Inquadramento nella fattispecie di deposito temporaneo e necessaria coesistenza di tutti i requisiti previsti dalla normativa

Inquadramento nella fattispecie di deposito temporaneo e necessaria coesistenza di tutti i requisiti previsti dalla normativa

di Ginevra Ripa 

Corte di Cassazione, Sez. III, 16 luglio 2020 (dep. 2 settembre 2020), n. 24989 – Pres. Izzo, Est. Reynaud – ric. M. A.

La Corte di Cassazione – nel solco di un orientamento ampiamente condiviso – ribadisce, in materia di qualificazione di un deposito di rifiuti come temporaneo, il necessario e contestuale rispetto di tutti i requisiti indicati dalla disciplina di cui all’art. 183, comma 1, lett. bb), n. 2 (attualmente “trasferiti” nell’art. 185 bis) d.lgs. n. 152/2006.

Con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione si è nuovamente espressa in relazione alla fattispecie di deposito temporaneo, consolidando l’interpretazione che riconosce come tale soltanto il raggruppamento di rifiuti cui non manchi anche solo uno degli stringenti requisiti previsti nel d.lgs. n. 152/2006, ricadendosi altrimenti nelle differenti fattispecie di deposito preliminare, messa in riserva, abbandono o discarica abusiva, a seconda delle peculiarità fattuali del caso di specie.

Il ricorso censura un’ordinanza del Tribunale di Prato con la quale veniva respinta la richiesta di riesame proposta dal ricorrente avverso il decreto con cui il Giudice per le indagini preliminari, ravvisando il fumus commissi delicti in ordine al reato di cui all’art. 256, comma 1, lett. a) d.lgs. n. 152/2006, aveva disposto il sequestro preventivo di due rimorchi telonati appartenenti alla società della persona sottoposta alle indagini e di cassonetti parimenti di proprietà di quest’ultima, destinati alla raccolta di indumenti usati, sulla base di due provvisori capi di incolpazione richiamati nella pronuncia de qua.

In primo luogo si contestava al ricorrente il reato di cui all’art. 256, comma 1, lett. a) d.lgs. n. 152/2006, «per aver effettuato, senza autorizzazione, attività di deposito e gestione non autorizzata di rifiuti speciali non pericolosi con riguardo al ricovero degli indumenti usati oggetto dell’attività di raccolta svolta nei due rimorchi sequestrati; parcheggiati per mesi in prossimità dello stabilimento del cliente finale (OMISSIS), dove poi la merce veniva consegnata senza essere sottoposta ad un alcun procedimento di recupero, essendo la ditta del ricorrente bensì autorizzata all’attività di stoccaggio e recupero degli indumenti, ma presso altri siti, allo stato inutilizzabili ed inutilizzati»; in secondo luogo si ipotizzava la violazione dell’art. 256, comma 1, lett. a), e comma 4 del medesimo decreto legislativo «per aver effettuato, in concorso con il titolare ed il gestore della (OMISSIS), attività di gestione dei medesimi rifiuti speciali senza effettuare attività di recupero mediante cernita, selezione, eventuale igienizzazione – come invece previsto dalle autorizzazioni rilasciate e, comunque, in assenza di autorizzazione».

Il ricorrente impugnava l’ordinanza avanti la Corte di Cassazione, deducendo plurime doglianze e in particolare, per quanto di interesse in questa sede, lamentando la violazione dell’art. 183, comma 1, lett. bb), poiché non era stata riconosciuta l’ipotesi del deposito temporaneo di rifiuti con riguardo al sequestro dei rimorchi telonati, così come sommariamente riportato nel testo della sentenza, il quale, in verità, poco o nulla riferisce con riguardo alle premesse di fatto a sostegno di tale specifico motivo di censura.

La Corte, all’esito della propria valutazione, ha giudicato il motivo inammissibile per genericità e manifesta infondatezza, rigettando altresì complessivamente il ricorso. Come accennato, la pronuncia offre sparuti appigli circa la vicenda all’origine del procedimento cautelare, tra i quali è possibile evincere soltanto che l’azienda – essendo inutilizzabili i depositi autorizzati, nell’ambito dell’attività, per il ricovero degli indumenti e per lo svolgimento delle mansioni di gestione e recupero – impiegava illecitamente i menzionati rimorchi a fini di deposito degli indumenti, in prossimità dello stabilimento del soggetto destinatario della merce, nonché, quanto alla durata di tale ricovero, che i due rimorchi si trovassero in tale luogo, alla data del sequestro probatorio, quantomeno da oltre quattro mesi.

In via preliminare rispetto alla disamina delle motivazioni della Corte, è opportuno richiamare sinteticamente la definizione di deposito temporaneo, la quale, come noto, era contenuta nell’art. 183, comma 1, lett. bb) d.lgs. 152/2006 e, a seguito dell’entrata in vigore, alla data del 26 settembre 2020, del d.lgs. 3 settembre 2020, n. 116, recante «attuazione della direttiva (UE) 2018/851 che modifica la direttiva 2008/98/CE relativa ai rifiuti e attuazione della direttiva (UE) 2018/852 che modifica la direttiva 1994/62/CE sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio (20G00135)» è ora parzialmente “migrata”, quanto alle condizioni, all’art. 185 bis del medesimo decreto legislativo.

Secondo la definizione vigente all’epoca dei fatti, si tratta di un «raggruppamento dei rifiuti e deposito preliminare alla raccolta ai fini del trasporto di detti rifiuti in un impianto di trattamento» (secondo la definizione attuale, «raggruppamento dei rifiuti ai fini del trasporto degli stessi in un impianto di recupero o smaltimento, effettuato, prima della raccolta ai sensi dell’articolo 185-bis», il quale ha parzialmente modificato i presupposti), da effettuarsi nel rispetto di molteplici condizioni:

effettuati, prima della raccolta, nel luogo in cui gli stessi sono prodotti, da intendersi quale l’intera area in cui si svolge l’attività che ha determinato la produzione dei rifiuti o, per gli imprenditori agricoli di cui all’articolo 2135 del codice civile, presso il sito che sia nella disponibilità giuridica della cooperativa agricola, ivi compresi i consorzi agrari, di cui gli stessi sono soci, alle seguenti condizioni:

1) i rifiuti contenenti gli inquinanti organici persistenti di cui al regolamento (CE) 850/2004, e successive modificazioni, devono essere depositati nel rispetto delle norme tecniche che regolano lo stoccaggio e l’imballaggio dei rifiuti contenenti sostanze pericolose e gestiti conformemente al suddetto regolamento;

2) i rifiuti devono essere raccolti ed avviati alle operazioni di recupero o di smaltimento secondo una delle seguenti modalità alternative, a scelta del produttore dei rifiuti: con cadenza almeno trimestrale, indipendentemente dalle quantità in deposito; quando il quantitativo di rifiuti in deposito raggiunga complessivamente i 30 metri cubi di cui al massimo 10 metri cubi di rifiuti pericolosi. In ogni caso, allorché il quantitativo di rifiuti non superi il predetto limite all’anno, il deposito temporaneo non può avere durata superiore ad un anno;

3) il “deposito temporaneo” deve essere effettuato per categorie omogenee di rifiuti e nel rispetto delle relative norme tecniche, nonché, per i rifiuti pericolosi, nel rispetto delle norme che disciplinano il deposito delle sostanze pericolose in essi contenute;

4) devono essere rispettate le norme che disciplinano l’imballaggio e l’etichettatura delle sostanze pericolose;

5) per alcune categorie di rifiuto, individuate con decreto del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministero per lo sviluppo economico, sono fissate le modalità di gestione del deposito temporaneo.

Trattandosi di requisiti richiesti ai fini dell’applicazione di una disciplina eccezionale e derogatoria rispetto a quella ordinaria relativa ai rifiuti di cui al d.lgs. n. 152/2006, la giurisprudenza di legittimità ha orientato in senso stringente la propria interpretazione: invero, l’aderenza alle condizioni di luogo, di tempo nonché relative alle caratteristiche dei rifiuti e dello stoccaggio di cui alla citata disposizione solleva il produttore da taluni obblighi; ad esempio, ai sensi dell’art. 208, comma 17 d.lgs. n. 152/2006, le disposizioni in materia di autorizzazione non si applicano al deposito temporaneo, fermi restanti l’obbligo di tenuta del registro di carico e scarico e il divieto di miscelazione.

La riconducibilità di tale disciplina nel novero delle disposizioni “di favore” emerge, peraltro, dalla circostanza per cui i limiti di cui al n. 2 sono stati ampliati nel contesto della legislazione “di emergenza” di cui al d.l. n. 18/2020 – c.d. “Cura Italia” – il quale all’art. 113 bis, introdotto in sede di conversione, aveva previsto che «fermo restando il rispetto delle disposizioni in materia di prevenzione incendi, il deposito temporaneo di rifiuti, di cui all’articolo 183, comma 1, lettera bb), numero 2), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, è consentito fino ad un quantitativo massimo doppio, mentre il limite temporale massimo non può avere durata superiore a diciotto mesi». L’art. 228 bis della l. n. 77/2020 – c.d. “Decreto Rilancio” – ha successivamente abrogato tale disposizione.

In senso inverso, come specificato nella sentenza, l’assenza di uno o più presupposti può determinare – laddove non si tratti di deposito preliminare o messa in riserva – l’applicabilità delle sanzioni previste nell’ipotesi di deposito incontrollato ovvero di discarica non autorizzata, qualora vi sia un abbandono reiterato nel tempo e rilevante in termini spaziali e quantitativi.

La Corte di Cassazione ha argomentato, nel caso in esame, individuando un sostrato fattuale incompatibile con la normativa del deposito temporaneo, sia con riguardo al luogo di stoccaggio dei rifiuti («in prossimità dello stabilimento del cliente finale») sia con riguardo ai limiti temporali («quantomeno da oltre quattro mesi»).

Quale brevissima chiosa finale, si rileva come la novella recentemente intervenuta non abbia modificato i criteri temporali e qualitativi del deposito temporaneo, denotando una volontà legislativa – soprattutto europea – inevitabilmente orientata nel senso del mantenimento di limiti severi e circoscritti al deposito di rifiuti esente da autorizzazioni.

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Ginevra RIpa – Cass_2020_24989

Per il testo della sentenza (estratto dal sito istituzionale della Corte di Cassazione) cliccare sul pdf allegato.

Ginevra RIpa – Cass. Sez. III, 16 luglio 2020, n. 24989