartire la prescrizione dell’art. 20 cit. “ora per allora” oppure può limitarsi a verificare l’avvenuta eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose della contravvenzione, talché in entrambe le ipotesi il contravventore può essere ammesso all’oblazione in sede amministrativa.

[xvi] Corte Cass. pen., Sez. III, 1° febbraio 2005, n. 9478.

[xvii] È bene precisare però che, a differenza dell’art. 24, comma 3, D.Lgs. n. 758/1994, lo speculare art. 318 septies D.Lgs. n. 152/2006 prevede che, nel caso in cui l’adempimento tardivo o con modalità diverse sia valutato ai fini dell’applicazione dell’art. 162 bis c.p., la somma da versare sia pari alla metà (e non a un quarto) del massimo dell’ammenda stabilita per la contravvenzione commessa. Ne consegue che, in materia ambientale, la mancata attivazione della procedura estintiva si configura come economicamente più svantaggiosa per il contravventore, soprattutto nelle ipotesi descritte in cui abbia regolarizzato spontaneamente la violazione. La Corte Costituzionale, interessata della questione, ha escluso la questione di legittimità costituzionale sul presupposto che la differenza di disciplina in materia ambientale e antinfortunistica si giustifica alla luce dei diversi beni giuridici protetti (cfr. sub. nota n. 1).

[xviii] Si richiama, sul punto, il passaggio esplicativo di Corte Cass. pen., Sez. III, 12 luglio 2010, n. 26758, cit: «Ed allora, in disparte l’ipotesi (che è quella normale) in cui l’organo di vigilanza comunichi tempestivamente (ossia nel prescritto termine) al P.M. l’adempimento della prescrizione impartita (con o senza l’oblazione) ovvero l’inadempimento alla stessa da parte del contravventore ovvero ancora, ove investito dalla comunicazione del P.M., la determinazione di non adottare alcuna prescrizione, c’è comunque un termine finale massimo che in ogni caso fa cessare la sospensione del procedimento penale qualunque sia stata (o non sia stata) l’attività dell’organo di vigilanza. Inoltre, è ben possibile che questa sospensione non scatti mai ove inizialmente l’organo di vigilanza comunichi al P.M. la notizia di reato con l’indicazione espressa di non aver impartito alcuna prescrizione al contravventore ovvero senza l’indicazione di alcuna prescrizione impartita; ciò che è parimenti indicativo della determinazione dell’organo di vigilanza di non impartirne alcuna».

[xix] Tale principio è stato ulteriormente sviluppato, tra tante, da Corte Cass. pen., Sez. III, 25 settembre 2019, n. 49718 e da Corte Cass. pen., Sez. III, 14 ottobre 2021, n. 40571 secondo cui «la obbligatorietà della speciale procedura in esame non può neppure rilevarsi dall’uso dell’indicativo presente da parte del legislatore nell’art. 318 ter D.Lgs. n. 152 del 2006 (“…impartisce al contravventore un’apposita prescrizione asseverata tecnicamente…”) trattandosi di una mera scelta dello stile espositivo».